Quando Sabina Classen si stufò degli Holy Moses, oramai alla deriva, e tentò la scalata al thrash metal da una diversa angolazione: grunge, psichedelia ed inquietudine. Una sbandata – o un esperimento interessante – durato il volgere di un lustro.
Contenuti:
1. Ribelli senza causa. Per una band che si sfascia, una nuova ne nasce (1992 – 1994)
2. Il mondo è un teatro e l’assurdo è la sua legge (1995)
3. Il Teatro non decolla, la platea si svuota e gli anni ’90 passano troppo alla svelta (1996 – 1999)
4. A consuntivo, si riparte da dove il cerchio si era interrotto. Il Teatro chiude e ritorna Mosè (2000 – 2001)
1 – Ribelli senza causa. Per una band che si sfascia, una nuova ne nasce
Nel 1995 le cose per gli Holy Moses di Andy Classen cambiano drammaticamente. Lo stato del suo matrimonio con Sabina Hirtz va di pari passo col disgregamento progressivo della band. Dopo sei album, Sabina abbandona il gruppo, “No Matter What’s The Cause” diventa il primo lavoro dei tedeschi a contare sulle vocals dello stesso Andy (sebbene supportato comunque dalla moglie alle back vocals, e sostituito in una song, la profetica “I Feel Sick”). C’è maretta nel gruppo, Andy va nella direzione di un disimpegno sempre maggiore dal songwriting, il timone passa agli altri band mates. Il punto è che gli “altri band mates” sostanzialmente sono appena arrivati nei Moses; il batterista Hervig si è insediato appena due anni prima con “Reborn Dogs”, e Dan Lilker al basso è una specie di jolly di passaggio. I Moses praticamente non ci sono più nei fatti e “No Matter What’s The Cause” lo certifica plasticamente, avendo perso Sabina (totalmente) e Andy (parzialmente). Frau Classen nel frattempo trova una valvola di sfogo, un giocattolo chiamato Temple Of The Absurd fondato nel dicembre del ’92, parallelamente ai Moses, la cui line up riunisce Thomas “Schrödey” Schröder (chitarra) e Robert “Ozzy” Frese (basso) – transitati senza lasciare grandi tracce nei Warpath – Mike Rech (batteria) e Phillip Vogelbein (chitarra) – i quali invece hanno militato nei thrashers Despised (tanti demotape ed un solo full-length, uscito nel ’93 per la West Virginia Records, la label che i coniugi Classen hanno fondato nel ’90). I due Warpath rivestono un ruolo strategico anche al di fuori del palco poiché producono il debut “Absurd” e ne curano la fisionomia del suono in sala di registrazione. Frese addirittura si occupa assieme a Sabina di tutte le questioni concernenti logo, layout e design, probabilmente compra le birre, la carta igienica per i cessi dello studio e dipinge le unghie alla Classen.
II – Il mondo è un teatro e l’assurdo è la sua legge
“Absurd” esce in modo autofinanziato in 3000 copie nel settembre del ’95 (un bel formato digipack) e a gennaio del ’96 la WEA Records si sta già occupando di ristamparlo con le proprie insegne sopra. La prima data live dei Temple risale al maggio del ’93, nientemeno che al Dynamo Open Air Festival, dove 50.000 fans salutano il battesimo del “nuovo gruppo della cantante degli Holy Moses“. Seguono tour in Olanda e Belgio, e le partecipazioni ad altri festival tra Germania e Svizzera in compagnia di Biohazard, Coroner, Atrocity. Sempre nel ’93 la stampa tedesca ha individuato nei Temple la “speranza per il metal di Germania“. Non stupisce affatto quindi l’interessamento della WEA al riguardo. Nel giugno del ’94 Sabina matura definitivamente la decisione di cantare solo per il Tempio, abbandonando Mosè al proprio destino in concomitanza delle registrazioni di “No Matter”. Stilisticamente “Absurd” fotografa bene il momento esistenziale della sua frontwoman. Il retaggio dei Moses c’è ma non cannibalizza ogni cosa come ci si sarebbe forse immaginati. Rispetto al thrashcore del gruppo di Aachen (che dagli esordi di “Queen Of Siam” è maturato tecnicamente e strutturalmente, pur rimanendo sempre abrasivo e sbilenco come impostazione) i Temple Of The Absurd incupiscono e rallentano il songwriting, intingendolo di una specie di psichedelia thrash depressiva. Partenze e tupa-tupa veri e propri non ce ne sono nei tre quarti d’ora di durata dell’album. Il quintetto affonda nella melma, mescola e rimescola sensazioni negative, disagevoli, mette sulle spine l’ascoltatore non disdegnando fraseggi stranianti e acidi, ma sempre calmierati a livello di ritmiche, in modo che la velocità non funga da potenziale via di fuga e di “alleggerimento”. Il clima deve rimanere asfittico e opprimente come le mura di un sanatorio per malati di mente. Nevrosi, ansia, frustrazioni, angoscia, suor Sabina traduce in musica quello che doveva essere probabilmente il suo stato d’animo per aver perso al contempo il baricentro di una vita artistica e sentimentale. All’epoca di “Absurd” circola già lo scadenziario futuro della band, un possibile tour con i Fear Of God di Dawn Crosby (musicalmente alquanto omogenei alla proposta dei Temple Of The Absurd) ed un secondo disco da pubblicare nel 1997 dal titolo “Disorder Of The Order” (che, come è noto, sarà invece il titolo dell’album con il quale Sabina si riapproprierà dei Moses, con il fido Andy in cabina di regia).
III – Il Teatro non decolla, la platea si svuota e gli anni ’90 passano troppo alla svelta
Dopotutto siamo negli anni ’90 conclamati, Mother Love Bone, Pearl Jam, Alice In Chains, Soundgarden, Nirvana, Stone Temple Pilots, Temple Of The Dog, hanno tutti già cominciato a intonare le loro lamentose giaculatorie, la contaminazione alternativa del metal, anche quello più intransigente all’apparenza, ha avuto inizio, il processo è irreversibile ed una quota parte di nenie e singulti vanno messi in conto persino con una derivazione degli Holy Moses, una band rude e cruda del thrash operaio tedesco. Le foto dei Temple Of The Absurd dell’epoca vedono un look total black, ma allo stesso tempo la Classen (che non ha cambiato granché il suo approccio vocale) lascia minimamente emergere la propria femminilità, indossando un filo di make-up, vestitini che scoprono le gambe e occhialini da sole alla John Lennon. Cosa mai accaduta nei Moses.
La pubblicazione di “Absurd” desta interesse e chiacchiericcio, complice anche il curriculum della Classen. La band sembra avviarsi spedita verso la costruzione di una discreta posizione di rendita e la messa in cantiere di un successore al debutto. Invece trascorrono ben 4 anni prima che “Mother, Creator, God” venga pubblicato. Esce per High Gain Records praticamente alla fine del decennio, label minore per la quale pubblicano altri heroes tedeschi altrettanto “minori” come Pink Cream 69 e Sinner. La line-up cambia per metà, rimangono Sabina e Schrödey, arrivano di rinforzo Maurer al basso (sempre dai Warpath, praticamente il vivaio dei Temple Of The Absurd) e Big M (con un futuro ad attenderlo nei Paragon). Evidentemente le cose si sono complicate più del previsto in casa Temple.
Con i Moses fuori gioco, Sabina insiste caparbiamente con l’unico progetto che ha per le mani. “Mother, Creator, God” si attesta come un livello superiore rispetto ad “Absurd”, focalizza con maggior maturità e consapevolezza la “poetica” della band. Effetti stranianti ed una latente psichedelia di fondo permangono, ma nell’insieme il sound è meno slabbrato, chitarre e melodie sanno farsi più rotonde all’occorrenza, persino rock, e l’insieme della visione Temple Of The Absurd si fa più coerente e compatta, sistematicamente poggiata su mid-tempos. Sabina fa sempre il vocione cattivo ma meno irruento e sgraziato, lo adatta con più attenzione alle partiture. Il rovescio della medaglia per tanta omogeneità è che “Mother, Creator, God” offre meno imprevedibilità rispetto all’esordio; si ascolta più facilmente sulle prime, si metabolizza con minor difficoltà, ma a lungo andare esaurisce più rapidamente la sua corsa. E’ un po’ come se la band avesse voluto imporsi dei binari più rigidi sui quali rimanere, tarpandosi le ali in direzione di svolazzi magari più sgangherati ma allo stesso tempo anche più fantasiosi e sorprendenti (eccezion fatta per l’inaspettato rap maschile presente su “One Step”).
IV – A consuntivo, si riparte da dove il cerchio si era interrotto. Il teatro chiude e Mosè ritorna
L’ideale sarebbe stato trovare una sintesi tra i due aspetti, tuttavia in qualche modo i Temple preferiscono “normalizzarsi” e cercare di corteggiare qualche trasher in più anziché andare ancora a solleticare il pubblico alternative, del resto il decennio dei ’90 è (finalmente) al termine, si può tirare un sospiro di sollievo, c’è il cambio di stagione, la flanella sta per tornare nell’armadio, sotto naftalina. Come per “Absurd”, anche “Mother, Creator, God” a livello di packaging si offre come un prodotto molto curato, un booklet di 24 pagine corredato di tutti i testi e strabordante di foto. La band (sempre in nero) è ritratta mentre nottetempo vaga “metafisicamente” per la città, ed ogni membro della formazione ha il suo parterre di ritratti dedicati. La confezione prevede un cd-rom accluso alla parte audio contenente vari filmati live e di vita on the road, e dei sample di “Absurd”.
Nuovamente tutto pare impacchettato per fare il botto definitivo e invece i Temple Of The Absurd muoiono qui, tempo un paio d’anni e Sabina Classen sarà di nuovo in sella ai suoi Holy Moses (suoi e solo suoi, visto che della vecchia formazione sopravvive unicamente Andy Classen relegato a producer), dapprima con l’EP anticipatore “Master Of Disaster”, poi con il comeback album vero e proprio “Disorder Of The Order”. La decisione si rivela azzeccata poiché, nonostante gli otto anni di assenza delle band, l’ottavo album dei Moses è un bel ritorno. Un po’ rugginoso, con delle parti da oliare e un un po’ di acido lattico da smaltire in concomitanza del rientro nell’arena gladiatoria, ma comunque una prova discreta da parte del gruppo, dato praticamente per cadavere all’indomani di “No Matter”. Di morti sul campo invece rimangono i Temple Of The Absurd, pesantemente ancorati all’uggia e alla indefinitezza degli anni ’90 e senza alcuna prospettiva di una riesumazione.