La cosa più facile se vuoi fare metal è vestirti da biker, riempirti di borchie, spunzoni, diavoli e croci rovesciate, metter su la faccia ingrugnita, salutare tutti col dito medio e predicare nichilismo e misantropia a secchiate. Praticamente l’identikit di Kerry King. Ma provate a fare l’esatto contrario, mettetevi un cartello al collo come Bruce Willis in Die Hard 3 e girate per i locali più malfamati di Caracas innalzando lodi al Signore. Ci vuole un gran coraggio ad essere diversi e gli Stryper lo hanno avuto.
Contenuti:
1. Videodrome (l’antefatto)
2. Isaia 53:5 (1979 – 1983)
3. Tre album clamorosi: padri, figli e spiriti santi del rock (1985 – 1988)
4. Against the stripes (1990 – 2005)
5. Second coming (2009 – 2022)
1 – Videodrome (l’antefatto)
Quella di Orange è una delle 58 contee della California, il suo orientamento è prevalentemente conservatore e repubblicano, vive di sviluppo tecnologico (si trova al centro della cosiddetta Tech Coast) e di turismo (Disneyland!). Ha visto di recente incrementare la sua fama quando a partire dal 2003 la Fox trasmise la serie tv O.C. In questo contesto crescono i fratelli Michael e Robert Sweet, la cui famiglia si converte prepotentemente al cattolicesimo influenzata dalla tv, e segnatamente dal telepredicatore Jimmy Swaggar, un personaggio clamoroso negli States, passato dalle stelle alle stalle, anzi sarebbe più appropriato dire dal Paradiso all’Inferno. Il suo “ministero televisivo” prende avvio nel 1971; appena un decennio dopo, al picco di notorietà, il suo programma si muove su circa 3000 differenti stazioni e canali tra radio e tv, dentro e fuori gli Stati Uniti. In quella decade vende pure 17 milioni di album (suona il piano ed è un baritono), tanto da ricevere una nomination ai Grammy Award per la miglior performance di gospel tradizionale. Nel 1988 la sua stella si oscura rimanendo coinvolto in uno scandalo riguardante la prostituzione che gli costerà la laicizzazione forzata. Tre anni dopo accadrà di nuovo, contribuendo a ridimensionare sensibilmente il personaggio. E’ agli atti come uno dei momenti televisivi più intensi e drammatici della storia del tele-evangelismo la confessione in lacrime di Swaggar trasmessa il 21 febbraio del 1988 nella quale, pur senza scendere nei dettagli, il predicatore chiede perdono a Dio per i propri peccati, una confessione inevitabile poiché da tempo altri predicatori con i quali Swaggar era in lotta minacciavano di rendere pubbliche anche le ombre più fetide delle sue magagne. Nel 1991 Swaggar reagisce diversamente, al cospetto della sua congrega afferma che “il Signore gli ha detto che non sono affaracci loro“. Swaggar è quello di “Miracle Man” di Ozzy Osbourne, ma anche di “Holy Smoke” degli Iron Maiden e di “Airline Highway” degli Zodiac Mindwarp, per non parlare di “Jesus He Knows Me” dei Genesis, satira che abbraccia i telepredicatori alla Swaggar, come anche Robert Tilton e Jim Bakker.
II – Isaia 53:5 (1979 – 1983)
Tra i leit-motiv denigratori di Swaggar c’erano le intemerate contro l’omosessualità e la musica rock. Michael ha 19 anni e Robert ne ha 16 quando formano una band chiamata Roxx, che l’anno dopo diventa Roxx Regime. Registrano un primo demotape ma la cosa non ingrana. Abbandonati dagli altri strumentisti che si erano avvicendati sin lì, gli Sweet cercano di rimettere in piedi la band ed alla loro corte si affacciano senza successo Doug Aldrich e C.C. DeVille, quest’ultimo dura appena un mese, poi se ne va perché in realtà non si trova granché a proprio agio con i progetti che i fratelli hanno in mente per il gruppo, soprattutto concettali ed estetici (mentre nei Poison tutto sarà all’insegna del garbo, della misura e della sobrietà….). Poco male, viene sostituito da Oz Fox e ai tre si aggiunge il bassista Tim Gaines. Abbiamo il battesimo della formazione classica degli Stryper. Il nuovo monicker viene assunto nell’83 proprio con l’arrivo di Fox e Gaines, e pare debba attribuirsi al bassista. Tutto si va delineando, le strisce fanno riferimento al passaggio biblico di Isaia 53:5, riportato poi direttamente nel logo della band: “Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe (stripes) noi siamo stati guariti“. Dunque le piaghe di Cristo ci hanno guarito, ci hanno salvato ed in nome di quelle gli Stryper innalzano il loro canto a Dio. Amen. Assumono come tormentone il numero divino 777 in contrapposizione al 666 luciferino tanto in voga nel metal e stabiliscono una vera e propria uniforme da indossare fatta esclusivamente dai colori giallo e nero, che si estenderà anche agli strumenti suonati on stage.
Arriva la firma di un contratto, è la californiana Enigma Records a dare alle stampe (in circa 20.000 copie) il loro primo Ep di 6 tracce “The Yellow And Black Attack” nel luglio del 1984. Enigma è dubbiosa sulle potenzialità di una band che sbandiera apertamente il proprio credo religioso, aspetta di vedere cosa succede quando il vinile arriva nei negozi. Il core business degli Stryper era esattamente quello, in forte difficoltà con il messaggio “immorale” di band come i Van Halen (dei quali gli Sweet erano grandissimi fan), gli Stryper cercano di innervare il rock di contenuti positivi, o perlomeno quelli che loro ritengono tali; coniugano così l’alfa e l’omega della loro esistenza, la musica e Dio. L’attacco giallonero va alla grande, la band apre dal vivo le date per Ratt e Bon Jovi. La contiguità con soggetti piuttosto licenzioso come Stephen Pearcy, Richie Sambora e Jon Bon Jovi intavola subito il dibattito sulla genuinità della professione di fede degli Stryper, una storia infinita che la band si è portata sul groppone come una croce. Di per sé il mondo rock e quello metal in particolare vivono di eccessi, che si tratti di sesso facile, di droga, di alcol e più in generale di uno stile di vita dove louder is better, dunque atteggiamenti, comportamenti ed attitudini rozze, grossolane, adolescenziali, spaccatutto e ipertrofiche quanto ad ego; ovvio che quattro soldatini di Dio potessero essere delle mosche bianche in un simile contesto, tuttavia la missione degli Stryper evidentemente è sempre stata anche questa, dimostrare che un’alternativa era possibile.
III – Tre album clamorosi: padri, figli e spiriti santi del rock (1985 – 1988)
Il 15 maggio 1985 esce “Soldiers Under Command”, primo vero full-length che mette in chiaro la tenacia e la determinazione degli Stryper. L’album è sensibilmente più duro e metallico del suo predecessore, complice una produzione schiacciasassi (appannaggio di Michael Wagener). Naturalmente non mancano ballad dolcissime, come sempre nei loro dischi, ma ciò non toglie che il nerbo della band in questo capitolo sia decisamente forsennato e aggressivo (“Makes Me Wanna Sing”, “The Rock That Makes Me Roll”, “Reach Out”, “Surrender” e la stessa title-track). Del resto i quattro sono o non sono ritratti armi in pugno accanto ad un mezzo blindato d’assalto (deliziosamente a strisce)? God’s patrol. Il raggiungimento del mezzo milione di copie vendute trasforma “Soldiers” nel primo album “cristiano” ad aver mai raggiunto la certificazione gold. Il feedback che la band riceve porta all’esborso di un budget assai più generoso per la ri-registrazione e ri-pubblicazione dell’Ep d’esordio, ora esteso a 14 minuti in più, con una scaletta che passa da 6 a 8 tracce, 9 se si conta anche la bonus track per il mercato giapponese (“Winter Wonderland”). Unico neo, la nuova copertina, decisamente meno bella di quella originale.
Il 24 ottobre 1986 scocca l’ora della consacrazione (semmai ce ne fosse stato bisogno), terza release di casa Stryper, quella che deve assegnarli definitivamente al team di coloro che ce l’hanno fatta. “To Hell With The Devil” diventa platino dopo aver trascorso tre mesi nella chart di Billboard, con circa 2 milioni di copie vendute. Un nuovo record discografico per la fede cristiana. MTV ha in heavy rotation i video di “Soldiers Under Command”, “Honestly”, “Calling On You”, “Free”. Per dare una misura delle dimensioni del fenomeno Stryper, bisogna aspettare il 2001 perché un album cosiddetto “cristiano” ottenga vendite migliori di “To Hell With The Devil”, accadrà con “Satellite” dei P.O.D.. Anche in questo caso doppia copertina, con la prima (che ritrae quattro angeli piuttosto simili ai membri della band che ricacciano il diavolo all’inferno) decisamente migliore della seconda (semplicemente logo su sfondo nero dentro un triangolo luminoso). Tim Gaines fisicamente non partecipa alle registrazioni dell’album (le tracce vengono incise da Brad Cobb), lo allontana Michael Sweet ritenendolo non all’altezza. E’ la prima crepa in casa Stryper, poi ricucita più o meno maldestramente con il reintegro del bassista dovuto al fatto che Michael non riteneva possibile far esibire gli Stryper senza uno dei suoi membri originali. Gaines quindi figura nelle photosession e segue la band nel tour mondiale del disco. A tal riguardo gli Stryper sono headliner al Dynamo Open Air Festival del 1987. “To Hell WIth The Devil” è forse l’album più maturo del gruppo, quello nel quale tutti gli elementi sono bilanciati al meglio, l’equilibrio è perfetto, melodia e tensione si sostengono a vicenda, Fox delizia il palato con ottimi assoli e praticamente ogni pezzo centra il bersaglio ma “The Way”, “Rockin’ The World” e “More Than A Man” in particolare strappano via la carne dalle ossa.
Lo schema Tim Gaines (tracce di basso incise da Cobb, Gaines che si fa fotografare e poi va in tour) si ripete identico anche con “In God We Trust”, il quarto album pubblicato il 28 giugno 1988. Dalla certificazione platino si torna a quella gold, il primo singolo “Always There For You” entra in classifica ma per tempo di permanenza e posizione il responso è meno trionfale di due anni prima. Gli Stryper vengono sommersi di critiche, da un punto di vista strettamente musicale l’album sconta un avvicinamento molto marcato a sonorità quasi pop, assai distanti per ruvidezza da quelle di “Soldiers Under Command” ma anche di “To Hell With The Devil”; d’accordo la dolcezza, persino melliflua, nei solchi degli Stryper non è mai mancata, ma la produzione di “In God We Trust” è decisamente più morbida e accogliente, ed anche un up-tempo sparatissimo come “The Reign” – che, per inciso, è una fantastica canzone – non fa uscire fiotti di sangue vivo dalle vene. In aggiunta a ciò, anche l’aspetto dei quattro campioni di Dio risente degli influssi glam-hair metal del periodo. L’album non è circondato da buone vibrazioni e la sensazione che la band si stia un po’ svendendo c’è (la copertina sostanzialmente è una banconota, il foglio interno dei testi lo è di fatto, aprendosi in orizzontale). Eppure, nonostante l’alleggerimento ci sia e la diabetizzazione del sound risulti evidente, il songwriting nudo e crudo non fallisce; “In God We Trust” è un brillante album di marca Stryper, ruffiano, laccato, a tratti pure un po’ pacchiano, ma abbonda di ottimi pezzi (la title-track, “Always There For You”, “Keep The Fire Burning”, “It’s Up To You”, “The World Of You And I”), alternati a qualche passaggio un po’ troppo molle (“Come To The Everlife”, “Lonely”), ma è un’evoluzione credibile e coerente della band, soprattutto se lo si guarda oggi, con il dovuto distacco consentito da una scientifica prospettiva diacronica, che colloca l’album nella storia e nella discografia degli Stryper.
IV – Against the stripes (1990 – 2005)
Sarà molto più dirompente ed eterogeneo il successivo capitolo discografico, “Against The Law”, una ribellione annunciata sin dal titolo. Il 21 agosto 1990 gli Stryper dichiarano guerra al mondo con un drastico cambio di immagine e tematiche di riferimento. Dio sparisce dai testi, letteralmente quella parola non c’è; cambio di logo e niente citazione di Isaia. Non ci sono nemmeno le tutine a strisce, ora i quattro musicisti indossano black leather, come si conviene a chi imbraccia strumenti elettrificati e percuote le pelli a più non posso. Anche (e soprattutto) musicalmente, i sentori hair e glam metal lasciano quasi del tutto il posto ad un hard & heavy robusto e virile, dal retroterra persino bluesy, come nella tiutle-track o in “Two Bodies (One Mind, One Soul)”. In tutto e per tutto l’album è una risposta alla critiche ricevute nel 1988, gli Stryper vogliono dimostrare di avere gli attributi e di saper giocare al gioco dei rocker intransigenti. Come era lecito aspettarsi, questa mossa radicale scontenta tutti. Chi per quattro album ha visto gli Stryper come una band cristiana e troppo vellutata non crede ad una inversione ad U così spericolata; chi adorava la band di “In God We Trust” e degli album precedenti, non è disposto a seguire gli Sweet nella secolarizzazione oltranzista, ritenendosi a tutti gli effetti tradito, come accadde ai fedeli di Swaggar quando venne beccato in auto con una prostituta. Il primo singolo dell’album è una cover del 1975 degli Earth Wind & Fire, “Shining Star”, che gli Stryper rielaborano magnificamente, ma non avrebbero potuto scegliere nulla di più distante dal proprio pubblico, che infatti non comprende. Tutto quel blu in copertina disorienta, idem la scaletta di “Against The Law”, fatta di grandissimi pezzi (“Rock The People”, “Not That Kind Of Guy”, “Ordinary Man”, “Caught In The Middle”, “Rock The Hell Out Of You”) ma percepiti assai poco Stryper. L’album è un piccolo grande capolavoro e sta agli Stryper come suppergiù anni dopo starà “Motley Crue” con Corabi ai Motley Crue. L’unica canzone che riscuote un minimo di fortuna è “Lady”, la ballad che, detto tra di noi, è pure la meno interessante e coraggiosa del lotto.
La prima conseguenza del capitombolo è il cambio di etichetta, dalla Enigma gli Stryper traslocano alla Hollywood Records e come spesso accade in questi casi si riparte di solito con un greatest hits che fa guadagnare tempo, dà continuità al brand, offre qualche spunto sul possibile riscontro di una band non troppo in salute e permette di ricalibrare il progetto. Puntualmente accade e viene pubblicato “Can’t Stop The Rock”, contenente due inediti, la title-track e “Believe”, dedicata ai soldati americani impegnati nell’allora guerra del Golfo Persico. Gli Stryper rimangono in tour fino al 1992, quando Michael Sweet decide di separarsi dai suoi compagni per intraprendere una carriera solista. I tre Stryper rimasti portano a termine il tour con Oz Fox temporaneamente al microfono. Si giocano anche la carta dell’annuncio di un nuovo cantante, Dale Thompson proveniente dai Bride (pure loro fratelli in Dio), ma Thompson – che li aiuta per qualche data live – nega ogni addebito. Ci saranno delle date nel 1993, poi gli Stryper orfani di Robert Sweet imploderanno. La loro storia migliore per quanto mi riguarda si conclude qui. E’ vero che gli Stryper classici sono in realtà quelli dei primi 4 album, “Against The Law” è indubbiamente qualcosa di estremamente eterogeneo per rientrarci, ma è un album fantastico e dunque dovendo indicare i confini della golden age stryperiana, mi sento di includerlo e ratificare i tre lustri abbondanti che vanno dall’84 al ’90 come il momento d’oro della band, gli Stryper come non sono mai più tornati ad essere. E’ cosa nota che la loro vita artistica non si sia definitivamente conclusa negli anni ’90, si può risorgere, come indicato dal loro mentore, Gesù. Nel 2005 infatti gli Stryper risorgono discograficamente (o se preferite rinascono) con “Reborn”, originariamente concepito come un lavoro solista di Michael Sweet e poi “convertito” ad album della band. Sin dal ’99 i vari membri degli Stryper iniziano a ritrovarsi on stage per momenti più o meno celebrativi. Nel 2003 Hollywood Records ci riprova con l’ennesimo greatest hits sentendo odore di reunion (“7: The Best Of Stryper”), compilation alla quale segue l’immancabile tour ed il dvd.
“Reborn” vede 3/4 di band riassemblata, indovinate chi manca? Bravi, Gaines, il brutto anatroccolo degli Stryper, sostituito da Tracy Ferrie. L’album viene accolto molto bene, c’era ancora fame di Stryper e la band opportunamente aggiorna il proprio sound contaminandolo con la modernità, fatta anche di rock alternativo, robusta muscolarità (a tal proposito si senta la orrenda versione testosteronica di “In God We Trust” contenuta nella scaletta di “Reborn”) o ammiccamenti punk (sentite come si apre “Murder By Pride”). Da quel momento in poi ha inizio il secondo tempo della carriera degli Stryper che porterà alla firma del contratto con la nostrana Frontiers (2012) e alla pubblicazione complessiva di ben 9 album dal 2005 ad oggi, tra i quali anche uno di cover (“The Covering”) ed uno di classici rivisitati del loro repertorio (“Second Coming”)… operazione sempre discutibile. Nell’arco di questa rinnovata cavalcata discografica gli Stryper avranno agio di solleticare i vecchi fans rispolverando appunto in lungo e in largo le vecchie sonorità, svecchiandole quel tanto che basta e rendendole digeribili anche ai follower più giovani anagraficamente. E’ tornato il logo, è tornato Isaia, sono tornate le strisce giallonere, un recupero glamour in grande stile degno dei Kiss. Personalmente non ho più ritrovato negli album degli Stryper la magia del secolo scorso, sarà una faccenda da boomer incallito e inguaribile, ma al mio orecchio lo smalto degli Stryper più creativi è andato irrimediabilmente perduto. Nella migliore delle possibilità, il nuovo sound è un copia/incolla del vecchio senza più l’effetto sorpresa, altrimenti in qualche caso se ne discosta persino troppo, andando per strade a me poco congeniali. Eppure non ho mai temuto le novità contenute in “Against The Law” che anzi reputo un album superlativo, quella che sento mancare oggi è la sostanza, nonostante la forma sia stata recuperata in tutto e per tutto (pure troppo). Ma questo poco importa, il lavoro fatto dagli Stryper rimane encomiabile, si sono dimostrati i più coraggiosi di tutti perché trasgredire nel metal è la cosa più facile del mondo ma la loro trasgressione, a colpi di bibbie, profeti e crocifissi (tenuti per il verso giusto) è stata la più iconoclasta di tutte.
V – Second coming (2009 – 2022)
Se Tommy Lee suonava piroettando a destra e manca, Robert Sweet si è sempre posto lateralmente al pubblico e mai frontale, per dare l’opportunità agli spettatori di vederlo suonare per davvero. Da qui la sua nomea di “Visual Timekeeper” della band. Sono arcinoti i lanci di copie del Nuovo Testamento sul pubblico durante i concerti, attitudine che costò ai fratelli Sweet gli strali di Swaggar, che accusava i ragazzi di fare mercimonio col nome di Dio…. lui…. accusava…. Gli Stryper sono stati denigrati e bullizzati in ogni modo possibile negli ’80, visti come degli indesiderati, dei ridicoli ingenuotti, una sorta di inconcepibile e molesto sciame di api (tant’è che venivano definiti “apine” per via dei loro costumi); nelle interviste i giornalisti più attaccabrighe chiedevano loro come si regolavano con le goupies, se Dio approvava la promiscuità sessuale e non di rado le band con le quali suonavano dal vivo organizzavano scherzi e dispetti ai loro danni. Contemporaneamente gli Stryper venivano attaccati anche dal fuoco amico, poiché i cosiddetti “cristiani” ritenevano la loro fede non autentica o troppo esposta ad ambienti e stili di vita popolati unicamente di spostati, drogati e incalliti servi del diavolo. Come se Cristo nei Vangeli non andasse perorando la sua causa tra i reietti, i ladri, gli assassini e le meretrici. Tutto ciò contribuì non poco al cambio di registro del 1990, che la band pagò con il rifiuto di vendere copie di “Against The Law” da parte di alcune catene commerciali dichiaratamente cristiane.
Gli Stryper hanno venduto oltre 10 milioni di album nel mondo, in Giappone hanno avuto gioco facile a scalzare chiunque, compresi pezzi da novanta come Motley Crue e Bon Jovi. Si stima che i 2/3 degli acquirenti della band siano non cristiani o comunque non devoti militanti, anche perché altrimenti non si spiegherebbe il loro successo in ambito heavy metal. Se da un verso è vero che la religiosità degli Sweet era pacchiana, cartoonesca e un po’ infantile, dall’altro va contestualizzata e considerata come il primo vero vagito del rock crociato; senza il loro esempio molte band cristiane nelle decadi successive non sarebbero mai esistite o avrebbero trovato assai più difficoltà ad essere accettate. E chiudiamo con la parabola del figliol prodigo, Tim Gaines è poi tornato a comparire su alcuni album dei 2000 della band, sebbene l’ultimo risalga oramai al 2015 (“Fallen”), dopo il quale fa di nuovo a sportellate con Michael Sweet. La cosa buffa è che Sweet non lo ha mai ritenuto all’altezza, ma per quanto mi riguarda il vero anello debole degli Stryper è stato semmai Robert, il fratello di Michael, molto decorativo e scenografico ma non esattamente un batterista capace di fare la differenza nella band. Michael aveva ed ha tutt’ora una voce cristallina e potentissima, a dispetto delle sessanta primavere, un vero e proprio megafono della parola di Dio, oltre che un ottimo songwriter; Oz Fox è uno splendido chitarrista, un virtuoso al quale non sono mai stati tributate i dovuti encomi perché suonare in una band come gli Stryper non gli ha mai fatto troppo gioco; pure lui tra l’altro un songwriter coi fiocchi. Tim Gaines non sarà Joey Vera ma se l’è sempre cavata dignitosamente, dando il suo apporto; come Robert Sweet del resto, ma non sempre la scelta dei suoi patterns mi è sembrata entusiasmante, così come avrei scambiato volentieri un po’ di glamour scenico con una maggior solidità ed incisività dietro le pelli, ma come faceva Michael ad abbattersi proprio contro suo fratello? Allora avremmo dovuto cambiare versetto biblico e passare a quello di Caino e Abele.
Discografia Relativa
- 1984 – The Yellow And Black Attack
- 1985 – Soldiers Under Command
- 1986 – To Hell With The Devil
- 1988 – In God We Trust
- 1990 – Against The Law
- 1991 – Can’t Stop The Rock (greatest hits)