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Metallica

THE GODS THAT FAILED

Non un articolo di verità oggettive sui Metallica, ma solo il mio rapporto personale (e un po’ nostalgico) con la band, con i suoi dischi. Come sono cresciuto insieme agli album pubblicati da quattro campioni che – per dirla alla Moorcock – sembravano destinati ad esserlo in eterno e che invece, più prosaicamente, si sono trasformati in Dei capaci di fallire.

Contenuti:

1. E ora… minestrina?
2. Giustizia per “…And Justice”
3. Col senno di poi
4. L’Opera in nero
5. Black album alternativi
6. … Però dal vivo spaccano ancora!

1 – E ora… minestrina?

Io ho scoperto il metal l’anno di “…And Justice For All” (1988), ma i Metallica li ho incontrati sulla mia strada con “Ride The Lightning”, che mi prestò un amico già “edotto”. Lì per lì neppure mi piacque, mi pareva sferragliassero troppo e addirittura la batteria mi risultava insostenibile, tutta quella cassa e quel martellare incessante (beata ingenuità!). Fatto il callo a quel sound, arrivarono pure “Kill’em All”, “Master Of Puppets” e “…And Justice”. Per un pelo ho fatto parte della generazione che i Metallica li ha conosciuti con i dischi storici, quelli fondamentali e fondativi di un genere. Fino al ’91 ho masticato thrash (e death) come se piovesse, mi sono addentrato nella Bay Area, mi sono impadronito del techno thrash, indissolubilmente debitore dei Metallica, e segnatamente dei grovigli di “…And Justice”. Ho imparato a distinguere lo stile americano da quello tedesco di Kreator, Destruction e Sodom, ho individuato le derivazioni e le influenze provenienti dalla New Wave Of British Heavy Metal, dal punk, dall’hardcore e dallo speed metal.

Quando nel ’91 è esploso – letteralmente deflagrato – il Black Album io non ero impreparato, non ero un novellino, non ero a digiuno di heavy metal, ero consapevole. E tuttavia quello che arrivò non fu affatto ciò che mi aspettavo. Lo comprai (vinile doppio), lo ascoltai, poi lo riascoltai e lo riascoltai ancora. Sapevo che inframezzare quel doppio vinile con i precedenti dei Metallica sarebbe stato come mettere in stand by il dvd di Pomi D’Ottone e Manici di Scopa per guardare quello di Mondo Topless di Russ Meyer. Con disciplina dovevo dedicarmi solo a quell’album e capirlo, comprenderlo, esplorarlo in ogni anfratto, come del resto ero abituato a fare con le canzoni contenute in “Master Of Puppets” e “…And Justice”.

Il punto è che era come essersi allenati per salire di corsa tutti i gradini della Torre Eiffel e dover invece percorrere la distanza che separa il divano in sala dal letto in camera. Potevi girare intorno quanto volevi a quei solchi, come uno squalo affamato, ma non ne usciva fuori polpa succosa, semmai ossicini fragili e rinsecchiti. Uso alle astruserie, ai controtempi, ai pinnacoli ritmici e frazionati dei Watchtower, dei Forbidden, degli Anacrusis, dei Coroner, degli Annihilator, dei Death Angel, dei Mekong Delta, dei Voivod, degli Anthrax (di “Persistence Of Time”) e dei Megadeth (di “Rust In Peace”), il Black Album mi lasciò con un enorme carico di energia da sfogare, come fare la coda in rosticceria all’ora di pranzo per delle succulente lasagne fumanti ed essere rimandati a casa a mani vuote perché quello prima di te ha preso l’ultima porzione. E ora… minestrina?

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II – Giustizia per “… And Justice”

Il Black Album impattò su tre diverse tipologie di pubblico: 1) i fan dei Metallica e del metal legati a tutto ciò che avevano sentito fino al giorno prima della pubblicazione del Nerone, e indisponibili a seguire i quattro Horsemen sulla via della reductio extrema; 2) i fan dei Metallica e del metal open minded, disponibili e recettivi ad ogni novità i Metallica (in quanto Metallica) intendessero propinare; 3) gli ascoltatori di musica che i Metallica imparavano a conoscerli a partire da quell’album, i quali magari, anche solo per meri motivi anagrafici, erano o diventavano adolescenti proprio attorno al ’91.

Fino al 1991 era impensabile sentir criticare i Metallica, non se ne trovava uno disposto a parlarne male. Era solo uno sbrodolo di lodi, applausi, colate di miele e zucchero filato. C’era chi preferiva l’immediatezza di “Kill’em All”, chi l’intensità di “Ride The Lightning” e “Master Of Puppets”, chi la cervellotica complessità esecutiva di “…And Justice”, d’accordo, ma il dissenso non era contemplato. I quattro erano al livello di Semi-Dei. Col passare delle stagioni ho invece preso atto di un crescente disappunto nei confronti di “…And Justice For All”. Esiste tutta una frangia di fan della band, particolarmente rigida e rigorosa, che ritiene che il cuore dei Metallica vada ricercato e collocato nelle prime tre produzioni, e che già con la quarta release i nostri avessero cominciato a mostrare segni di declino, delle crepe, delle debolezze, amplificatesi col passare degli album e degli anni. Ovvio che le critiche imputabili a “…And Justice” non siano le stesse mosse al materiale successivo, visto che i vari “Metallica”, “Load”, “Reload”, “Triload”, etc., sono andati nella direzione opposta, dal troppo al troppo poco; tuttavia, al di là del merito delle argomentazioni, mi ha stupito in sé il fatto che “…And Justice” potesse essere annoverato tra gli album “insomma” del gruppo. Reclamo formalmente giustizia per “…And Justice”.

III – col senno di poi

Negli anni ’80 i Metallica erano considerati super come musicisti, ognuno rispettivamente per la sua quota parte; passato lo spartiacque del ’91 pure i loro strumenti sono stati messi sotto accusa. Ulrich improvvisamente non era più quello delle vertiginose smitragliate di doppio pedale di “One” ma uno sconclusionato e inetto battipentole; Hammett era diventato il chitarrista sbagliato da scegliere tra quelli in forze ai primi Exodus (Kerry “una buona parola per tutti” King docet); Hetfield non era più il leader carismatico che trascinava la band in cima al mondo ma un alcolista spompato e rammollito; Newsted…beh, l’hanno fatto addirittura fuori. Allora, sopravvalutati prima o demoliti a prescindere dopo? L’uno e l’altro probabilmente (oppure né l’uno né l’altro, come preferite).

Se di “…And Justice” si dice che sia prolisso, logorroico, con riff appiccicati uno dietro l’altro senza criterio, con una batteria approssimativa, un James Hetfield troppo di pancia e poco di testa, mal prodotto (il basso di Newsted cancellato per dispetto), estenuante e persino noioso, cosa bisognerebbe dire di “Death Magnetic”? Fa molta differenza essere cresciuti con i Metallica stagione 1983 – 1988 o con quelli degli anni ’90 e successivi. Qualcuno ha addirittura ascoltato prima “Load” o “St. Anger” per poi andare a ritroso su “Kill’em All” o “Master Of Puppets”, e l’effetto che questo percorso “inverso” gli ha fatto è facilmente immaginabile. Manca tutto l’alone di culto e la metabolizzazione in diretta, uno per uno, dei monumenti artistici pubblicati dai Metallica, quando in giro non esisteva niente e nessuno che potesse concepire e dare alle stampe album come i quattro totem dei Four Horsemen. Passi “Kill’em All”, che è un disco bellissimo e a suo modo geniale, ma debitore degli ascolti dei singoli musicisti (come del resto lo era stato il coetaneo “Show No Mercy”), ma i tre successivi forse non hanno pari in termini di songwriting. Ne hanno avuti, ma col senno di poi, quando tutti avevano imparato la lezione, non durante. Nessun quartetto chiuso in sala prove nel 1984 avrebbe potuto elaborare una “Escape”, una “Orion” nell’86, men che mai una “The Frayed Ends Of Sanity” nell’88. Dopo è stato tutto più facile, per tutti.

IV – L’opera in nero

Il Black Album era innanzitutto una necessità della band, svecchiarsi, semplificare, cambiare aria, perché qualcosa di più asfittico e intricato di “…And Justice” non era fattibile, avrebbe fatto avvitare la band in una spirale verso l’entropia. Per contrappasso i Metallica decisero di muoversi nella direzione diametralmente opposta, snellire, aprirsi. Che poi la cosiddetta “apertura” dovesse essere messa in scena interamente vestiti di nero (con il poster di Glenn Danzig in sala prove) e con accenti depressi e sconsolati come quelli presenti nel Black Album (deprivato di tutta la foga e la rabbia delle precedenti produzioni, un po’ secondo i dettami del concomitante nichilismo e della rassegnazione grungettara) è materia discrezionale, ma è lapalissiano che, perlomeno a livello di sound (che poi è quello che conta), i ‘Tallica si siano aperti verso l’esterno anziché rendersi una fortezza impenetrabile scandita lungo il proprio perimetro da aculei e spunzoni ferrati.

Il Black Album è bello, è brutto? E’ quello che chi ascolta decida debba essere. Per me ha avuto il respiro corto, classificabile tra i contrari del relativo dizionario (“sinonimi e contrari”) per i sostantivi “inesauribile”, “inestinguibile”, “perenne”. La necessità di ripeterne gli ascolti è terminata con estrema rapidità. Lo riprendo in mano qualche volta, ne ammiro la produzione perfetta di Bob Rock, mi compiaccio della lineare essenzialità del concept grafico, apprezzo la potenza di una “Enter Sandman”, di una “Holier Than Thou” o di una “Don’t Tread On Me”, ma il resto scorre via come una manciata d’acqua sul palmo della mano (non proprio, c’è pure da pagare lo scotto di due ballad mattonate). E’ come parlare dell’anima, possiamo credere fideisticamente che esista ma non è palpabile, a conti fatti non c’è materia del contendere. L’idea che “meno è più” deve essere sembrata vincente ai Metallica, ma a forza di sottrarre arrivi allo zero.

Dibattere del valore del disco è relativo, non mi interessa granché, perché qualsiasi album da “Gelato Al Cioccolato” di Pupo a “Destroy Erase Improve” dei Meshuggah ha il suo pubblico, il suo diritto ad esistere, il suo contesto adeguato, in poche parole, i suoi estimatori più che legittimi. E’ semmai il cambio di atmosfera, di densità e peso specifico della musica dei Metallica che motiva il giro di volta sul prestigio del loro monicker, unitamente all’anagrafe, alle fasce generazionali che si sono avvicinate alla band prima, durante e dopo. Il Black Album è stato comunque una visione, l’incipit di un nuovo percorso, una catarsi; ed ha tenuto a battesimo una vera e propria sindrome che ha colto parecchi protagonisti, maggiori e minori, della scena di quegli anni.

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V – Black album alternativi

Di Black Album alternativi ne sono arrivati parecchi, non tanto intesi come necessariamente appartenenti alle medesime sonorità scelte dai leviatani originali, quanto inseriti nello stesso percorso condiviso di semplificazione, di superamento del recinto esclusivamente metal. Ad esempio “The Ritual” (Testament), “Cuatro” (Flotsam And Jetsam), “Kin” (Xentrix), “Mental Vortex” (Coroner), “Renewal” (Kreator), “Countdown To Exctinction” (Megadeth), “Sound Of White Noise” (Anthrax), “I Hear Black” (Overkill), “Force Of Habit “(Exodus), persino “Wolverine Blues” (Entombed) a suo modo, sono tutti album che in un fazzoletto di anni vengono più o meno consapevolmente investiti dalle indicazioni dettate dai Maestri riconosciuti del Metallo, indicazioni elaborate secondo le diverse sensibilità in campo. Non sempre queste band muovono dalla stessa genuina esigenza dei Metallica di andare “altrove”, spesso cercano semplicemente di seguire il flusso e cogliere l’attimo, mantenendo al contempo ancora un piede saldo nel metal. Questo fa sì che in molti casi i Black Album apocrifi risultino persino migliori di quello passato alla storia. Sono pochi i thrashers a non essere saltati sul treno lanciato verso il successo mediatico; Slayer, Tankard, Destruction, Sodom certo non si svendono, eppure ad esempio “Cracked Brain” o “Better Off Dead” sono indubbiamente due lavori atipici nelle rispettive discografie, dove si respira aria meno asfittica che in passato.

I Metallica intanto vanno avanti, ma pure indietro; spingono sul terreno della de-metallizzazione (curioso, considerando il monicker) a favore di un hard rock sanguigno e infatuato talvolta della bandiera confederata (non a caso molto stoner ha guardato con benevolenza ai “blackened” Metallica), per poi proclamare ai quattro venti una rinnovata asprezza compositiva, tradotta letteralmente anche da scelte produttive incomprensibili ai più (“St. Anger”), senza farsi mancare il passaggio orchestrale che fa sempre fino e intellettuale (“S&M”); quindi il ritorno genuino e virgineo al thrash (“Death Magnetic”, “Hardwired … To Self -Destruct”….vabbè, si fa per dire) e Dio solo sa cosa dovremo aspettarci in futuro.

V – … però dal vivo spaccano ancora!

I vecchi Metallica erano un plotone coeso e compatto, e soprattutto omogeneo. Il cambio di natura ha portato uno sfilacciamento totale; Trujillo che passa inosservato come la il pupazzo di Profondo Rosso tra quelli dei Muppets, le collaborazioni con Marianne Faithfull o Lou Reed (trovare vecchie glorie artisticamente più lagnose e macilente sarebbe stata un’impresa), le dichiarazioni sempre acute ed empatiche di Lars Ulrich, i documentari autoreferenziali, autopsicanalitici e onanistici, le eterne promesse di ritorno all’antico (come se Gina Lollobrigida potesse garantire di ritornare ad essere quella del 1965), le imperdonabili photosession della seconda metà dei ’90 (roba di cui si sarebbero vergognati anche Alberto Camerini e Ivan Cattaneo), titoli demenziali come “Fixxxer” con tre X, il profluvio incessante di materiale video piovuto sul mondo (su Youtube credo esista anche il filmato ufficiale dell’esame della prostata dei Metallica), scelta necessaria ed al passo coi tempi ma che fa comunque specie visto che i Metallica erano quelli idrofobi nei confronti del marketing e dei videoclip. Come è noto, si nasce incendiari e si invecchia pompieri, sono quelle cose che si fanno e si dicono da giovani e irresponsabili, poi si cresce, si mette su famiglia e arrivano i conti da far quadrare a fine mese. I Metallica ci stanno provando a tornare incendiari ma il punto è che, di questo passo, rischiano che a prendere fuoco siano i loro fans, i quali messi alle strette potrebbero addirittura decidere di appiccarselo da soli, piuttosto che doversi sorbire una “Unforgiven” numero dodici o altri album di 78 minuti, praticamente un sequestro di persona a tutti gli effetti.

Di solito a questo punto arriva sempre quello che dice: “eh, però dal vivo spaccano ancora“. Non ho mai capito esattamente cosa c’entri una simile puntualizzazione ma tant’è… sappiate che dal vivo spaccano ancora.

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Discografia Relativa

  • 1991 – Metallica
  • 1996 – Load
  • 1997 – ReLoad
  • 1999 – S&M (con la San Francisco Symphony)
  • 2003 – St. Anger
  • 2008 – Death Magnetic
  • 2011 – Lulu (con Lou Reed)
  • 2016 – Hardwired… to Self-Destruct

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