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Sacrilege (UK): L’Impronta Dei Trilobiti

CAPITI 20 ANNI DOPO

Partiti dall’hardcore punk e transitati dal thrash metal, i britannici Sacrilege non sono stati amati granché dal destino, pur avendolo onorato generosamente nell’album col quale si sono congedati dal proprio pubblico, quel piccolo grande capolavoro doom di fine anni ’80 chiamato “Turn Back Trilobite”, un disco enorme per il contesto ancora impreparato a riceverlo. Non è un mistero che, col senno di poi, importanti blasoni del metal inglese come Bolt Thrower, Napalm Death e Cerebral Fix li abbiano citati come influenza fondamentale della propria crescita artistica e del movimento borchiato d’Albione tutto. E allora paghiamo il dovuto tributo a questa band pioniera, visionaria e coraggiosa.

Contenuti:

1. Behind the realm of crust punk (1984 – 1985)
2. Soul search (1987 – 1989)
3. The closing irony (2009 – 2021)

1 – behind the realm of crust punk

Io di preciso il “crust punk” non sapevo neanche cosa fosse. Da manuale, trattasi di un “sottogenere dell’hardcore punk contaminato dal metal estremo”, nato in Inghilterra nei primi anni ottanta, caratterizzato sovente da tematiche di stampo politico e sociale improntate ad un forte pessimismo, ritmicamente sostenuto e con cantanti urlatori. Militarismo, animalismo, antifascismo e guerra in generale sono i topoi prediletti (echeggia già il confine con l’etica straight-edge che diverrà popolare più avanti). Tra i pionieri si citano i Crass e i Discharge i quali, più che prime mover del filone, furono gli ispiratori dei vari Amebix, Antisect e Hellbastard sul versante inglese (in America c’erano i Nausea). Tra le principali influenze del crust punk vanno annoverati anche Celtic Frost, Killing Joke, Bauhaus, Joy Division, Public Image Limited. I militanti del crust si sono sparpagliati in varie direzioni, industrial, black metal, grindcore. Stabilite le regole d’ingaggio, possiamo dire che i britannici Sacrilege, figli delle Midlands, partoriti attorno al 1984 dal connubio tra il chitarrista Damian Thompson, la cantante Lynda “Tam” Simpson e il bassista Tony May, orbitavano nel recinto dell’hardcore punk, all’epoca ancora inconsapevole di chiamarsi crust punk. Thompson veniva già da un paio di formazioni precedenti quando approda ai Sacrilege, al trio si unisce poi il batterista Liam Pickering. Il biennio ’84 – ’85 vede la band produrre i primi demo, partecipare a compilation – tra queste da segnalare la “Anglican Scrape Attic”, curata da Digby Pearson prima di fondare la Earache – e pubblicare il proprio esordio discografico. I Sacrilege sono già molto politicizzati e questo emerge attraverso partecipazioni ad album come “We Won’t Be Your Fucking Poor” (della Mortarhate, 1985) o a concerti a sostegno degli scioperi dei minatori o dei diritti degli squatter senza casa.

Bisogna attendere l’avvicendamento dietro le pelli di Andrew Baker per Pickering per approdare alla registrazione del primo full-length ufficiale della band, “Behind The Realms Of Madness”, elaborato ai Rich Bitch Studios di Birmingham nel luglio del 1985. I suoi concisi 26 minuti declinati in 6 tracce lo rendono sostanzialmente un Ep ma per gli standard del genere quel minutaggio era già generoso ed abbondante. I Sacrilege sono potentissimi su ogni strumento, dalla sezione ritmica alla chitarra cupa e minacciosa (che già tesse quella ragnatela di riff ipnotici e circolari che caratterizzeranno la produzione dei Sacrilege), fino al cantato della Simpson, la quale aggiunge quel quid di angoscia all’amalgama finale. Tra l’altro va fatto notare che nel 1985 gli Holy Moses di Sabina Classen non hanno ancora debuttato con “Queen Of Siam” (anche se naturalmente hanno già registrato diversi demo), quindi la Simpson è una vera e propria mosca bianca, un’ugola acidissima e ringhiante che può essere citata come un’antesignana assieme a poche altre colleghe coeve, Wendy O Williams, Kate de Lombaert (Acid), Doro Pesch (Warlock), Leather Leone (Chastain), Dawn Crosby (Détente). L’originalità dei Sacrilege sta nel differenziarsi dal coevo panorama punk introducendo elementi heavy metal tanto nella musica quanto nei tesi (la meta-narrazione fantasy di stampo tolkeniano), ed allo stesso tempo sostanzia la forma fantasy di contenuti veri, reali e prosaici come la povertà, la disuguaglianza, la corruzione e la spada di Damocle dell’apocalisse nucleare, una serie di argomenti che poi faranno la fortuna del thrash metal ma che in ambito strettamente metal non hanno ancora attecchito troppo.

L’album vede una doppia distribuzione, su suolo britannico per COR (Children of the Revolution), una label indipendente di Bristol specializzata nel punk e nel metal underground, su quello americano per Pusmort Records, la quale stampa un’edizione limitata del vinile di colore blu, 50 oggetti diventati sacri nel mercato collezionistico. Il numero di copie vendute in totale si attesterà sulle 7000 unità circa, quanto basta per far circolare il nome dei Sacrilege e farlo arrivare negli uffici di qualche label di maggior peso. Ma è naturalmente sul pubblico che la band fa presa, il passaparola dilaga e i Sacrilege acquisiscono stima e rispetto crescenti. I Napalm Death registrarono il loro debutto “Scum” (1987) ai Rich Bitch proprio sotto l’impressione derivante dal sound ottenuto dalla band su “Behind The Realms Of Madness”. A riascoltarlo oggi la batteria, soprattutto cassa e tom, non fa una grande impressione, ma è pur vero che per l’epoca e per un circuito  sostanzialmente underground quel suono così verace e diretto faceva presa sulla irrequieta Tatcher jugend. Nel 1985 i Metallica sono a “Ride The Lightning”, gli Slayer a “Hell Awaits” e i Venom hanno già consegnato alla storia la loro prima leggendaria triade di lavori, i Sacrilege hanno molta acqua alla quale abbeverarsi ed il loro primo passo discografico è una brillante sintesi di tutto questo febbricitante humus. Up-tempos e mid-tempos si alternano, non è tutta una sfuriata dall’inizio alla fine, al momento giusto la band sa soffermarsi su aperture financo di più ampio respiro, financo melodiche, che indubbiamente devono molto alle chitarre di “Ride The Lightning”; al contempo quando c’è da menare fendenti non si fanno pregare e scavallano a rotta di collo travolgendo ogni ostacolo. “Behind The Realms Of Madness” lascia davvero un’ottima impressione e non si fa fatica a capire come i popoli dell’hardcore, del punk e del metal ne siano rimasti colpiti nel 1985. Con una premessa del genere, il successivo lavoro della band diventa un vero e proprio oggetto del desiderio.

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II – Soul Search

Un’attesa che dura fino al 1987, dopo due demo preparatori entrambi dell’anno precedente e contenenti già l’intera scaletta che si concretizzerà su “Within The Prophecy” (oltre alla presenza di una ulteriore canzone, “Insurrection”, poi espunta dal disco). È la Under One Flag (divisione della Music For Nations) che si accaparra gli inglesi, label che mastica spesso e volentieri del buon thrash. E su quei lidi si sono riposizionati i Sacrilege, uno slittamento per la verità molto naturale e consequenziale a quanto prodotto sin lì. Si può parlare di “evoluzione” ma il percorso dei Sacrilege è assolutamente coerente. Semmai sarebbe più corretto parlare di maturazione, dopo tutto “Within The Prophecy” è un “Behind The Realms Of Madness” cresciuto sotto ogni aspetto, eppure affatto sfigurato. Un artwork meraviglioso a cura di Gordon Crabb, tra i più belli, evocativi e decadenti mai apparsi nell’intera scena metal di sempre, ci introduce ai 45 minuti orditi dai Sacrilege, ora ridotti a trio, con Hamilton ad occuparsi tanto della chitarra quanto del basso. L’intensità della band ne perde? Affatto, anzi “Within The Prophecy” è a suo modo la quadratura del cerchio, la sublimazione dei Sacrilege di due anni addietro, i quali tuttavia si affidano ancora ai Rich Bitch Studios. In America è la Metal Blade a distribuire l’album. Non tutto è un incanto però, ad esempio l’audience punk più integralista non mostra di apprezzare troppo la metallizzazione del sound, ma ogni musicista ha perfettamente chiaro sin dal primo giorno che qualsiasi cosa farà accontenterà qualcuno e scontenterà qualcun altro, tutto ciò che deve tenere a bada è la proporzione tra le due metà delle mela e, soprattutto, non andarsi a posizionare tra gli scontenti, ovvero rispettare la propria integrità. Liricamente si nota un interesse crescente verso atmosfere più spirituali, ascetiche ed escatologiche, la concretezza del disagio esistenziale ora si sposa con l’orizzonte dei perché esistenziali ed immanenti; è il verbo del doom preconizzato sin da questo album e presente carsicamente in ogni suo aspetto: copertina, sound, testi, attitudine. “Within The Prophecy” cresce ascolto dopo ascolto, rivelandosi un crocevia di tutte le esperienze passate e future della band, hardcore, punk, heavy metal, thrash, doom, istanze sociali e politiche, misticismo e narrativa fantasy.

Subito dopo l’album i Sacrilege soffrono una sorta di jet lag creativo, diventa necessario rivoluzionare la formazione per venire a capo dello stallo. Alla batteria arriva Paul Brookes (Baker va ad occupare lo sgabello dei Cerebral Fix), al basso subentra Paul Morrisey e si aggiunge anche un chitarrista ritmico, Frank Healy, il quale poi attraverserà Cerebral Fix, Napalm Death e Benediction, mentre oggi è nei Memoriam di Karl Willetts assieme a Spike T. Smith (che era già stato nei Sacrilege al tempo dei demo dell’86 e che ora sostituisce il fulmineo dimissionario Brookes). La Simpson e Hamilton erano e rimangono il cuore pulsante della band, il loro sodalizio artistico trascende il metal e li accompagna anche sentimentalmente nella vita quotidiana. E’ questa la formazione che presiede alla pubblicazione di “Turn Back Trilobite” nel 1989, sempre secondo il doppio schema Under One Flag (Europa) / Metal Blade (America). Il ritorno ai trilobiti non intende un recupero delle primigenie sonorità punk hardcore, è un passo indietro ancora più radicale, alle origini della musica e del suono stesso. E cosa c’è alle origini di una band proveniente da Birmingham? I Black Sabbath ed i loro rintocchi marziali del destino. Complici i live set con i Candlemass ed i Sabbat (quelli di Martin Walkyier e Andy Sneap), lo slancio dei Sacrilege, affamati di progressione e incessante rinnovamento, approda nello spazio (raffigurato in copertina da Angus McKie), ma le sue radici affondano addirittura nel folk anglosassone e nel doom che presiede al ciclo della vita e della morte di ogni essere umano.

I trilobiti sono caratterizzati da una evoluzione rapida con una eclatante variazione dei caratteri, questi piccoli invertebrati vissuti nel paleozoico incarnano molto bene lo spirito dei Sacrilege di fine anni ’80, messianici annunciatori di un verbo che la contemporaneità fatica a decriptare, tant’è che l’album disegnò una sorta di gigantesco punto interrogativo sulla fronte del pubblico del 1989. I Sacrilege erano sideralmente avanti e distanti dall’umanità del proprio tempo, lo iato rispetto a “Behind The Realm Of Madness” è oggettivamente abissale; non solo in appena un lustro la band ha drasticamente cambiato pelle, ma non suona come nient’altro in circolazione. “Turn Back Trilobite” pare il monolite di 2001: Odissea Nello Spazio, una geometria misteriosa e insondabile, che i più osservano senza comprendere. Da dove viene quella mistura arcana di doom, folk, armonie e seminali digressioni acustiche e jazz? Certamente le sfere divine coinvolte hanno a che fare con l’Oriente poiché tracce come “Awaken (Suryanamaskar)”, letteralmente il “saluto al sole”, o “Key To Nirvana” rivelano rimandi affatto celati a quelle latitudini filosofiche ed esistenziali ancor prima che geografiche. Il minutaggio delle canzoni si allunga notevolmente, non si scene sotto i 5 minuti, con una media di 7 ed una punta di oltre 11, “Into The Sea Of Tranquillity”, una suite in tre parti che ci trasporta sino alla porta dell’equinozio (“Equinox”), la traccia che chiude l’album, i cancelli dell’oltre. I Sacrilege si congedano dall’ascoltatore con queste parole: “We changed so much, Yet we really changed not at all […] We cannot give you what we do not possess, Only the truth now, it’s time for nothing less“.
Linda ha smorzato del tutto la propria aggressività, il suo cantato/recitato interrogativo sembra porre delle domande all’ascoltatore (un po’ alla maniera di John Connelly dei Nuclear Assault), invita alla riflessione ed all’introspezione. Lo stesso fanno gli strumenti, ora assai più ieratici e solenni nel proprio incedere. L’album è magnifico ma è tutto fuorché “facile”. Per certi versi mi viene in mente l’operazione compiuta dai Risk con “The Reborn” nel 1992 ma il passo dei Sacrilege è mille volte più azzardato, vuoi perché nel 1989 certe “aperture” erano ancora tutte da digerire, vuoi perché i tedeschi avevano consolidato la loro posizione con tre album ed un Ep prima di “The Reborn” (contro le appena due release dei Sacrilege), infine perché “Turn Back Trilobite” è assai più draconiano e destabilizzante nel suo mutamento di pelle rispetto a “The Reborn”, che si limita a spostare il baricentro del metal dei Risk dal thrash all’heavy con venature progressive e maideniane.

III – The Closing Irony

“Turn Back Trilobite” è un album importante, impegnativo e verticale, che si consegna all’audience nella consapevolezza di risultare ostico e fatalmente incompreso. Questo testamento sancisce la fine dei Sacrilege. Tam e Damian non nascondo la loro delusione per il feedback (non) ricevuto, mollano tutto e come due autentici hippie si dedicano alla crescita delle due figlie vivendo in un pullman convertito a camper. L’estinzione dei Sacrilege non viene certificata formalmente da nessun comunicato, semplicemente gli strumenti rimangono tutti appesi al chiodo. Damian Thompson si affida convintamente allo studio della musica folk e tradizionale tanto inglese quanto indiana, viaggiando ripetutamente in quel paese e specializzandosi nel flauto. Il lascito dei Sacrilege è sopravvissuto nel tempo, i posteri hanno riconosciuto alla loro produzione discografica il carattere di influenza importantissima sul metal, così come l’iconoclastia della band è diventata una virtù, anche se quell’anelito, quel “dinamismo” sonoro è continuato a costar caro a molte altre band che vi si sono cimentate (si vedano Celtic Frost ed Atrocity, per dirne un paio molto estreme in tal senso). Negli anni 2000 sono usciti molti bootleg dei Sacrifice, Metal Archives conta ben 5 compilation tra il 2009 ed il 2019, e nel 2021 è stato pubblicato un live risalente addirittura al 1986 (Live At Leeds”).

Nessuna di queste release postume (e posticce) ha mai raccolto il beneplacito della Simpson e di Thompson, i quali tuttavia si sono appoggiati al ritorno di fiamma annunciando la scrittura di nuovo materiale attorno al 2014, ovvero per il trentennale della band, formatasi nel 1984. Circolava anche un titolo (“Emptiness Intoxication”), sebbene 25 anni di silenzio sembrassero davvero parecchi. La ritrovata line-up avrebbe dovuto comprendere Frank Healy e Spike T. Smith, esattamente quella di “Turn Back Trilobite”. Qualcosa di ufficiale nel frattempo è accaduto perché nel 2015 viene licenziata la prima ristampa di “Behind The Realms Of Madness” su Relapse Records, contenente anche del materiale inedito come nuove tracce scritte da Tam e Damian, e dei video sono circolati anche sul canale Youtube ufficiale del gruppo, fomentando una certa hype. “Emptiness Intoxication” ad oggi non è mai diventato realtà e per la verità sembra un progetto persino tramontato. Ciò che rimane agli atti sono tre album di notevolissimo metal inglese, un importante lascito archeologico per i decenni successivi. Ne sono prova le dichiarazioni d’amore rivolte ai Sacrilege dai Bolt Thrower e dai Napalm Death, la cover di “The Closing Irony” contenuta su “Tower Of Spite” dei Cerebral Fix, o quella degli stessi Napalm Death di “Lifeline” sulla compilation del 2013 “Respect Your Roots” per Strength Records. 

Per gli inguaribili orfani dei Sacrilege (come me) esiste tuttavia una valvola di sfogo, intendo oltre al riascolto incessante dei loro vecchi album; si tratta dei Warwound, la band di Damian Thompson e Andrew Baker prima dei Sacrilege, esistita tra il 1982 ed il 1984. Intorno al 2015 il marchio viene riesumato mediante una compilation di demo risalenti al 1983 (“A Huge Black Cloud – The Demo’s 1983”). Quindi nel 2017 Unrest Records pubblica il nuovo di pacca “Burning The Blindfolds Of Bigots”. Baker non c’è più, si occupa (al solito) delle pelli dei Cerebral Fix sull’ottimo “Distaster Of Reality”, mentre Thompson condivide il sudore con il bassista Ian Glasper, già Decadence Within e Stampin’ Ground, Steve Wingrove, batterista sul mitico “Wasteland” degli Hellkrusher (1990), e la cresta di Rat, ugola cartavetrata di Arbitrater e dei Discharge tra il 2003 ed il 2014. La dodicesima traccia in scaletta dell’album ha un titolo familiare… “The Closing Irony” e vede come ospite al microfono una certa Linda Simpson. L’album si muove nella consueta mescolanza di hardcore punk e thrash, assai più scarno, diretto e rivoltoso rispetto ai Sacrilege, senza dubbio traboccante di energia. Nel 2020 i Warwound proseguono le ostilità (è proprio il caso di dirlo) con “WWIII”, stavolta su Vile Records, un diversivo rispetto alle immersioni nella musica folk tradizionale che consentono a Thompson di sfogare la propria adrenalina e la propria insoddisfazione verso le mai risolte questioni di ingiustizia sociale che ne attanagliavano lo spirito fin dagli anni ’80 del crust punk.

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Discografia Relativa

  • 1985 – Behind The Realms Of Madness
  • 1987 – Within The Prophecy
  • 1989 – Turn Back Trilobite

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