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Zed Yago

WORLDS BEHIND THE WORLD

Creati da Jutta Weinhold, sorta di Papessa nobile del metal fantasy-lettarario teutonico, gli Zed Yago a un certo punto della propria storia hanno “tradito” la loro genitrice, affidandosi alle cure di una nuova e conturbante istriona del Pirate Metal. A latere di questa contesa di affiliazione sono esistiti anche i Velvet Viper, sorta di continuazione sotto altra forma degli Zed Yago, ed una manciata di album solisti della Weinhold, ideale punto di incontro di filosofia hippie, Wagner, Goethe, Chrétien de Troyes, Ian Gillian e Ronnie James Dio.

Contenuti:

1. United Pirate Kingdom ruled by a Pirate Queen (intro)
2. In pellegrinaggio verso la RCA (1988 – 1989)
3. Una serpe di velluto in seno alla piratessa (1990 – 1992)
4. Jutta Weinhold: prima, durante e dopo (1993 – 2004)
5. Nepotismo illuminato nel regno di Yonder (2005 – 2010)
6. Lo scontro finale: Zed Yago vs Jutta Weinhold (outro)

1 – United Pirate Kingdom ruled by a Pirate Queen

La storia è quella di Zed Yago, una piratessa corvina, volitiva e tutta curve, stando almeno alla rappresentazione che ne dà Kai Bardeleben sulla copertina dell’esordio “From Over Yonder”, primo vagito discografico della band che dalla piratessa prende il nome. Non si fa una gran fatica ad identificare la guerriera con la frontwoman del gruppo, Jutta Weinhold, classe 1947. Certo Jutta qualche anno in più della versione fantasy di Angelica – la celebre “marchesa degli angeli” di letteraria e cinematografica memoria – lo porta in dote, e del resto gli Zed Yago non sono la prima band di Jutta ma quella alla quale il suo nome è più legato, il barlume di successo e visibilità che ha arriso alla singer di Essenheim (Renania-Palatinato) nonostante una carriera lunga e produttiva, ed ancora in essere sebbene non sia più parte di quella formazione.

Due album alla fine degli ’80, due gloriosi album, belli, corposi, meritevoli; questo ce lo diciamo tra di noi, perché né all’epoca né a posteriori la qualità di quegli 86 minuti complessivi è stata un motivo sufficiente a dare speranza ai nostri di entrare nel novero dei nomi che contano, o perlomeno dei nomi che potevano pagarsi le bollette con i dischi e non con un secondo/primo lavoro di idraulici, benzinai, operai saldatori e imbianchini. Tutto sommato gli Zed Yago arrivano troppo tardi col disco perfetto, il 1988 quelle sonorità continua a viverle, è vero, ma il decennio si sta avviando alla sua conclusione ed un anno prima gli Helloween li hanno bruciati sul tempo pubblicando il disco di metal tedesco definitivo, il secondo “Keeper”. Certi suoni gli ’80 li hanno oramai masticati e metabolizzati in abbondanza, la marcia inesorabile verso sconvolgimenti impensabili è intrapresa, anche se – per adesso – covano ancora sotterranei. Per oltre un lustro il Reno ha visto martellare incessantemente Rock n Rolf ed i suoi Running Wild, Hoffmann ed i suoi Accept, Boltendahl ed i suoi Grave Digger, Andy Aldrian ed i suoi Stormwitch, Michael Schenker ed i (quasi) suoi Scorpions, Axel Rudi Pell e i suoi Steeler (e gli Scanner, i Rage, gli Warlock, gli Heaven’s Gate), non può esserci lo stupore col quale era stato accolto nell’83 un “Holy Diver”, ma nemmeno un “The Last In Line” dell’84. Non sto citando dischi a caso, ve ne siete già accorti scommetto; Ronnie James Dio è il retaggio più stretto e prossimo agli Zed Yago, è l’artista senza il quale la loro musica non sarebbe mai potuta esistere. E’ la scaturigine, se non assoluta (mettiamoci pure i Deep Purple) perlomeno tracimante dei fiumi compositivi della ciurma piratesca.

Ciò è vero per due ragioni: 1) Il sound: araldico, regale, sospeso, ieratico, suadente, narrativo, come nei dischi di Ronnie James; 2) Jutta Weinhold: la voce che Dio (sempre il musicista intendo) avrebbe avuto se fosse nato donna. Se fosse esistita una cover band dei Dio Jutta avrebbe tranquillamente potuto fare le veci del piccolo ex Elf(o). Se Dio avesse abdicato al suo ruolo di singer, se avesse mandato affancucchia la band, o se Dio (quell’altro) lo avesse chiamato a sé con qualche decennio di anticipo rispetto a quanto verificatosi nella realtà, Jutta sarebbe stata la candidata ideale da assoldare per una fisiologica sostituzione. Jutta ha avuto la sfiga di arrivare dopo (alla ribalta del metal, perché anagraficamente tra i due corre appena 5 anni) e di essere donna, in un periodo storico nel quale la cantante metal donna era un motivo di diffidenza anziché di acquisto.

jutta

II – In pellegrinaggio verso la RCA

“From Over Yonder” è davvero un grande album e lo è su tutti i fronti. Dell’artwork abbiamo già detto, splendido, evocativo, intinto di una cromìa che da sola sa farsi ipnotica e spingere alla curiosità di esplorare i solchi vinilici che si celano all’interno. Le canzoni sono la quintessenza dell’heavy metal. Niente scorribande ultraveloci, niente tecnicismi esasperati, niente virtuosismi vocali, solo musica quadrata ed efficace. “From Over Yonder” è come una spaghettata aglio e oglio fatta come si deve. Non ci sono le estrosità dello chef multistellato, non c’è la ricetta wow, ma c’è la pasta saporita, la giusta cottura, un olio intenso, l’aglio aromatico. Ingredienti elementari, basici, quelli fondamentali, ben assemblati e cotti con sapienza, che nel palato trovano la propria sublimazione. Zed Yago è metallo fatto come si deve, la ricetta semplice e genuina del contadino, tutta concretezza e zero fuochi d’artificio. Sugli accordi strappati al main theme di 007 si alza il sipario e Jutta ci narra le vicende della piratessa maledetta dal padre (nientemeno che l’Olandese volante), il quale le lascia in dote un vascello di fantasmi intrappolati nella terra del crepuscolo, tra inferno e paradiso, mentre Zed Yago salpa ogni mare nel tentativo di scardinare questo destino immanente. L’universo che vediamo scorrerci davanti è popolato da donne volitive e battagliere, regni pirateschi e confini liminari tra cielo e acqua, realtà e fantasia, Bene e Male.

Trascorre appena un anno, nel frattempo gli Zed Yago hanno aperto i concerti dei Deep Purple e degli W.A.S.P., sono passati dalla Steamhammer alla prestigiosa RCA, e pubblicano “Pilgrimage”, con stessa line-up, compreso l’illustratore di copertina (ma viene fatto fuori il keyboardist Hansi Kecker). Molti considerano questo il miglior album degli Zed Yago, se non addirittura il miglior album di tutta la vita di Jutta Weinhold, e sicuramente una delle più felici creazioni della Germania borchiata. Stavolta in copertina sono ritratte sia Zed Yago che Jutta in una taverna (assieme al resto della band), in un allegorico ed ammiccante gioco di rimandi spettrali. Liricamente la vena di Jutta è quella di grandi affabulatori come Biff Byford o Steve Harris, qualcosa insomma di più colto rispetto alla media delle metal band coeve (e future). Nelle note interne di “From Over Yonder” già campeggiava una citazione di Schiller, ora è la volta di Goethe (non i “soliti” Lovecraft, Poe, King e Barker), e Wagner è omaggiato in entrambe le release (indubbiamente germanocentriche). La voce potente e stentorea della Weinhold domina e conduce il disco su vette olimpiche, sempre all’insegna di un “pirate metal” più prosaicamente riconducibile ad un calderone che fonde heavy, power, epic e NWOBHM. A mio gusto “Pilgrimage” non è così sfacciatamente superiore al suo predecessore; sarà che ho conosciuto i due dischi nell’ordine in cui sono stati pubblicati, ma sostanzialmente vedo un grande equilibrio (ed una qualità sopraffina) tra i due.

III – Una serpe di velluto in seno alla piratessa

Tutto perfetto e futuro roseo quindi? Macché. Jutta tira già la saracinesca sulla band che lei stessa aveva creato e mette in piedi rapidamente un nuovo progetto con Lars Ratz (futuro Metalium), Peter Szigeti ex UDO (ed anche ex dell’altra band tedesca con una carismatica e grintosa frontwoman, gli Warlock), Franco Zuccaroli (ex Steeler) e David Moore. Chiusa l’era degli Zed Yago inizia quella dei Velvet Viper (rettile che a posteriori intrigherà molto le band di retro metal, Crystal Viper, AxeVyper, Night Viper, etc.). Di nuovo un album di “esordio” autointitolato e tra i credits personali di Jutta c’è il solo Bubi Der Schmied facente capo agli Zed Yago, gli altri (soprattutto Jimmy Durand) non sono menzionati. Elegantemente ignorati. Il sentiero musicale di Frau Weinhold non cambia di una virgola, anzi cresce grazie ad una produzione più adeguata ed ancora più esaltante. E’ una citazione del poeta Christian Morgenstern ad introdurci stavolta nel mondo dei Velvet Viper, la cui ragione sociale rimane comunque la letteratura fantasy. Anzi, segnatamente quella cavalleresca e bretone, visto che l’album si dipana tra le vicende arturiane. Buonissima prova anche questa, un platter solido che sicuramente avrebbe potuto attrarre le simpatie di Ronald James Padavona, anche se le cronache mondane non ce ne hanno dato conto. Rispetto agli episodi firmati Zed Yago, Velvet Viper sembra leggermente più concreto e spigliato, ma indubbiamente il ruolo di protagonista indiscutibile rimane appannaggio della meravigliosa voce di Jutta.

Nonostante trascorra poco tempo tra questa release e la successiva “The 4th Quest For Fantasy” (giusto un anno), le cose stanno già cambiando anche in casa Velvet Viper. Va via la coppia di chitarristi e viene integrata con un solo axeman, Roy Last, un signor nessuno col solo pedigree di aver prestato la sua opera nell’album solista di Bubi Der Schmied (al secolo Claus Reinholdt), il quale ha prima prodotto un proprio lavoro solista (rendendo il suo nickname più anglofono e fregiandosi di una delle copertine più brutte di tutti i tempi), poi è stato addirittura richiamato a corte da Jutta in sostituzione di Zuccaroli. I Velvet Viper rimaneggiati passano dunque a 4 e rilasciano un disco per la T.A.O.B. Productions, modesta etichetta già responsabile di aver dato alle stampe il disco di Bubi. Il titolo scelto da Jutta è un indizio evidente del fatto che la singer ritenga i Velvet Viper una naturale continuazione del percorso iniziato con gli Zed Yago, questo è il suo quarto capitolo della storia, sempre attratta profondamente dal fantasy. Le tematiche rimangono infatti similari e le attenzioni della Weinhold hanno un focus rigorosamente muliebre, da Maria Stuarda (“Higland Queen”) alle valchirie (“Valkyries”), dalle amazzoni (“Ancient Warriors”) alle cavallerizze dell’Asia remota (“Horsewomen”), passando per le storie di Stella (“Stella”) ed Elena di Troia (“Trojan War”), e provando anche ad attualizzare qualcosa, come in “Modern Knights”, dove i cavalieri diventano un baluardo contro l’inquinamento.

L’album è un passo indietro rispetto a quanto realizzato sin qui. Intanto la Produzione non rende giustizia alla potenza che i Velvet Viper sono in grado di esprimere. I musicisti che accompagnano Jutta sono i meno brillanti tra quelli che hanno sfilato al suo fianco dal 1988. La batteria dello scenografico Bubi è piatta, lo schema del 4/4 pachidermico si fa estenuante, la chitarra non corre a riempire i vuoti e la sola Jutta, con la consueta eccellente prova dietro al microfono, tiene in piedi la baracca. I pezzi sono tutti gradevoli, coerenti con lo standard del marchio Weinhold/Viper, anche se leggermente più rock oriented, tuttavia non così trascinanti come nei tre album precedenti. Il platter in Italia non ha neppure un canale di distribuzione ufficiale; personalmente ricordo di averlo agguantato all’epoca – non senza una certa difficoltà – in Austria e di averlo riportato in Italia come un vero e proprio trofeo. L’artwork è bruttarello forte, opera di Petra Schieleit. E se pensavate di esservi liberati di qualche omaggio ad un padre della letteratura tedesca vi sbagliate di grosso, poiché torna a farsi vivo Wolfgang von Goethe.

 

IV – Jutta Weinhold: prima, durante e dopo

Nel 1993 Jutta Weinhold è di nuovo in ballo nel mercato discografico, solo che i Velvet Viper non ci sono più. Jutta sta per i fatti suoi e si pone lo shakespeariano e profetico dilemma: essere o non essere? La singer dagli occhi cerulei non è più l’alter ego di Zed Yago e nemmeno accarezza più vipere vellutate, è ufficialmente tornata ad essere un’artista solista, come accadeva alla fine dei ’70, quando incide “Coming” e “Jutta Weinhold”, i suoi primi due album, due vinili usciti per la tedesca Nova, che tuttavia non sono l’incipit della sua carriera musicale. Come molti musicisti Jutta getta le basi della sua professione sin dall’età scolastica; The Strikeman si chiama la sua band di allora. Poi è la volta degli Special Voices, con i quali si esibisce perlopiù nel circuito dei locali americani della Germania dell’Ovest. Attorno al 1974 partecipa alla sessione francese del tour degli Amon Dull II – e più tardi partecipa anche al tour di Udo Lindenberg (un Udo assai più famoso in Germania di Dirkschneider) – durante il quale conosce il suo futuro marito nonché producer degli album degli Zed Yago, Ralf Basten. Riveste ruoli nei musical “Hair” e “Jesus Christ Superstar” e collabora con musicisti jazz.

Pur muovendo da basi blues, psichedeliche e folk rock, nell’82 Jutta è la voce dei Breslau, punk band tedesca imparentata con i riff degli AC/DC, autrice di “Volksmusik” (nel quale suona Alex Parche, guitar hero minore che si accaserà poi sotto la T.A.O.B. per la sua carriera solista, prima di passare a miglior vita nel 2009). L’album, prodotto dalla Harvest, è piuttosto “cheap” e mostra evidenti limiti tecnici da parte degli strumentisti, tuttavia ha un suo fascino, acchiappa spesso e volentieri i ritornelli giusti (rigorosamente in tedesco) e lascia trasparire una certa insofferenza urbana ed un’urgenza espressiva che sanno farsi apprezzare. In una Germania ancora divisa dal Muro e prona a leccarsi le ferite della Seconda Guerra Mondiale, l’iconografia militaresca dei Breslau li fa etichettare immediatamente come pro nazi, il che non gioca affatto a loro favore, tant’è che l’esperienza si conclude con il solo “Volksmusic”, anche perché Jutta lascia subito. Da notare che la prima scelta non era stata affatto la Weinhold bensì una certa Lehmann, la quale deluse band e label, che infatti corsero ai ripari stipendiando Jutta all’ultimo tuffo e facendole ri-registrare le parti vocali. Per quei maniaci che come me hanno la ristampa del 2002 del CD ad opera della Shpadoinkle Records, segnalo che nella versione demo di “Held Im Traum” (una delle bonus track) è ancora possibile udire la voce della Lehmann.

Altri nomi si avvicendano nel curriculum di Jutta, la Kaftan Blues Band, i Blue Note, ma nel 1993 è come Jutta Weinhold che pubblica il vinile “To Be Or Not…”. I credits la segnalano come colei a cui va intestato tutto, musica e testi, interamente. I musicisti che la coadiuvano sono solo dei turnisti esecutori senza gloria (sul disco manco vengono nominati). L’artwork è quanto di più anonimo possa esistere, ma sul resto Jutta è ritratta accanto ad una pila di libri, a rimarcare il suo afflato letterario mai sopito (e del resto, il titolo dell’album ha natali nobili). Musicalmente il sound tenta una fusione tra le esperienze remote e recenti della cantante, fondendo un impianto rock con melodie e vocalismi più epici ed impostati, ma stemperando anche l’irruenza degli Zed Yago e dei Velvet Viper (perlomeno quelli del primo album). Nonostante la finale “Master Of The Ring”, pure l’approccio fantasy è visibilmente annacquato in direzione di una maggior contemporaneità dei testi.

Dal 1995 presiede dei workshop di cori gospel rock – da lei stessa istituiti – nella città di Handel, nella bassa Sassonia. Un nuovo album arriva nel ’99 (“In Session”), ma è sostanzialmente una scaletta di cover realizzata con l’apporto del tastierista Klaus Henatsch (entrato nei progsters Nektar nel 2007), con il quale Jutta ha già condiviso un pezzetto di strada ai tempi dei Blue Note, sempre durante gli anni ’90. Hendrix, Rufus Thomas, Carole King, Aretha Franklin, il repertorio di Jutta è decisamente classico. Di certo la carriera non le sta andando a gonfie vele, il sogno di sfondare con una metal band è svanito, e le difficoltà complessive che l’heavy metal sta affrontando nel suo decennio più maledetto non aiutano. Jutta vivacchia e bisogna aspettare il 2004 prima che le sue corde vocali tornino a vibrare professionalmente in uno studio di registrazione. Dopo aver pubblicato album come Jutta Weinhold ora diventa solo Weinhold, e grazie all’Armageddon Music della compagna di scuderia Sabina Classen edita “From Heaven Through The World Of Hell”, un lavoro che già dal titolo pecca di logorrea. 65 i minuti di durata, distribuiti tra 11 tracce co-scritte col chitarrista e produttore Kai Reuter (Viva, Fair Warning). Quanto a citazioni letterarie tedesche stavolta c’è direttamente una intera poesia di Hermann Hesse, “Gestutzte Eiche” (“La Quercia Spezzata”), richiamata pure nell’artwork. Come bonus track, un tributo agli Zed Yago (una live version di “Black Bone Song”). “F.H.T.T.W.O.H.” si avvicina proprio a quell’esperienza, spingendo però parecchio sulla via di una modernizzazione con chitarrone ribassate e un po’ compresse del metallo solenne di “Yonder” e “Velvet Viper”. Nell’insieme il risultato non è strabiliante, Jutta si muove con fare impacciato e legnoso in questo contesto, e di per sé il songwriting non è favoloso, anzi pure un po’ cervellotico.

V – Nepotismo illuminato nel regno di Yonder

Che ti combina nel frattempo Jimmy Durand, quel Jimmy Durand compagno di scorribande piratesche assieme a Jutta sin dal 1988? Contatta Bubi “arancino” The Schmied e riforma gli Zed Yago. E chi incorona nuova regina dei microfoni? Sua moglie Yvonne. Nel 2005 per Twilight Zone Records esce “The Invisible Guide”, l’album che non ti aspetti. All’epoca, da vecchio fan della band e da estimatore di Jutta, confesso di aver letto l’operazione come una ruffianata opportunistica e irrispettosa verso colei che quella band l’aveva fondata, condotta e portata a quel minimo di fama che era possibile strappare alla fine degli anni ’80. Dunque non mi sono approcciato al disco con uno ma con mille preconcetti (il cambio di logo poi è una di quelle robe che il metallaro nerd-feticista accetta in preda alla disperazione). Tuttavia, mio “malgrado”, ho dovuto ammettere sin dal primo ascolto che i coniugi Durand avevano fatto un ottimo lavoro, pubblicando non solo un disco estremamente valido, ma anche assai coerente con il monicker riportato in copertina. Gran bei pezzi, uno dopo l’altro, senza saliscendi di alti e bassi in scaletta e con una nuova frontwoman assolutamente all’altezza della situazione. Come Jutta, anche Yvonne non è giovanissima, ma il suo look aggressivo – fatto di trasparenze, reggicalze e parrucchiere in servizio permanente effettivo 24h – la fa entrata di diritto nella categorie “cougar borchiate crucche”, dando una sterzata vagamente sexy agli Zed Yago. La timbrica di Yvonne è meno elegante e dinamica di quella di Jutta, è evidente che tecnicamente siamo qualche gradino al di sotto, tuttavia la signora Durand ripaga l’ascoltatore in termini di grandi ed appassionate interpretazioni che finiscono ugualmente con l’arricchire il comparto sonoro.

La reazione di molti fan sulle prime è di stampo integralista, comprensibilmente; Jutta non è banalmente stata un membro degli Zed Yago, è stata Zed Yago incarnata, ma va dato a Cesare quel che è di Durand, “The Invisibile Guide” è la miglior produzione della famiglia Yago/Viper dal 1991, e senza ombra di dubbio oscura il modesto album d’esordio degli Weinhold. Questi ultimi rispondo colpo su colpo, pubblicando nel 2006 “Below The Line”, mentre Durand fa uscire un live – con la chiara intenzione di battere il ferro caldo – che osa addirittura mettere in scaletta pezzi di Jutta ricantati da Yvonne. E’ il ventennale degli Zed Yago e la battaglia tra York e Lancaster non si combatte a mazzi di rose ma di album.

“Below The Line” apre con “The Storyteller”, il cui testo è una collazione di titoli di canzoni degli Zed Yago, Jutta sta chiaramente rivendicando la maternità di quella creazione artistica. Rispetto a “F.H.T.T.W.O.H.” si circonda di una band meglio assemblata, col ritorno di Lars Ratz al basso, e Michael Ehré (Metalium, Uli Jon Roth, Firewind, Gamma Ray) rispettivamente a chitarra e batteria (assieme a Krasten Kreppert, che poi passerà alle pelli del nemico Durand). L’album prosegue coerentemente con il suo predecessore ma progredisce sotto ogni aspetto, Produzione, songwriting, quadratura generale. Purtroppo permane la convinzione che lungo è meglio (72 minuti) e qualche passaggio – vivendo prevalentemente di 4/4 enfatici e anthemici – può risultare pedante. Jutta migliora se confrontata con se stessa due anni prima, ma gli Zed Yago 2.0 continuano ad essere più convincenti e freschi, per quanto possa essere sentimentalmente disagevole doverlo ammettere. La sfida di andata è temporaneamente vinta dai Durand e per il ritorno bisogna attendere il 2010, quando con una tutt’altro che sorprendente coincidenza temporale le due fazioni belligeranti fanno uscire rispettivamente “Read Between The Lines” (tornando al nome e cognome per esteso, Jutta Weinhold) e “Pirates From Hell”.

VI – Lo scontro finale: Zed Yago vs Jutta Weinhold

Al trio Durand/Durand/Bubi si aggiunge il tastierista Tony Carey (che non è il fratello di Mariah ma il regista delle keyboards su “Rainbow Rising”, nonché turnista per Axel Rudi Pell, i Sinner e tanti altri portatori teutonici di denim & leather). Tale Vince Viking si occupa delle back vocals e fa la sua comparsata come sparring partner maschile di Yvonne su “End Of The World” e “Valley Of The King”, infine al basso viene accreditato nientemeno che Markus Grosskopf (fan della band dai tempi di Jutta). Con questa formazione più o meno d’assalto gli Zed Yago reclamano il loro posto nel consesso metal a cannonate di pirateria infernale, infarcendo la scaletta di titoli emblematici (“Born To Rock”, “Master Of Black Arts”, “Forever”, “Believe In Metal”, “The Beast”, “Burning Witches”, etc.) e proclamando il disco una “limited edition”, sempre e comunque, visto che la dicitura è stampigliata di default in copertina. Quello che più prosaicamente ci ritroviamo per le mani è un capitolo nettamente inferiore all’inaspettato e sorprendente “The Invisible Guide”, ulteriormente affondato da una Produzione casereccia che uccide innanzitutto il drumming del già fin troppo basico ed elementare Bubi, per poi inficiare comunque il risultato nel suo complesso. Gli Zed Yago sono più spompati di cinque anni prima e non risulta poi così strano che ad oggi – nonostante un’attività live sempre vitale – la discografia dei nostri non abbia conosciuto nuove release.

Sul versante Jutta, l’amazzone di Essenheim si prende invece la sua rivincita. “Read Between The Lines” è un dischetto che riesce a ricomporre tutte le varie anime della cantante. Ineludibile il debito di affetto verso il metallo epico e solenne degli Zed Yago e dei Velvet Viper, accanto però a reminiscenze rock blues mai rinnegate. Jutta sembra aver trovato una sua dimensione capace di raccogliere tutte le tessere del mosaico e disporle in un’armonica convivenza. Un lavoro la cui eterogeneità si fa ricchezza, un disco ponderato, privo di ansie prestazionali e smanie di ammodernamento perchessì. Pure Jutta continua regolarmente ad esibirsi nei locali, sotto il monicker Jutta Weinhold Band. Il ruolo di drummer è ricoperto da un tizio che forse non avete mai sentito nominare: Bubi The Schmied. Il 2010 dunque mette a verbale un goal per parte e palla al centro. Da allora né i DurandJutta hanno timbrato altri cartellini discografici. Il loro metal un po’ agée e impolverato continuerebbe certamente a fare la gioia di molti retro metallers (tra cui il sottoscritto), tuttavia pare difficile che una Nuclear Blast o una SPV siano ancora disposte a farsi carico di nuove loro produzioni. Il terreno dell’underground autofinanziato o del digitale do-it-yourself sarà l’eventuale prossimo campo da gioco, semmai il vascello volante della figlia dell’Olandese Volante dovesse miracolosamente tornare a solcare i cieli oceani.

Discografia Relativa

  • Zed Yago:
  • 1988 – From Over Yonder
  • 1989 – Pilgrimage
  • 1989 – Black Bone Song (EP)
  • 2005 – The Invisibile Guide
  • 2006 – Live/The 20th Anniversary Of Zed Yago
  • 2010 – Pirates From Hell
  • Velvet Viper:
  • 1991 – Velvet Viper
  • 1992 – The 4th Quest For Fantasy
  • 2008 – Respice Finem
  • 2019 – The Pale Man Is Holding A Broken Heart
  • 2020 – From Over Yonder (remastered/rereleased)
  • 2020 – Pilgrimage (remastered/rereleased)
  • 2021 – Cosmic Healer
  • Jutta Weinhold:
  • 1976 – Coming
  • 1978 – Jutta Weinhold
  • 1993 – To Be Or Not…
  • 1999 – In Session
  • 2010 – Read Between The Lines
  • Weinhold:
  • 2004 – From Heaven Through The World To Hell
  • 2006 – Below The Line
  • Breslau:
  • 1982 – Volksmusic

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