Difficile dire se nel caso degli Ordo Rosarius Equilibrio sia più pericolosa la musica o siano più pericolose le parole che Tomas Pettersson e Rose-Marie Larsen seminano nelle proprie canzoni. Il project svedese è stato spavaldo, provocatorio e spregiudicato sin dall’inizio. Oggi raccoglie i frutti di oltre 25 anni di carriera, qualcosa si è appannato nel tempo ma per buona parte della sua esistenza il “Matrimonio della Rosa e dell’Equilibrio” ha destabilizzato chiunque avesse orecchi per ascoltare.
Contenuti:
1. Suona la campanella, il Professor Pettersson è in classe, inizia la lezione di filosofia (1990 – 1994)
2. L’apice del Male (1995 – 1997)
3. La Musa è morta, lunga vita alla Musa! (1998 – 1999)
4. Fiorisce la Rosa (2000 – 2002)
5. La “Forma-Canzone” (2003 – 2005)
6. L’Apocalisse (2006 – 2009)
7. Il canone depone la Rivoluzione (2010 – 2022)
1 – suona la campanella, il professor pettersson è in classe, inizia la lezione di filosofia
Tra il 1990 ed il 1993 Tomas Pettersson e Mikael Stavöstrand sono insieme nel progetto Archon Satani, intriso di ateismo individualista e onnipotenza della volontà (secondo i dettami di Aleister Crowley e Anton LaVey), dunque di quel “satanismo” filosofico e concettuale lontano dall’odor di zolfo e dagli zoccoli caprini (perlomeno finché non arrivava il vino rosso), quanto piuttosto rivolto all’esaltazione dell’Io e delle sue potenzialità, come autoaffermazione al di fuori ed oltre il giogo dei condizionamenti della morale e del falso dogmatismo sociale perbenista. Il ’93 segna la cesura della collaborazione, con Stavöstrand che prosegue convintamente con gli Archon Satani e Pettersson che si immerge in un altro concept, gli Ordo Equilibrio. Già nel ’91 Stavöstrand aveva creato un proprio giocattolo chiamato Inanna, nel caso di Pettersson tuttavia il passatempo alternativo e secondario passa a primario soltanto abbandonati gli Archon Satani. Gli Ordo Equilibrio hanno lo scopo di fungere da naturale estuario creativo ed estetico per la visione di Pettersson. Quasi la creazione di un manifesto ideale, culturale, “politico” (in senso lato). Accanto allo scultore di questo mondo nuovo siede Chelsea Krook, il cui apporto alla musica degli Ordo Equilibrio si traduce concretamente nelle back vocals, nella presenza fotografica (affatto secondaria in un concept così grafico e marcatamente erotico) e nel suo incarnare il ruolo simbolico di contraltare muliebre di Petterson, uno stimolo che la trasforma automaticamente in Musa per il suo poeta.
Fedele all’etichetta del filone “marziale” al quale gli Ordo Equilibrio sono da subito consegnati, Pettersson concepisce il nome del project in riferimento alle centurie militare (romane), tra i suoi vari significati “ordo” in latino si riferisce infatti alla schiera, al rango, ad una fila ordinata (secondo le geometrie dei soldati). L’Ordine è controbilanciato dall’Equilibrio, che per Pettersson consiste nella bilancia degli opposti, l’incontro/scontro degli antipodi che nell’equipollenza dei contrasti genera armonia, e paradossalmente una sua simmetria (si pensi allo Yin e allo Yang). In primis la concomitanza di sesso maschile e femminile, personificata in Tomas e Chelsea. Bianco e nero coesistono, lottano l’uno contro l’altro e la loro esistenza viene giustificata da quella del proprio contrario, in un rimando infinito come l’uroboros (il serpente circolare la cui bocca morde la coda, chiudendo il cerchio). Una sinergia che diventa alleanza sacrilega, dipendenza reciproca, necessità. Il solito vecchio adagio per il quale il valore della vita è dato dalla morte (o viceversa?). Non ci si deve dimenticare inoltre che l’Ordine è anche quello religioso, e se da una parte la religione intesa nel senso più tradizionale è l’acerrimo nemico del nuovo uomo vitruviano di Pettersson (libero da condizionamenti, regole, leggi e dogmi artificiali imposti in nome della pura astrazione), dall’altra gli Ordo Equilibrio se ne appropriano trasfigurandola, modellandola e indirizzandola verso le naturali propensioni umane, riconducibili sostanzialmente all’amore ed all’affermazione di sé (entrambi perversamente veicolati anche mediante la violenza e la sopraffazione).
Neofolk, ambient, industrial, apocalisse (concettuale e sonora), erotismo (financo pornografia), iconoclastia, volontà di potenza, darwinismo, nichilismo, ritualismo, simbolismo, di questi e molti altri “-ismi” la poetica degli Ordo Equilibrio si abbevera ed in essi si rigenera continuamente, enucleando ora questo ora quello ma mai separandoli in compartimenti stagni, bensì inglobandoli tutti. La filosofia degli Ordo Equilibrio si fonda sullo scontro di polarità l’un contro l’altra armate, creazione e distruzione, luce e tenebre, gioia e dolore, eros e thanatos (declinata in guerra, distruzione e annientamento, laddove il sesso irradia la vita). Da Lucifero ad Epicuro il passo è breve, una sublimazione “telemica” che celebra ed onora la più grande creazione di tutte, l’uomo, del quale Pettersson ricerca incessantemente la “liberazione”. Per antitesi, la norma che prima ed unica sembra dover regolare l’esistenza umana è l’anomia, letteralmente la “assenza” o la “mancanza” di norme. Concetto che vanta una diversa sfumatura rispetto all’anarchia, configurabile più come il rifiuto o la trasgressione di norme che tuttavia esistono. L’anomia ne postula l’assenza, dunque la fine del giogo per l’uomo.
II – l’apice del male
Il 1995 porta in dote il primo raccolto della band, quello della semina dei caduti, gli uomini che vivono fuori dall’entropia immaginata da Pettersson. “Reaping the Fallen, The First Harvest”, così si intitola il primo disco ufficiale per Cold Meat Industry, la label perfetta per i propositi degli Ordo Equilibrio. Un artwork estremamente sinistro ed inquietante ritrae il Tristo Mietitore dissimulato tra bagliori rossastri. La scaletta mette in fila i trademark dell’Ordo Equlibrio pensiero, la morte (“De Profundis”), i contrasti creativi e generatori (“This Is Darkness. There Will Be Light”), il sesso (“Safe, Sane And Consensual”), i riferimenti religiosi (“Angels Of The Highest Order – We Are Seraphim”, “Dominatrix Purgatory”) ed antireligiosi (“In Nomeni Dei Nostri, Satanas Luciferi Excelsi – In Hoc Signo Vinces…”). La materia erotica ha una connotazione quasi esclusivamente feticistica, sadomasochistica, inglobando coerentemente piacere e dolore, estasi e violenza, dominazione e sottomissione. Ecco che “Safe, Sane And Consensual” si erge come una dottrina filosofica BDSM, con tanto di frusta schioccata contro un corpo muliebre che geme. In questa fase l’intero paesaggio della band è affidato a samples e voci, Pettersson mescola e stratifica suoni, rumori, suggestioni ed ambienti. L’esordio discografico ed il successivo “The Triumph Of Light… And Thy Thirteen Shadows Of Love” (1997) rappresentano a mio modesto parere uno degli esiti più oscuri, conturbanti, maestosi e profanatori mai raggiunti in musica. Una parentesi di malevolenza, angoscia e disagio raramente sperimentati prima d’ora, almeno per quanto mi riguarda. Non esiste termine di paragone black o death metal che abbia saputo erigere un un moloch così eversivo, radicale e destabilizzante. Già solo per questo, Pettersson si è conquistato il suo posto nella Storia.
Con il suo titolo apparentemente benigno, “The Triumph Of Light… And Thy Thirteen Shadows Of Love” (dove tredici sono le composizioni in scaletta, o meglio undici, poiché la dodicesima corrisponde a circa 11 minuti di silenzio e la tredicesima è ghost track intitolata “And So Forth…”) si fa annunciare da un artwork empireo e celeste, nel quale schiere di figure assimilabili ad angeli, sapienti o discepoli di Cristo, si riuniscono al cospetto della luce divina. Beffardamente però all’interno del disco un’altra immagine ci consegna Gesù acefalo, una guida priva di testa (“the blind leading the blind”), un ossimoro. Il lugubre palco di Petterson inscena il giorno del giudizio, preconizzato dallo scampanìo ancestrale. come in un tetro cerimoniale massonico tutto sta per compiersi, la pesatura dei nostri meriti, la dimensione del nostro valore, ed il conseguente cammino verso l’alto oppure verso il basso. Ma il punto è che forse è tutta una farsa caricaturale, oltre un confine spettrale non c’è niente ad attenderci, il viaggio si conclude qui e adesso, nell’indolenza e nell’indifferenza; ciò che è perduto lo è per sempre, rimpianti, rimorsi, amarezze, occasioni, possibilità, tutto si dissolve, ogni cosa si fa cenere ed oblio. Tomas e Chelsea recitano le litanie del giudizio. Ogni traccia dell’album è incorniciata da spoken words che esasperano al massimo il clima da fine dei tempi. La ripetitività dei samples, il senso di claustrofobia, di clausura che tale reiterata monotonia quasi ottusa genera è appena turbata da rumori extra diegetici (sospiri, clangori, sibili, le campane, i gemiti….), e percorsa in modo soffuso – mai invadente, mai protagonista, semmai “parallelo” – dalle voci di Tomas e Chelsea, saltuariamente impreziosite dalle armonie folk della della chitarra acustica. Un affresco terrorizzante, una sinfonia nera solenne, regale ed incombente al contempo, tronfia e minacciosa. Veniamo lacerati, aperti, divelti, ispezionati e svuotati, alla mercé di forze immanenti, del caos, ovvero del Nulla sovrano.
III – la musa è morta, lunga vita alla musa!
Il messaggio degli Ordo Equilibrio viene tacciato da più parti di filo satanismo e fascismo. Al riguardo Pettersson risponde di non sentirsi né l’uno né l’altro. Nel delineare il suo credo esistenziale ammette di guardare con un qualche interesse ad alcuni aspetti della natura umana che hanno avuto una connessione con ciò che viene comunemente etichettato come “satanico” ed “autoritario”. La tenace autodeterminazione di se stessi, la prevalenza dell’Io, la libertà totale, la fisiologica supremazia del forte sul debole per legge di Natura, sono concetti che lo avvicinano idealmente a territori minati, che lui lambisce volentieri e con azzardo. Sorte comune a molte realtà del cosiddetto filone neofolk e marziale (basti pensare ai Death In June di Doug Pearce, per altro ospite nel primo lavoro degli Ordo Equilibrio). E, più prosaicamente, non può nemmeno sfuggire che si tratta pur sempre di musicisti che incidono dischi sia per soddisfare una propria insopprimibile urgenza creativa, sia per essere venduti; dunque le lenti deformanti dell’ambiguità, della provocazione e dell’ironia (che Pettersson rivendica) non dovrebbero mai essere accantonate. Fuori dal proprio contesto poi ogni equilibrio può essere additato a squilibrio.
I capisaldi della riflessione degli Ordo Equilibrio si traducono nella Guerra – come momento nel quale l’uomo decide il suo destino, un esito passato in grado di modellare il presente e definire il futuro – nella Religione e nella Politica – come mezzi di dominio, soggiogamento e manipolazione – nella Natura – come unica vera autentica legge, tuttavia avversata e rifiutata dall’uomo che intende instaurare una propria legge artificiale, destinata a soccombere perché artefatta e, appunto, innaturale. Natura intesa anche nella sua declinazione materica, terra, stagioni (in particolar modo quelle autunnali ed invernali, piuttosto rigide nel nord Europa e nella Svezia di Pettersson). Infine il Sesso, come pura energia primordiale e creatrice, l’origine della vita, un denominatore universale. Il ritorno a bisogni primari come il paganesimo, l’edonismo e quindi ad una (anti) religione filosofica e concettuale come il satanismo (inteso alla maniera di Crowley e LaVey) o al bisogno di una guida salda, sicura ed autoritaria di un regime politico netto e muscolare riflettono secondo Pettersson la confusione della modernità. Gli uomini hanno visto il loro mondo ed il loro tempo fallire, sono in cerca di un’alternativa. La politica e la religione hanno teso a fornire pacchetti di risposte preconfezionate ma le domande sono rimaste perlopiù inevase. Il pianeta è sovrappopolato, il denaro regola ogni cosa, bisogni e frustrazioni alienano la gente. Le persone stanno maturando la convinzione che il recupero del passato e la soddisfazione dei propri bisogni individualo possa essere la chiave per il benessere. In breve, il passo verso fascismi di vario genere è naturale e consequenziale.
Differentemente dalle passate release, in “Conquest, Love & Self Perseverance” (1998) Tomas e Chelsea sono protagonisti in prima persona dell’artwork. Quello principale vede Chelsea nei panni di una sorta di Lolita dark che assapora un gigantesco lecca lecca del peccato a forma di mela rossa, circondata da rose, coltelli e simboli esoterici. All’interno la coppia officia un rituale sessuale il cui altare è simbolizzato da una donna nuda, posati sul suo dorso un teschio ed una candela rossa (entrambi oggetti caduchi), Tomas stringe un frustino tra i guanti neri di pelle (o latex), Chelsea un orsacchiotto di peluche. Un presepe sacrilego piuttosto disturbante. “The Perplexity Of Hybris. I Glorify Myself”, “The Blind Are Leading The Blind Are Leading The Blind Are Leading The Blind”, “Let’s Celebrate The Exploration Of The Human Body”, “Ouroboros, The Serpent Of Neither Beginning Or End” portano avanti l’estetica e la gnosi degli Ordo Equilibrio. Il salmodiare ieratico di Pettersson e della Krook prende vigore, ora è in primo piano, non è più strumento tra gli strumenti bensì guida l’ascoltatore attraverso i gironi infernali, come Virgilio con Dante. Dall’accigliata condanna alla malinconica mestizia, la scaletta copre tutto l’arco della parabola umana, lasciando spossato e sconfitto l’ascoltatore, ancorché rapito dalla sottile beatitudine per aver potuto gettare il proprio sguardo attraverso la “fessura della rosa inossidabile” (“Cleft Of Stainless Rose”), la porta della consapevolezza e della conoscenza sublime. Anche quando tutto finirà, nel bel mezzo delle fiamme purificatrici, saremo magari nudi ma pur sempre provvisti di calze a rete (“Disrobed But In Stockings”).
IV – fiorisce la rosa
“Conquest, Love & Self Perseverance” è l’ultimo lavoro assieme a Chelsea e conseguentemente l’ultimo disco pubblicato sotto il monicker Ordo Equilibrio. A partire dal 2000 – al battesimo del nuovo millennio – la band evolve in Ordo Rosarius Equilibrio, accogliendo in formazione Rose-Marie Larsen, nuova musa e compagna di viaggio. Al riguardo Pettersson ha sottolineato come l’aggiunta della rosa nel nome riguardi non tanto la Larsen quanto la celebrazione del fiore, comunque preesistente al suo arrivo nell’estetica e nei testi del gruppo. Ex post Pettersson non ha mai parlato troppo volentieri (e bene) di Chelsea. Era la sua fidanzata dell’epoca e, banalmente, la chiusura del rapporto si è riflettuta anche sulla fine del contributo di Chelsea agli Ordo Equilibrio, per quanto minimo potesse essere. Anzi, pressoché inesistente secondo Pettersson. Non avendolo mai influenzato in corso d’opera, tale separazione non avrebbe potuto in alcun modo influenzare (negativamente) neppure il prosieguo. Semmai proprio la limitatezza di Chelsea stava tenendo in catene la band, impedendogli di crescere ed evolversi. Col senno di poi è senz’altro possibile dire che da Rose-Marie Larsen in poi il sound degli Ordo Equilibrio (poi Ordo Rosarius Equilibrio) conosce una fioritura del vocabolario musicale che magari era in nuce, ma che non aveva ancora trovato la sua scintilla.
E’ di tutta evidenza che il nuovo legame sentimentale ed artistico porti afflato creativo a Petterson, il quale partorisce addirittura un’opera doppia, le cui due parti pubblicherà a pochi mesi di distanza l’una dall’altra (2000/2001); “Make Love, And War”, declinata in “The Wedlock Of Roses” ed in “The Wedlock Of Equilibrium”. Una monumentale disamina sulla dicotomia guerra/amore, entrambe forze generatrici dell’auspicato nuovo ordine futuro, che sarà possibile costruire solo dopo aver distrutto. La sublimazione della condizione umana verso la perfezione. Salon Kitty di Tinto Brass influenza tantissimo questo dittico degli O.R.E. a detta dello stesso Pettersson, anche se il musicista deve essere rimasto suggestionato perlopiù dall’impianto estetico (ed erotico) della pellicola del regista veneto, poiché a livello concettuale Brass ridicolizza la guerra, il nazismo, il militarismo e la volontà di potenza connessa a quel momento storico. Tuttavia la dissolutezza estrema della rappresentazione finisce per accomunare Brass a Pettersson. A livello di artwork un capitolo è nero, l’altro è bianco; Rose-Marie naturalmente incarna il “Matrimonio delle Rose”, mentre poi entrambi figurano in quello dell’Equilibrio, vestiti proprio come due sposi (fetish). Nei booklet interni i ruoli si scambiano e si confondono, sia Tomas che Rose-Marie indossano la stessa uniforme, una camicia bianca, una cravatta nera, una minigonna, calze autoreggenti e tacchi a spillo (ma Rose-Marie fa sfoggio anche del classico completino da infermiera sexy). Il film di Brass è apertamente citato sin dalla prima traccia, “Beloved Kitty And The Piercing Bolts Of Amor”, una introduzione che apre indifferentemente entrambi i dischi, così come la dissonante “Ode To The Beloved And Impaired” li chiude. La title track è forse la vetta più alta raggiunta gli Ordo sin qui, “fate l’amore e fate la guerra” ci intima Pettersson nell’arco di circa 5 minuti di potenza inusitata e struggente, quasi intollerabile. Lo scenario immaginario che si materializza davanti agli occhi dell’ascoltatore è quello della spiaggia di Omaha Beach al momento dello sbarco Alleato; la cieca e sanguinaria violenza iniziale lascia progressivamente il posto ad un enorme orgia di uomini e donne che si amano senza soluzione di continuità, facendo pulsare la vita accanto alla morte, creando energia, materia, il tessuto dell’universo. Questo quadro al contempo blasfemo ed idilliaco è incorniciato dai tiepidi raggi di un sole benevolo e compiacente, dal ridere scomposto di bambini festanti che giocano immersi nell’acqua rossa del sangue dei caduti, e dal suono ripetitivo di un carillon che tramuta in favola lo scenario. Una parata sacrilega, morbosa e respingente. Il cuore di tutta la scellerata filosofia di Pettersson (per altro ulteriormente ribadita anche in “Rituals Of Love In The Passage Of Genocide. Song Of Rose”), passa dalle note di “Make Love, And War”.
V – la “forma-canzone”
Mossi da nuova e rinvigorita ambizione gli O.R.E. accantonano il taglio intimista che li aveva caratterizzati fino al ’98 e operano una trasformazione della propria struttura compositiva. Ha inizio un cammino verso quella che si potrebbe sbrigativamente chiamare “forma-canzone” (il cui seme primigenio risale in qualche misura fino “Conquest, Love & Self Perseverance”), nel solco di quello che, altrettanto sbrigativamente, è stato talvolta definite “pop apocalittico” (o anche “pop noir”). Non c’è più il solo situazionismo apocalittico, per quanto l’apocalisse rimanga sempre e comunque l’orizzonte ultimo; la musicalità, gli strumenti, le armonie, una certa grazia, la ricantabilità, un canone più classico e tradizionale, permeano il songwriting che si va progressivamente strutturando, all’insegna di una “fluidità” mai conosciuta prima. “Cocktails, Carnage, Crucifixion And Pornography” (2003) è il primo deciso passo in questa direzione. Attenzione, non sto dicendo che ciò che accadrà d’ora in poi sarà necessariamente migliore di ciò che c’era prima, personalmente non ne sono così convinto (pur apprezzando le varie incarnazioni della band), ma viene indubbiamente marcata una differenza netta; in termini di magniloquenza il secondo tempo degli O.R.E. soverchia il primo, una constatazione fattuale priva di giudizi di merito.
“C.C.C.P.” si fa beffa della politica e della vanità umana sin dal titolo, un acronimo che svela cosa sarebbe realmente diventata oggi l’ex Unione Sovietica secondo Pettersson (Stoccolma non è poi così lontana dalla Russia). C.ocktails, C.arnage, C.rucifixion e P.ornography, ovvero una ricetta in decomposizione di tossica mondanità alcolica, violenza efferata, bigottismo ottuso e mercimonio sessuale. Il dipinto di Adolphe Williams Bouguereau “Dante e Virgilio all’Inferno” (1850) è scelto come artwork, mentre Pettersson e la sua sposa lussuriosa ci concedono alle foto del booklet interno, ritratti come avventori proprio di un qualche depravato club russo nel quale glamour, alcol, sesso e violenza abbondano (ma ci sono anche tante piccole diapositive “anatomiche” di Rose-Marie ed una sua foto mentre punta una pistola a forma di fallo (un’immagine molto tarantiniana). Ad aprire le danze della perdizione, ça va sans dire, c’è l’inno sovietico, dopodiché a partire da “Sheep For A Lifetime Or Lion For A Day” appare evidente come il suono degli O.R.E. sia salito di livello, come sia più ricco, barocco, focalizzato (anche grazie alla miglior produzione avuta sin qui dalla band). Pettersson vuole assicurarsi la fidelizzazione di una nuova e più ampia fetta di ascoltatori attraverso una ricetta più fruibile, più praticabile, meno criptica ed elitaria, che lui chiama “maturazione” e che attribuisce al proprio talento ed allo stimolo derivato dalla presenza di Rose-Marie. Tutto ciò accade senza che lo svilimento o lo scadimento ruffiano dell’anima del project (almeno a cavallo della prima decade dei 2000). “C.C.C.P.” contiene alcuni ottimi pezzi degni di entrare tra i classici della band (“Sheep For A Lifetime Or Lion For A Day” e “In High Heels Through Nights Of Broken Glass” su tutti), accanto ad altri piuttosto particolari come “Remember Depravity And The Orgies Of Rome” (che ci porta alla corte di Nerone e Caligola) e “Tango For The Concession Of The Suspender Princess” (un vero tango ma scandito dalle lame e dal sangue). Mentre la seconda metà dell’album sembra conoscere un lieve calo di mordente.
Nel 2005 esce “Satyriasis”, una parentesi che permette a Pettersson di coniugarsi (anche) musicalmente con Simone “Hellvis” Salvatori ed i suoi Spiritual Front. Cold Meat pubblica uno split di 8 tracce che in realtà è un vero e proprio lavoro in comune dove le due band si riversano l’una dentro l’altra (accade nella opener “Your Sex Is The Scar” e nella traccia di chiusura “The Pleasure Of Pain”), sancendo quella che è un’amicizia storica ed una affinità elettiva che ha sempre legato Pettersson a Salvadori, anche prima e dopo questo disco (quando li ho visti dal vivo, in Italia, erano naturalmente assieme). “Somewhere Between Equilibrium and Nihilism”, ovvero da qualche parte tra gli O.R.E. e gli Spiritual Front, esattamente al centro della satiriasi (classificata in medicina come “l’aumento in modo morboso dell’istinto sessuale nel maschio umano”). All’epoca Pettersson va molto fiero di questo lavoro, arrivando a ritenerlo persino la miglior release mai pubblicata dagli O.R.E. sin lì, concetto che tuttavia poi ribadirà ad ogni album, assecondando la convinzione che ogni nuovo disco non può che essere il migliore, altrimenti il suo creatore non ne avrebbe consentito la divulgazione. Nel 2009 Pettersson si impegnerà nuovamente in una collaborazione esterna, stavolta con Christian Erdmann dei Triarii, pubblicando lo split “Three Hours” sotto il monicker TriOre (su Cold Meat). La liaison tra i due risaliva alla partecipazione di Tomas alla canzone “Roses 4 Rome” sull’album dei Triarii “Pièce Héroique”.
VI – L’apocalisse
Dopo averla tanto evocata e descritta, nel 2006 scocca finalmente l’ora dell’Apocalisse. “Apocalips” (letteralmente “le labbra dell’Apocalisse”, o “labbra apocalittiche”, non chiediamoci quali esattamente… temo che Gustave Courbet saprebbe rispondere) è la più logica e naturale prosecuzione di “C.C.C.P.”, il fisiologico compimento del processo iniziato con quell’album e ora definitivamente chiaro e squadernato per ogni estimatore della band (sempre che sia rimasto tale dopo questa svolta). La progressione è stata graduale, senza strappi e tuttavia, guardando ad una decade prima, lo iato tra quegli Ordo Equilibrio e questi Ordo Rosarius Equilibrio appare enorme. In alcuni specifici frangenti Pettersson non declama più i suoi testi, li intona, li modula, li canta (siamo passati dal sistema tolemaico a quello copernicano). E’ il caso di “(Mercury Rising) Seduced By The Kisses Of Cinnabar Sweet”, “Who Stole The Sun From Its Place In My Heart?” e “I Think About Germany And The End Of The World” (con il suo forte afflato Death In June). Niente più fotografie erotiche bensì macro floreali, ma attenzione, per Pettersson i fiori non sono altro che un paradigma dei genitali maschili e femminili, dunque la sessualità è semplicemente traslata su di un piano più raffinato, minimalista ed intellettuale.
Arrivano le prime critiche consistenti, vecchi fan e amanti irriducibili del neofolk marziale mal digeriscono questa attitudine dandy edonistica di Pettersson, questo flirtare senza infingimenti con il pop, questo darsi un tono (nel frattempo è pure diventato padre). Né aiuta la cover di “Venus In Furs” dei Velvet Underground – ritenuta lesa maestà – che tuttavia Pettersson non accetta di definire tale. A tal proposito, proprio in un’intervista al sottoscritto, sostenne di aver scritto il pezzo ed averlo poi corredato di un testo sorto nella sua testa prepotentemente sotto ispirazione. Quando poi, più lucidamente, è tornato a soffermarsi su quanto creato, si è reso conto della “filiazione” ma a quel punto non è più potuto tornare indietro. “Apocalips” è elegante e va per sottrazione, Pettersson ha effettivamente lavorato di cesello sul sound di “C.C.C.P.”, portandolo ad un livello di essenzialità e concretezza che fa convivere ricerca estetica e semplicità sullo stesso binario. Oltre questo stadio di “contenimento” non riuscirà a progredire. Intendo, che preferiate i primi Ordo Equilibrio o i secondi Rosarius, nel 2006 siamo al cospetto di una band che riesce (ancora) a tenere insieme questi e quelli, persiste il battito del cuore di quel project nato nei ’90 ed evolutosi attraverso un’incessante arricchimento della propria fisionomia, ad ogni livello, senza bruciare ponti alle proprie spalle, senza traumi e deturpamenti, come fanno certi interventi di chirurgia plastica che sfigurano chi li subisce.
La musa di Pettersson gli dona ancora creatività, idee, gusto. La radice che lo lega al passato viene recisa – a mio parere – con “O N A N I” nel 2009, ultimo lavoro per Cold Meat Industry (probabilmente anche questo un segno). Oltre l’Apocalisse c’è la contrazione, come per l’universo dopo il Big Bang. Pettersson smarrisce il tocco magico, la inizia ad avvizzire, il songbook si avvita sempre più sui medesimi concetti, ripetuti fino allo sfinimento (talvolta fino alla parodia). L’istituzione di un canone è di per sé una battuta d’arresto perché smorza la rivoluzione, la normalizza e la edulcora. Come il titolo scelto lascia già ampiamente intendere, “O N A N I [Practice Makes Perfect]” – scritto così, in stampatello maiuscolo con gli spazi tra le lettere e le parentesi quadre – verte sull’esaltazione delle pratiche masturbatorie, sebbene esse siano il mezzo per spiccare il volo verso Lucifero e la potenziale dissoluzione del mesto paradigma umano (così com’è stato sin qui, in attesa del nuovo mondo degli O.R.E.). Pettersson definisce questo nuovo capitolo un “carnevale di carne”, una celebrazione della carne, una festa (mutuando tale immagine da una delle tracce presenti in “The Triumph Of Light….” intitolata proprio così). Concretamente, quello che manca stavolta è la scrittura ispirata di buone canzoni. Le atmosfere sono sempre quelle ma dopo tre lustri, anche comprensibilmente, Pettersson ha meno da dire e da dare, si fa fatica a cacciare in un cantuccio l’impressione di una imperante monotonia. Il significato ha completamente cannibalizzato il significante, la sostanza ha oscurato la forma, la filosofia si è mangiata la musica. Pettersson omaggia noi italiani con una traccia recitata nel nostro idioma, “Amore Rosso, Amore Marrone, Amore Nero (Il Waltzer Del Lupo Mannaro)”; l’Italia è una nazione che ama, naturalmente per il cibo, il clima, le belle donne e la nostra amabile cialtroneria (senza contare il nostro celebre “ventennio”). Naturalmente anche dal vivo i live set della band vanno sempre più conformandosi alla complessità del sound, dunque sopraggiungono nuovi musicisti (nello specifico Fredrik Leijström e Ronnie Bäck).
VII – il canone depone la rivoluzione
Dopo “O N A N I” ci vogliono ben 4 anni per “Songs 4 Hate & Devotion” (2010), che segna il debutto degli O.R.E. su Out Of Line. Sentite l’eco dei Depeche Mode? Già, anche io. Complessivamente è un disco che si lascia preferire ad “O N A N I”, sebbene mi pare soffra dello stesso difetto. Ha comunque in scaletta alcuni buoni momenti, oltre alla title track mi riferisco in particolare alla splendida “I M B E C I L E, My Idiot Lover” (di nuovo gli spazi tra le lettere e lo stampatello maiuscolo, pure quello uno specchio dei tempi evidentemente….), corredata da un videoclip suggestivo. Depressione “sinfonica” di rara bellezza. Un colpo di coda notevole poiché si tratta di una delle migliori canzoni mai scritte da Pettersson, pur incamminato sulla via del crepuscolo (artistico). Alcuni titoli in scaletta sono assai più belli ed evocativi delle canzoni stesse (“If Christ Is The Answer, Then What Is The Question?”, “Do Angels Never Cry, And Heaven Never Fall?”, “Lucifer In Love”). Per altro, come accade da qualche anno a questa parte, Pettersson evidenzia una certa logorrea, dilatando la durata degli album che spesso escono doppi. Il discorso appena fatto per “Songs 4 Hate And Devotion” può essere abbastanza agilmente esteso alla successiva produzione, praticamente fino ai giorni nostri, ovvero “[Vision:Libertine] The Hangman’s Triad” e “Let’s Play [Two Girls & A Goat]”, rigorosamente scanditi da parentesi e sottotitoli chilometrici degni della Wertmüller. E’ sempre possibile pescare un paio di tracce degne di nota, disperse però in un profluvio di musica che non prende più allo stomaco come prima, non acceca, non incanta, non inquieta e non accarezza l’anima. Per il prossimo maggio è annunciato il nuovo “Nihilist Notes (And the Perpetual Quest 4 Meaning in Nothing)”, per ora anticipato da un Ep di quattro tracce (“La Fleur Du Mal”) che non mi ha fatto esattamente gridare al miracolo, incardinandosi abbastanza placidamente nel solco delle prove pubblicate nell’ultima decade. Staremo a vedere.
Quando da qualche parte attorno al 2001 comprai ad una Mostra del disco il cd di “The Triumph Of Light…. And Thy Thirteen Shadows Of Love” degli allora per me sconosciuti Ordo Equilibrio non ero minimamente preparato a ciò che mi aspettava. Ricordo di averlo messo nel lettore dell’auto durante il viaggio di ritorno (quando ancora le auto avevano il lettore cd) e di essermi convinto che non sarei mai più tornato a casa. Di colpo mi stavo dirigendo in un luogo sconosciuto e misterioso, oscuro e tuttavia conturbante, capace di spaventare ed irretire al contempo. Ero al cospetto di qualcosa che non avevo mai ascoltato prima di allora, una cosmogonia potente e minacciosa, radicalmente diversa da tutto ciò che l’aveva preceduta nel mio stereo. In un’intervista Tomas Pettersson ha detto: “se le domande che pongo, la musica e i testi che scrivo sono in grado di far riflettere anche solo una persona, farla cambiare e renderla ciò che dovrebbe, allora tutto questo per me ha senso“, ed io credo che la vita di molti di noi sia cambiata (in meglio) grazie a ciò che quest’uomo ha creato.
Discografia Relativa
- 1995 – Reaping the Fallen, The First Harvest
- 1997 – The Triumph Of Light…. And Thy Thirteen Shadows Of Love
- 1998 – Conquest, Love & Self Perseverance
- 2000 – Make Love, And War. The Wedlock Of Roses
- 2001 – Make Love, And War. The Wedlock Of Equilibrium
- 2003 – Cocktails, Carnage, Crucifixion And Pornography
- 2005 – Satyriasis – Somewhere Between Equilibrium And Nihilism (split with Spiritual Front)
- 2006 – Apocalips
- 2009 – Three Hours [split with Triarii)
- 2009 – O N A N I [Practice Makes Perfect]
- 2010 – Songs 4 Hate & Devotion
- 2016 – Vision: Libertine – The Hangman’s Triad
- 2019 – Let’s Play (Two Girls And A Goat)
- 2022 – Nihilist Notes (And The Perpetual Quest 4 Meaning In Nothing)