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Whitesnake: 1987 – Il Rock Erotico

Siderurgia tedesca poco glamour, tanta solidità.

Una band sul punto di sciogliersi, un leader stanco, depresso, indebitato e demotivato, un contratto da rispettare, un chitarrista ostico, una nuova generazione di rocker che reclamava il trono. 1987: la nascita di un capolavoro nelle peggiori condizioni possibili.

Contenuti:

1. Il serpente è stanco e depresso
2. Toxic twins
3. Bad boys (are back in town)
4. Il mio 1987

1 – Il Serpente è Stanco e Depresso

Al settimo album della loro storia i Whitesnake ci arrivano in frantumi. Pare che David Coverdale avesse seriamente preso in considerazione il proposito di disfare la band, il tour di “Slide It In” aveva portato in dote un po’ di litigi con Cozy Powell, al punto che il batterista aveva lasciato il gruppo all’indomani dell’esibizione al Rock In Rio. Ma quella fu la conseguenza non la causa, Coverdale era già saturo del clima all’interno degli Whitesnake e non aveva alcuna intenzione di continuare su quella rotta. C’era un piccolo problema, il contratto con la casa discografica. In Europa gli Whitesnake erano distribuiti da Emi ma per gli Stati Uniti erano sotto Geffen, la quale non aveva alcuna intenzione di mollare l’osso, e propose a Coverdale di fare coppia fissa con John Sykes, che si era già affacciato nello studio di registrazione della band in occasione dell’edizione americana di “Slide It In”, in sostituzione di Micky Moody. Convinto o meno, Coverdale dovette onorare il contratto e i due trasferirono baracca, burattini e casse di alcol in Francia, a Le Royal, per iniziare a buttare giù il materiale del nuovo album del Serpente Bianco. Coverdale sentiva l’esigenza di un cambio di marcia, voleva che gli Whitesnake diventassero più appariscenti, aggressivi, elettrizzanti, più al passo con i tempi, se necessario arrivando anche ad edulcorare l’inconfondibile retaggio blues che aveva caratterizzato il percorso discografico della band sin lì’. Anche Neil Murray si unì alla combriccola e dalle sessioni francesi nacquero “Still Of The Night” e “Is This Love”. La prima era in realtà la rielaborazione di una traccia risalente ai tempi della militanza di Coverdale nei Deep Purple (1974 – ’75), mentre la seconda pare fosse stata scritta originariamente per Tina Turner, e ho i brividi a pensare ad un’ipotetica versione della Turner di quel pezzo. Il trio si sposta poi a Los Angeles per audizionare ed arruolare un batterista. Sarà Aynsley Dunbar, percussore per Jeff Beck in “Truth”, Frank Zappa, Lou Reed e David Bowie nei primi anni ’70, nonché nei meravigliosi e sottovalutati primi tre album dei Journey senza Steve Perry (c’è un articolo in proposito su The Elder’s Orient se avete voglia di saperne di più). Quindi una ulteriore trasferta a Vancouver. In Canada la band mette a fuoco il sound della chitarra di Sykes, che sarà calibrato da Bob Rock, ma inciampa anche nella prima bega, una fortissima sinusite di Coverdale che lo manda all’ospedale, sotto i ferri. Sei mesi di riabilitazione furono una tegola enorme e i Whitesnake ne risentirono, anche perché Sykes non era così amalgamato agli altri e questo produsse immediatamente degli effetti.

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II – Toxic Twins

Si narra che il chitarrista britannico fosse impaziente di produrre e registrare, e non avesse alcuna voglia di aspettare sua Maestà Coverdale, visto un po’ come una primadonna che rimandava e rimandava capricciosamente. Pare che Sykes spinse molto con la casa discografica per sostituire Coverdale e proseguire accollandosi la testa del Serpente. La versione di Sykes al riguardo è che tutto ciò non sia mai accaduto, adducendo motivazioni anche abbastanza logiche e plausibili, ovvero come era anche solo pensabile all’altezza del settimo disco dei Whitesnake presentarsi al pubblico senza Coverdale, marchio di fabbrica (e garanzia) della band? Sta di fatto che, vero o no, Coverdale si convinse dell’ostilità di Sykes, e lo stesso fece il produttore dell’album Mike Stone, visto che i rapporti di Sykes con entrambi si incrinarono irrimediabilmente. Quando il Duca Bianco si ristabilì, registrò le tracce vocali (soffrendo moltissimo, poiché ancora in piena convalescenza e costretto a sforzarsi parecchio per portare a casa le sessions), e chiamò dei turnisti per registrare le parti delle tastiere (Don Airey, Bill Cuomo). Per la nuova versione di “Here I Go Again”, originariamente apparsa su “Saints & Sinners”, si rivolse ad Adrian Vandenberg, il quale si occupò dell’assolo. L’incontro fu molto positivo, al punto che Coverdale pensò a Vandenberg come ad un possibile sostituto di Sykes. Le sensibilità all’interno della band erano tutt’altro che migliorato, e le precarie condizioni di salute di Coverdale avevano reso il tutto ancora più teso e instabile. Il buon David era pure piuttosto seccato del processo di ammodernamento del look  imposto alla band, talmente glamour, ammiccante e modaiolo che secondo Coverdale provocò diversi malumori nei fan più ortodossi e intransigenti dei Whitesnake, soffocati dalla lacca per capelli  e poco avvezzi al trucco e alle paillettes. La sezione centrale di “Still Of The Night”, zeppeliniana e impregnata di sintetizzatori ed archi virtuali è un’altra espressione di quella ricerca fashion “a tutti i costi” (c’è lo zampino di Sykes in questo).

La situazione precipitò alla vigilia della pubblicazione del disco, quando Coverdale dette il benservito a tutto il carrozzone, licenziando l’intera band. All’epoca era malandato, depresso, indebitato. Passo successivo, l’arrivo nei negozi del disco: 16 marzo 1987 in America, 7 aprile 1987 in Europa. Le edizioni furono diverse a seconda dei paesi di pubblicazioni. Titolo e scaletta differivano, il che ingenerò confusione e soprattutto grande agitazione tra i collezionisti. L’album è noto come “Whitesnake” negli States, “1987” in Europa (la cui tracklist oltre ad avere un ordine diverso offre anche due canzoni in più, “Looking For Love” e “You’re Gonna Break My Heart Again”), “Serpens Albus” in Giappone, ovvero la traduzione latina del nome della band, quindi a suo modo comunque una autointitolazione. In Australia il titolo fu quello europeo, ma la scaletta dell’edizione in vinile riprese quella americana, quella mentre il Cd quella europea, un capolavoro di fritto misto che ha mandato per anni nei pazzi i collezionisti. Personalmente ho un’edizione greca (quindi titolo “1987” e scaletta europea, ovvero “Still Of the Night” come opener track), con adesivi argentati all’interno.

III – Bad Boys (Are Back In Town)

Una volta che il disco fu nei negozi, Coverdale si occupò di assemblare la nuova formazione per il tour. Gli Whitesnake di “1987” sui palchi furono incarnati da Adrian Vandenberg, Vivian Campbell (ex Dio) alla seconda chitarra, Rudy Sarzo (ex Quiet Riot, Ozzy Osbourne) al basso e Tommy Aldridge (ex Black Oak Arkansas, Pat Travers, Gary Moore, Ozzy Osbourne) alla batteria, ovvero la sezione ritmica dei M.A.R.S., super progetto assieme a Rob Rock e Tony MacAlpine. Oltre ad esibirsi dal vivo questa fu la formazione che girò i videoclip dei singoli estratti dall’album, “Still Of The Night”, “Is This Love”, “Here I Go Again”, “Give Me All Your Love”. 10 milioni di copie negli States, certificato 8 volte disco di platino, 25 milioni  di unità in tutto il mondo. Il disco più venduto in America nella storia della band. Per molti a tutt’oggi anche il miglior disco della band. Personalmente non lo ascoltai in tempo reale, il mio primo album metal entrò in casa mia nel 1988, era “Powerslave” degli Irons. Per motivi anagrafici mi persi “1987”, per me il titolo è sempre stato quello perché la mia copia in vinile portava impresso quel marchio. Il primo album Whitesnake che ho avuto tra le mani (anzi, in realtà la prima cassettina registrata dall’amico grande ed esperto che tutti abbiamo avuto agli inizi, il tutore che ci ha introdotto nel denim & leather) fu “Lovehunter”, con la sua iconica copertina, a cui seguì “Slide It In”. Da qualche parte all’interno della ricognizione a ritroso della discografia della band si infilò anche “1987” e sulle prime non mi fece un grandissimo effetto. Avevo conosciuto il Serpente nella sua prima incarnazione, un rettile con l’anima bluesy, persino soul, ed il sangue inaspettatamente caldo che era scorso lungo tutta la prima produzione discografica. “1987” sparigliava alquanto le carte. Coverdale stesso aveva detto di volere un album diverso, assai più elettrizzante ed aggressivo, ed in effetti “1987” quello era, un aumento esponenziale di tutto, fino quasi al parossismo. La componente hair e glam metal si faceva sentire, per l’esibizione un po’ pacchiana e grossolana di testosterone. “1987” arraffava un po’ di metal e un po’ di Los Angeles boulevard e li imprimeva con brutalità sul sound  classico dei Whitesnake

Coverdale era un pifferaio del sesso e quei 42 minuti (americani, in Europa erano 53) emanavano feromoni animali, un richiamo erotico senza tanti infingimenti. “1987” chiamava all’appello tutte le donne per fare l’amore con la band. Raramente un album ha incarnato la quintessenza del sesso come “1987”. Va dato atto a Coverdale che in questo è sempre stato un professore honoris causa. Il videoclip di “Still Of The Night” con la futura moglie Tawny Kitaen era un perfetto cortometraggio di Playboy, patinato e ammiccante, che dette una grande spinta alla band. Non sono pochi a ritenere che la Kitaen contò a tutti gli effetti come un sesto membro in line-up per il propellente che portò alla causa del Serpente Bianco. Gli Whitesnake dal canto loro fungevano da degno contraltare della bellissima modella, con Covedrale ad atteggiarsi in pose platiche e Vandenberg a spingere la chitarra con affondi pelvici. Riconobbi subito che l’album era buono, anzi ottimo, ma c’era qualcosa che mi mandava fuori strada ed era l’ingrossamento colossale del sound. Pareva che gli Whitesnake avessero indossato la divisa da giocatori di football, con l’armatura per le spalle, i parastinchi e il casco. “1987” era come la versione Daniel Craig di 007, tutto portato all’eccesso con sbruffoneria, un machismo esasperato, urlato, quasi disperato. Se i Whitesnake che avevo imparato a conoscere erano più simili a Sean Connery, indubbiamente virili e maschi ma pur sempre eleganti e garbati, quelli di “1987” potevano far concorrenza al Gallo Cedrone di Verdone per ostentazione e sfacciataggine.

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IV – Il Mio 1987

“1987” è un assoluto capolavoro eppure resistevo a riconoscerlo come tale, non sapevo se sentirmi tradito o affascinato. Sulle prime poi, alcune tracce si mangiavano completamente le altre. “Still Of The Night”, “Bad Boys”, le riproposizioni di “Here I Go Again” e “Crying In The Rain”, la ballata “Is This Love” erano talmente enormi e roboanti da mettere in ombra  il resto della scaletta, che invece offre dei brani altrettanto splendidi come “Children Of The Night”, “Straight For The Heart”, “Don’t Turn Away”, i quali tuttavia si prendono il loro tempo per aprirsi un varco e far breccia nei cuori. Non sono “straight to the heart”, sono piuttosto dei mezzofondisti che si prendono il loro tempo per carburare, ma che poi hanno gioco facile persino a sostituire qualcuna delle canzoni inizialmente più esplosive. “Still Of The Night” rimane un pezzo più grande di se stesso, larger than life, rappresenta una band, una discografia, un genere, una decade, una visione, e sarà punto di riferimento per una infinita quantità di artisti a seguire. Non saprei dire se si tratti di un album coraggioso o furbo, spericolato o ruffiano; certamente è potente, elettrico, muscolare e strafottente. A suo modo perfetto. Coverdale canta coprendo un registro sonoro che va da acuti abrasivi e tonalità talmente calde e basse da frantumare anche la più massiccia cintura di castità in ferro battuto, e pensare che fino al giorno prima di registrare le sue parti aveva le corde vocali afflosciate in mano come lacci da scarpe. Il successo planetario del disco riporta in auge una band che affogata nella stanchezza depressiva di Coverdale stava addirittura per essere accantonata. La formazione rimane quella di “1987” ma a Vandenberg viene affiancata una superstar con la chitarra fluo fuxia e verde pisello, Steve Vai. Campbell non fa più parte della famiglia Whitesnake. Ricordo che all’epoca pensai che difficilmente sarei riuscito ad immaginare un chitarrista più alieno, avulso ed eterodosso di Steve Vai in relazione ai Whitesnake, eppure il genio di Coverdale stupì di nuovo tutti. 

Ancora la registrazione dell’album fu funestata da problemi di salute, stavolta di Vandenberg, che si era causato una forte tendinite pare a causa di esercizi pianistici. L’indisposizione lo costrinse a saltare la fase di registrazione del disco che pure aveva contribuito a scrivere con Coverdale. Di nuovo si aspettò perché le cose si ristabilissero ma poi, nel protrarsi dei tempi, Coverdale prese la decisione di sostituire temporaneamente Vandenberg con il folle axeman di Frank Zappa e David Lee Roth, operando una scelta forse mediaticamente molto eclatante ma stilisticamente assai rischiosa, poiché scambiò un chitarrista rock, caldo e blues, dall’impostazione “classica”, con un funambolo prestato al rock ma più addentro a bizzarrie e voli pindarici fusion, prog e molto ego riferito (un attributo che certo non mancava in seno agli Whitesnake). Sappiamo che Vandenberg non valutò la scelta come adeguata, ritenendo che (ancora una volta) il sound degli Whitesnake avrebbe perso in spinta blues a fronte di un virtuosismo esasperato. Col senno di poi “Slip Of The Tongue” si rivelerà un miracoloso esercizio di bilanciamento musicale. E’ vero quel che dice Vandenberg, Vai ha tolto blues e feeling, e ha riempito la scaletta di ultra note a velocità ipersonica, tuttavia questo strano esperimento che solo Coverdale aveva visto con gli occhi del futuro sta magnificamente in piedi. “Slip Of The Tongue” è un altro album atipico degli Whitesnake; per quanto prosegua sulla linea robusta di “1987”, rende il sound della band più affilato, chirurgico, focalizzato, lo innerva maggiormente di metallo rispetto all’hard rock piacione e rutilante di “1987”. Se quell’album grondava olio motore, questo è solido, compatto, non versa una goccia e fa scintillare l’acciaio levigato alla luce. Nel 1990 al Monsters Of Rock dell’Arena Parco Nord di Bologna vidi la formazione di “Slip Of The Tongue” dal vivo e fu uno dei concerti più belli della mia vita, un’autentica macchina da guerra. Come “1987” deluse molti fan della prima ora, anche “Slip Of The Tongue” non fu riconosciuto e accettato come tradizionalmente “Whitesnake“, l’hype mediatico fu opposto e contrario all’accoglienza dei die hard fans…. ma questa è un’altra storia da raccontare.

Discografia Relativa

  • 1987 – Whitesnake/1987
  • 1989 – Slip Of The Tongue

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