“Dalla cima della torre di raffreddamento della centrale nucleare il mondo sembrava sulla rovina, tutto stava per finire, l’apocalisse radioattiva era alle porte, orde di umani famelici si erano ridotti a bestie, scagliandosi gli uni contro gli altri, il cielo era grigio, coperto, indistinguibile dall’asfalto. Era la fine, il giusto epilogo di un’umanità malata e autodistruttiva. Vivere, soffrire, morire, dilaniati da un gigantesco fungo atomico……”
Contenuti:
1. La fusione dei nuclei atomici (1984 – 1985)
2. Vivi, soffri, stai hardcore (1986)
3. Hiroshima (1987 – 1988)
4. Nagasaki (1989)
5. Massa critica (1990 – 1991)
6. C’è qualcosa di anomalo (1992 – 1997)
7. Dopo l’olocausto (1998 – 2022)
1 – La fusione dei nuclei atomici
Istituzionalmente la nascita dei Nuclear Assault viene fatta risalire al buon Dan Lilker estromesso dalla formazione degli Anthrax di “Fistful Of Metal” (1984) che pure aveva contribuito a fondare insieme a Scott Ian, ma che purtroppo doveva fare i conti pure con Neil Turbin, un ragazzo che per Lilker era né più né meno che un psicotico con il quale non andava affatto d’accordo. Al bestione newyorkese le mira canonizzatrici della band andavano già strette, lui aveva la bava alla bocca, la furia belluina nelle vene e probabilmente anche molti pidocchi in testa; detto fatto, reclutato John Connelly, roadie degli Anthrax e suo amico personale, e chiamati a far parte della nuova creatura nascente anche Mike Bogush alla chitarra e il batterista dei concittadini Cities Scott Duboys (quattro demo all’attivo tra il 1983 e il 1985 e l’EP “Annihilation Absolute”), i Nuclear Assault prendono forma nella loro prima incarnazione. “Back With Vengeance” (1985) è il primo demo, un ritorno con vendetta… ma da dove? Da tutto ciò che non era stato possibile fare con gli Anthrax evidentemente. Sette tracce che poi andranno a far parte della discografia regolare della band, compresa la celebre e controversa “Hang The Pope”. I fisici nucleari (ma più che altro scolpiti dalla birra) non le mandano a dire e sin dai primissimi vagiti chiariscono le proprie coordinate musicali; ok il thrash – come accadeva con i cugini Anthrax – ma nessuna velleità vagamente heavy, semmai una esondazione hardcore inarrestabile. Il tutto condito con una urgenza molto punk, canzoni perlopiù brevi, testi attenti al sociale e agli stati d’animo di un’umanità frustrata e vessata, una velocità d’esecuzione alquanto sostenuta rispetto alla media. Siamo dalle parti dei Discharge e dei G.B.H., siamo ai prodromi del crossover che tanto furoreggerà a breve e al quale gli Anthrax avevano senz’altro dato una bella botta di avvio. “Live, Suffer, Die” arrivo l’anno dopo (circolato anche con differente scaletta e con il titolo di “Nuclear Assault”) e già Lilker e Connelly si sono sbarazzati dei compagni di line-up (Bogush troppo coinvolto dagli obblighi familiari, Duboys troppo spigoloso di suo); ora contano sulla forza lavoro di Anthony Bramante alla chitarra e Glenn Evans (dei T.T. Quick) alla batteria, destinati a cementare la golden age dei Nuclear Assault con il loro apporto fondamentale alla fisionomia definitiva del gruppo. Anche in questo caso tutte le tracce della cassetta verranno poi riversate nelle scalette ufficiali, con la sola “Demolition” che apparirà unicamente sull’EP “Brain Death” e più avanti nel “Live At CBGB’s” (2014). Contestualmente alle incisioni, sin dal 1984 la band inizia ad esibirsi dal vivo.
II – Vivi, soffri, stai hardcore
“Live, Suffer, Die” (che poi è un pezzo strumentale di appena un minuto) ha un titolo che è già un manifesto politico, vivere soffrire e morire è ciò che accade in un regime consumistico, ad alto tasso capitalistico e iper liberista, come gli Stati Uniti dei Nuclear Assault. In quel capitalismo però la band è immersa e proprio grazie al demo si guadagna il contratto con Combat Records che il mercato le offre, multi album per altro. E’ la scintilla per gettarsi a capofitto nella registrazione di “Game Over”, primo full-length dei Nuclear Assault, anticipato dal singolo (o EP che dir si voglia) “Brain Death”. Ad Alex Perialas viene affidata la fase produttiva, a Ed Repka l’illustrazione della copertina, e i quattro entrano in sala prove motivati a far esplodere tutti i megatoni che hanno in canna, onorando il proprio monicker. “Game Over” viene accolto bene e la band guadagna subito consenso, status e reputazione. Conosco molte persone che lo considerano il miglior parto di casa Nuclear Assault. Personalmente, pur reputandolo un album gradevolissimo, non riesco a collocarlo così in alto all’interno della loro discografia perché penso che il meglio in casa dei newyorkesi fosse ancora da venire (….e che “meglio”!). I Nuclear Assault battono subito il ferro caldo e in pochi mesi mettono sul mercato l’EP “The Plague” (stavolta con artwork curato da Gerald McLaughlin e produzione di Randy Burns). Sei tracce per ventidue minuti, non molto meno di un album cosiddetto “regolare” della band. I Nuclear Assault stanno crescendo, release dopo release, canzone dopo canzone, si stanno incazzando, stanno per rovesciare addosso al pianeta una colata di thrash metal e uranio impoverito che segnerà per sempre il genere ed il cuore dei suoi estimatori.
La cosa interessante della band è che ogni album pubblicato negli anni ’80 ha la sua fetta di persone che lo ritengono il migliore mai stampato dai Nuclear Assault; al di là di come la si pensi e di quali siano le preferenze soggettive questo sta a dimostrare il livello altissimo dei dischi dei newyorkesi. A livello testuale il calderone nel quale pescano i ragazzi è ancora piuttosto puerile, per metà i pezzi giocano col Male, il Maligno, chirurghi pazzi e cannibali (“Sin”, “Stranded In Hell”, “Brain Death”), sentimenti neri e livorosi (“Nightmares”, “Betrayal”, “Vengeance”), altrimenti è tutto un girare attorno all’apocalisse nucleare con retrogusto bellicista (“Radiation Sickness”, “After The Holocaust”, “Nuclear War”, “The Plague”). Lilker è quello che ama ascoltare band come Possessed, Bathory e Hellhammer (la prima incarnazione dei Celtic Frost), fosse stato per lui i Nuclear Assault sarebbero assomigliati assai più ai Venom che agli Anthrax, ma Connelly è cresciuto come un irlandese cattolico e non ama affatto una certa spiccata “artificiosa irreligiosità” del metal (come cantano i Benediction). Tuttavia non mancano improvvide fiammate di umorismo nero e nichilista come in “Hang The Pope”, “Mr. Softee Theme”, “My America” e soprattutto “Butt Fuck”, ispirata al fattaccio della morte di Razzle (Hanoi Rocks) dovuta alla guida in stato di ubriachezza (e chissà cos’altro) di Vince Neil (Motley Crue).
III – Hiroshima
Grazie a quanto pubblicato sin qui l’Assalto Nucleare cala addirittura sull’Europa nel 1987 assieme a Agent Steel e Atomkraft. Il giocattolo comincia a funzionare, le cose si ingrandiscono, c’è prospettiva e l’accordo con Combat inizia ad andar stretto alla band, si passa a I.S.R. Records (sotto l’egida della Universal). Ironia della sorte, uno dei fondatori della label, Miles Copeland III, è il figlio di un’agente della CIA, uno di quei “poteri forti” contro cui i Nuclear Assault idealmente si scagliano nelle loro canzoni, oltre che il nome scelto (non a caso) da Glenn Evans per la sua creatura parallela ai Nuclear Assault. Label piuttosto atipica per una thrash metal band poiché nel proprio roster contava perlopiù gruppi indie, new wave, alternative e cosiddetti college rock, vedi Bangles, Buzzcocks, Belinda Carlisle, The Cramps, Fine Young Cannibals, The Lords Of The New Church, Gary Numan, R.E.M., Wall Of Voodoo, ma anche i Black Sabbath dell’era Tony Martin, i Dead Kennedys e i Mekong Delta, per dire. Con la I.R.S. arriva “Survive”, prodotto da Randy Burns, un album che segna la svolta definitiva in casa Nuclear Assault, quella della consacrazione. Altro non è che un “Game Over” 2.0, migliorato e sublimato in tutto, uno di quei dischi thrash da avere per capire e definire il genere, un caposaldo attorno al quale gira l’intero filone. L’album raggiunge la 145° posizione nella Billboard 200 americana, non male per essere un titolo così estremo e di nicchia. Apre alla band anche una serie di concerti per un totale d 180 giorni, come supporting act degli Slayer, oltre poi agli Acid Reign. Rispetto a “The Plague” il sound si chiude un po’ a riccio, screma qualche timido tentativo progressive e torna a picchiare duro senza tentennamenti. Il mondo sta andando alla malora, le torri di quelle centrali nucleari raffigurate in copertina si stanno sgretolando sotto i nostri occhi e a breve non ci sarà più nulla da fare. Il peggio è che l’apocalisse sarà del tutto meritata e quindi catartica. I Nuclear Assault sono qui per dircelo senza la minima intenzione di indorare la pillola.
Anticipato dai singoli “Fight To Be Free” (nemmeno il miglior pezzo in scaletta) e dalla coraggiosa cover dei Led Zeppelin “Good Times, Bad Times”, “Survive” mette d’accordo tutti, abbiamo dei seri contendenti alla corona della East Coast – il trono degli Anthrax traballa – e forse del thrash metal mondiale e americano. La track-list sciorina uno dopo l’altro delle mazzate micidiali ma soprattutto incredibili qualitativamente parlando, “Rise From The Ashes”, “Brainwashed”, “F#”, “Survive”, sono tutti pezzi degni di far parte del repertorio classico Nucleare. “Fight To Be Free” con il suo incipit drammatico e più riflessivo rispetto allo standard ha il compito di incuriosire il pubblico, predisponendolo adeguatamente alla carneficina che poi si compirà in appena 31 minuti. Anche il lato B (come si sarebbe detto una volta) si rivela interessante ma anche variegato, “Great Depression” è una bomba, “Wired” ritmicamente sta più dalle parti di “Fight To Be Free” ma ha delle linee vocali piuttosto stranianti, “Equal Rights” e “Technology” corrono sempre a rotta di collo. Le danze si chiudono con l’omaggio agli Zeppelin particolarmente riuscito poiché i Nuclear Assault riescono nel duplice risultato di non sfigurare l’originale sebbene lo iniettino di una cattiveria acida che lo elettrizza alquanto. Tonnellate di Anthrax e S.O.D. sono riversate in queste tracce, la matrice è comune, c’è tanta ironia, mosh, thrash immediato e senza fronzoli, ma i Nuclear Assault non sono mai rozzi in modo fine a se stesso. La tecnica esecutiva c’è anche se non viene messa in evidenza, non c’è ruffianeria, non c’è autocompiacimento, non c’è sfoggio, gli strumenti devono servire al messaggio e non viceversa. Immancabili le tracce ultra fast, i divertissement di Connelly e Lilker come “Got Another Quarter” e “PSA” che insieme fanno appena 30 secondi. Su tutto ciò si spalma il cantato di Connelly talmente peculiare ed unico da essere riconoscibile in tutto il panorama thrash. La sua timbrica è stridula, raggiunge picchi molto alti ma sempre col filo spinato attorno alle corde vocali, spesso e volentieri sembra usare quasi un tono interrogativo, il suo fraseggio termina con dei punti interrogativi ideali e sottintesi che mettono a disagio l’ascoltatore perché lo fanno sentire inquisito, scomodato, tirato in causa, costretto a riflettere.
IV – Nagasaki
Il momento di forma è incredibile e i Nuclear Assault ne approfittano per pubblicare il terzo album, “Handle With Care” (1989), sempre prodotto da Burns ma pubblicato dalla newyorkese In-Effect (parente della Relativity). Tutto si amplifica, miglior piazzamento nelle charts (126° nella Billboard 200 e 60° in UK), tour con Testament e Savatage perfino in Giappone. “Critical Mass” è il pezzo incaricato di presentare il disco al mondo ed è un centro assoluto del bersaglio, canzone fantastica, video intrigante, un tiro micidiale, i Nuclear Assault al loro meglio. Se “Survive” era da 9,5, “Handle With Care” tocca il 10, la perfezione assoluta. A parere di chi scrive uno dei tre migliori album thrash di tutti i tempi. Sul podio olimpionico assime (sempre secondo il sottoscritto) a “No More Color” dei Coroner e “Alice In Hell” degli Annihilator, un terzetto tutto made in 1989, evidentemente l’anno definitivo del thrash. “Handle With Care” è trascendenza, non c’è una singola nota fuori posto, il canone Nuclear Assault sublimato al suo livello massimo, oltre non era umanamente possibile andare. “Torture Tactics” è forse l’unica traccia leggermente sotto tono rispetto al resto (pur veicolando un pesante sarcasmo sui nazisti, soprattutto quelli di ritorno, come quelli da barzelletta presenti nei Blues Brothers, qui omaggiati col sample “The svastika is calling you“), ma stiamo parlando di un pezzo che farebbe ottima figura su qualsiasi album di qualsiasi altra thrash band. Molto divertente “Funky Noise” che annusa e ripropone il clima funky metal che si respirava in giro in quegli anni (Morded, Atom Seed, Scat Opera, Living Colour, Scatterbrain, Ignorance, Infectious Grooves, etc), e del resto Lilker lo ha sempre avuto nelle sue corde. “Mother’s Day è l’altra traccia con la funzione di ustionare chiunque si ponga all’ascolto con i suoi 31 folli secondi di durata. E tanti auguri a tutte le mamme. “New Song”, “F# (Wake Up)”, “When Freedom Dies”, “Search And Seizure” sono il meglio del repertorio dei Nuclear Assault, il vertice della loro discografia, personalità e maturità compositiva senza per questo perdere un’oncia in violenza e indignazione. L’ecologismo, il pacifismo, l’anticapitalismo, la ribellione, i diritti civili e l’anarchia sono le stelle polari del discorso portato avanti dal gruppo, il puntello di ogni loro testo, anche il più controverso e mordace. A quest’epoca risale la registrazione del “Live At The Hammersmith Odeon”, pubblicato nel 1992 da Relativity Records ma catturato dal vivo il 10 aprile 1989 in una serata londinese assieme a Dark Angel, Candlemass e D.A.M.
V – Massa critica
I Nuclear Assault sono esausti, dal 1986 non si sono fermati un attimo, uscendo dagli studi di registrazione per andare sul palco e poi fare immediatamente ritorno in studio senza soluzione di continuità. La band è al suo apice ma i ragazzi sono stanchi, esauriti e triturati. E notoriamente l’arrivo del successo (cioè anche dei dollari) porta con sé anche le prime crepe. È iniziata la ridda dei progetti solisti, Connelly con i suoi John Connelly Theory, Evans con i C.I.A. nei quali coinvolge comunque Lilker, Bramante e Connelly. Si respira aria di smobilitazione e cambiamento. L’arrivo del nuovo decennio soffia uno strano vento in faccia ai musicisti metal. “Out Of Order”, titolo quasi profetico e con dei tratti psicanalitici (per non parlare della copertina terribilmente anonima), subisce un parto travagliato. Connelly appare del tutto disinteressato, canta solo in 5 canzoni su 10 e suona appena su “Quocustodiat”, forse anche su “Preaching To The Deaf”, Lilker e Evans devono fare tutto il resto, come dei jolly tappabuchi. Alla produzione si siede lo stesso Evans coadiuvato da Casey McMackin (coinvolto in “Peace Sells… But Who’s Buying?). Evans è forse quello più coinvolto nell’album a 360 gradi, dalla scrittura, all’esecuzione, alla produzione. Stavolta la cover attenzionata è degli Sweet con “Ballroom Blitz” ma l’effetto non è lo stesso che con i Led Zeppelin…. decisamente no. Se “Survive” era stato l’esaltazione dei Nuclear Assault e “Handle With Care” a sua volta l’esaltazione di “Survive”, “Out Of Order” è il ridimensionamento di quel canone, la band è riconoscibile, sono loro ma non al loro meglio, con un tono più dimesso e spuntato, anche se non così mediocre come magari vi sarà capitato di leggere da qualche parte a proposito dell’album. Il peggio deve ancora venire. Il pubblico sente la differenza e premia decisamente meno l’album. Curiosa la scelta di assegnare a “Save The Planet”, un pezzo strumentale lungo oltre sei minuti (un’eternità per i Nuclear Assault), il vessillo della causa ambientalista tanto cara alla band. Con “Out Of Order” si rompe qualcosa dentro i Nuclear Assault, col senno di poi si tratterà purtroppo di un landmark (negativo) che segnerà indelebilmente la carriera dei nostri. L’epoca d’oro è finita, da qui in poi si naviga a vista e la band sta per pubblicare le sue prove più modeste, anzi peggio… inutili.
VI – C’è qualcosa di anomalo
Se si osserva da vicino la line-up di “Something Wicked” salta subito all’occhio che Bramante e Lilker non sono più della partita, sostituiti rispettivamente da Dave DiPietro e Scott Metaxas, entrambi avvicinati per merito di Evans poiché il primo era suo compagno d’armi nei T.T. Quick ed il secondo nei C.I.A.. L’album ricorre a qualche ospitata non particolarmente di lusso, come Ray Gillen (Badlands), Micheal Sterlacci (Prophet), Karl Cochran (Ace Frehley, Joe Lynn Turner, Thor), Steve Hunter (Jason Becker). È vero, il 1993 è un anno già di sconquasso per il metal, ma se si pensa che lo stesso giorno di “Something Wicked” nei negozi esce pure “Independent” dei Sacred Reich e che addirittura un anno prima i Brutal Truth del rivitalizzato Lilker avevano pubblicato “Extreme Conditions Demand Extreme Responses”, il confronto è impietoso. A Connelly non sembrava più importare granché dei Nuclear Assault ma evidentemente i propositi di carriere parallele naufragano e dopo tutto i Nuclear Assault potevano continuare a garantire una pagnotta quotidiana. Dunque riecco la band in pista seppur rimaneggiata. L’utilizzo della title-track nel film horror Warlock – L’Angelo Dell’Apocalisse sembra dare una mano a tenere a galla la band, ma secondo il noto adagio let the music do the talking, c’è poco da rallegrarsi in realtà perché il quinto capitolo della casa non ha granché da offrire. Una copertina orrenda annuncia un album di medio livello e la band ci aveva abituato a ben altre vette celesti. Soprattutto ci aveva abituato ad un altro sound perché, rispetto alla furia belluina hardcore punk, qui c’è una certa propensione (ancorché timida) a lidi più grooveggianti e comunque complessivamente più pacati e riflessivi, sebbene sempre oscuri ed irrequieti. Si ritorna in tour e per tutto il 1993 la band si divide tra i palchi di qua e di là dell’oceano Atlantico. Al rientro a casa la formazione si compone di Dave Spitz degli Anthrax al basso e del figliol prodigo Bramante, pronti per altre date live fino al 1995. In quell’anno, dopo un tributo ai Venom con il pezzo “Die Hard” che finirà su una compilation, il motore dei Nuclear Assault si ferma. Nel 1997, la line-up originale si ritrova per una sera nel New Hampshire, seguono altri due show nel New England con Eric Paone al basso al posto di Lilker e poi è di nuovo game over.
VII – Dopo l’olocausto
Salto temporale al 2002, quando ancora una volta la formazione classica si rimette assieme per suonare al Wacken e al Metal Meltdown, e dare alle stampe un live registrato nel Massachusetts, rigorosamente basato sul repertorio anni ’80 (“Alive Again” su Steamhammer). L’attività live prosegue alacremente, Bramante se ne va, sostituito da Eric Burke dei Lethargy, e i Nuclear Assault suonano in Europa con Testament, Death Angel, Exodus e Agent Steel. L’appetito vien mangiando e alla band viene pure il capriccio di riprovarci sul serio con un nuovo album, il primo in dodici anni di assenza discografica. “Third World Genocide” se lo accaparra la stamperia della Screaming Ferret Wreckords nel 2005 e vede il solo Bramante mancare all’appello della prima ora, nonché Evans ancora in veste di produttore. I Nuclear Assault non lo sanno (o forse lo sanno?) ma “Third World Genocide” sarà l’ultimo album della band. Non avevano granché da aggiungere e da dire nel 2005, appare chiaro ascoltando “Third World Genocide”. Il loro sesto album diventa il terzo consecutivo a non soddisfare le aspettative; nulla può inficiare quanto di spettacolare realizzato nella prima metà di carriera ma certo rimane l’enorme mistero di come un così alto potenziale sia stato dilapidato, bruciato, sperperato da parte di un gruppo che poteva essere il migliore di sempre. Lo dico senza girarci tanto intorno, i Nuclear Assault tra il 1988-1989 sono per chi scrive al climax assoluto del thrash metal, forse la miglior metal band al mondo in quel momento in quel genere, con buona pace dei Metallica, degli Slayer e di tutti i thrasher che al cospetto di questa affermazione si staranno strappando le borchie dal chiodo. Senza voler scatenare guerre di religione (non dovete necessariamente condividere), i Nuclear Assault hanno lungamente regnato incontrastati nei giardini di Elder’s Orient e questo dovrebbe far capire quanto amara sia stata la loro caduta per chi scrive. Immediatamente dopo la release dell’album i Nuclear Assault pubblicano un dvd (“Louder, Faster, Harder”) e suonano dal vivo ancora, ancora e ancora, andando in Europa, in Giappone, in sud America e ovviamente negli Stati Uniti. Andrà avanti così fino al 2013, quando viene annunciato un ennesimo album per il 2015. Nel giugno di quell’anno effettivamente qualcosa accade, si tratta dell’EP di quattro tracce (e dalla orrenda copertina) “Pounder”, inciso per l’etichetta fondata da Evans, Sidipus Records; un ritorno abbastanza plateale al vecchio sound senza averne più l’urgenza. Per presentarlo dal vivo il gruppo si imbarca in un tour che lo tiene occupato fino al 2016. Sporadicamente i Nuclear Assault continuano ad esibirsi dal vivo fino al 2022, ma sin qui nessun full-length ha fatto seguito all’EP, anche perché nel novembre del 2022 la band formalizza ufficialmente il proprio scioglimento.