Non sono tantissime le realtà gothic del panorama italiano degne di attenzione e con una carriera che si è protratta per oltre due decadi a buoni livelli. Il successo gargantuesco dei Lacuna Coil (che hanno smesso da un bel pezzo di essere gothic) ha di fatto obnubilato la visibilità di altri progetti meritevoli. Ve ne propongo uno, toscano di nascita ma dal respiro internazionale fin dal suo debutto discografico nel 2001: i Mandragora Scream di Morgan Lacroix e di Terry Horn.
Contenuti:
1. Le radici della Mandragora (1994 – 2001)
2. L’apice gotico (2002 – 2006)
3. Dai castelli alle fabbriche (e ritorno) (2007 – 2021)
1 – Le radici della mandragora
Da qualche parte fuori o dentro la cinta muraria cinquecentesca che abbraccia la città di Lucca, le cui fondamenta risalgono probabilmente ad epoche pre romane, forse etrusche (attorno al 220 a.c.), è piantata al suolo la torre dei Mandragora Scream, un edificio mistico, quartier generale di Morgan Lacroix e Terry Horn, corpo ed anima del project gothic metal attivo oramai da un quarto di secolo nella discografia italiana e internazionale. La descrizione sembrerà un po’ romanzata ma ricordo di aver letto qualcosa del genere a proposito della residenza dei due soci di maggioranza dei Mandragora Scream. Per altro, appena una manciata di chilometri da casa mia, quindi un giorno mi armerò di giacca di pelle, frusta e cappello a fedora e partirò alla ricerca della torre perduta, magari per portare i miei omaggi alla band, farmi autografare i dischi e sorseggiare del sidro idromele mentre un plotoncino di spettrali creature della notte intonerà canti e danze dell’oltremondo. Del resto nel Medioevo Lucca costituiva per i pellegrini una importante tappa della via Francigena per via della presenza del Volto Santo – un crocifisso ligneo che la leggenda definisce “acheropita”, ossia non fatto da mano umana – veneratissima reliquia del Cristo conservata ancora oggi nel Duomo di Lucca (insieme alle reliquie di San Frediano, San Regolo e San Cesario di Terracina); dunque che quel perimetro abbia in sé un qualche rilievo mistico è cosa acclarata da secoli.
La mandragora stessa era una pianta assai particolare, ricercata da maghi e stregoni perché si riteneva detenesse poteri magici enormi; scovarla era cosa semplice e complicata al contempo, poiché senza possibilità di errore alcuno cresceva sotto gli alberi degli impiccati, ma prendeva vita dal contatto del loro sperma con la terra (e come veniva ottenuto? Meglio non chiederselo….) ed inoltre, se recisa maldestramente, emetteva un tale gemito da ammazzare all’istante l’incauto botanico (ecco perché “l’urlo della mandragora”). Ne saranno cresciuti esemplari lungo la via Francigena all’altezza della lucchesia? Ai posteri l’ardua sentenza. In un tale crocevia di energie soprannaturali nel 1997 Morgan Lacroix (al secolo Selvaggia Bucci) immagina e prefigura l’anima della sua futura band, il cui profilo si sviluppa fino al 1999 quando presso i New Sin Studios viene registrato un demo di quattro tracce. Il dado è tratto, la band ufficialmente esiste e la Lacroix ne è la custode. Influenzata dagli ascolti della madre (Kiss, Ozzy Osbourne, Nina Hagen), solo quando approda al death e al black metal la silfide toscana (di origini moldave) realizza che l’ingrediente mancante fino a quel momento era stata la “sensualità” (ipse dixit). Come abbia potuto ricavare la sensualità dal black e dal death non riesco ad immaginarlo ma tant’è…. dal metal estremo al dark gothic il passo è breve (basti pensare ad un anello di congiunzione come i Cradle Of Filth).
Il progetto si rafforza nel 2000 quando la dama della torre conosce il polistrumentista Terry Horn (al secolo Pierguido Bertini), professore di conservatorio; l’intesa è immediata, al punto tale che nell’arco di una manciata di mesi i Mandragora Scream debuttano con l’album “Fairy Tales From Hell’s Caves”, pubblicato dall’etichetta tedesca Capiranha Records, orbitante nel giro distributivo di Nuclear Blast, col risultato che subito al primo colpo i lucchesi si ritrovano sostenuti dalla corazzata metal di Donzdorf. “Fairy Tales” è un concept album, forse il più alto ed ambizioso al quale una band possa aspirare, poiché immagina un viaggio attraverso l’inferno dantesco, naturalmente all’insegna di tormenti, passioni, paure e follia. La figura di Virgilio per l’occasione è sostituita da quella di una fata vampira e strega (non risulta difficilissimo identificarla con Morgan Lacroix), centro nevralgico della narrazione musicale. Terry Horn presiede a tutta la restante strumentazione (compreso il drum programming), sebbene John Peter Morris e Luigi Stefanini (Arthemis, Dark Moor, Elvenking, Highlord, Thunderstorm, White Skull) diano un contributo rispettivamente alla chitarra solistica e alle tastiere. Gli insiemi concentrici del mondo delle fiabe, della magia, del gotico vampirico e, blandamente, del demoniaco, costituiscono il campo d’azione della band, tanto in questo album quanto un po’ lungo tutta la carriera dei Mandragora Scream; “Fairy Tales” non fa che gettarne le basi, naturalmente con tutte le acerbità del caso, date dall’essere un’opera prima, messa in musica abbastanza di corsa (come dichiarato in sede di intervista dai diretti interessati) e con un’esperienza in campo produttivo tutta da costruire. Ciò nonostante, l’aspetto estetico e formale è immediatamente fortissimo, e diventa il biglietto da visita dei toscani.
“Fairy Tales” spalanca le porte di un regno soprannaturale, le cui radici culturali vanno da Shakespeare ad Ann Rice, da Dante a James Matthew Barrie, con tutte le suggestioni fantastiche ed immaginifiche contenute nel mezzo. La visione dei Mandragora Scream è creativa e letteraria, ed è indubbio che la loro musica abbia toni ora drammatici, ora suadenti, ambigui e mesmerici, sempre e comunque ricercatamente teatrali ed enfatici (sebbene a suo modo abbia un sapore anche “intimo”), nel manifesto tentativo di operare una cesura netta tra la grigia e monotona realtà quotidiana ed un confine liminare verso un mondo fantasy onirico e e fiabesco, nel quale “pericolo” e “sensualità” sono termini del tutto sovrapponibili. Questo sogno di una notte di inizio estate (l’album uscì il 9 giugno) non contiene vere e proprie hit, quanto piuttosto si va configurando come un corpus omogeneo e dinamico di elementi d’ambiente, raffigurazioni pittoriche, uno stato d’animo che accoglie ed avvolge il visitatore, avviluppandolo ad ogni passo sempre più nelle proprie spire (affatto innocenti e disinteressate alla carne ed allo spirito di chi incautamente ne ha varcato la soglia).
II – l’apice gotico
I riscontri di “Fairy Tales” sono abbastanza positivi, il 2001 è un anno rilevante per il gothic metal italiano (segnatamente a trazione femminile), visto che escono anche “Unleashed Memories” dei Lacuna Coil (oramai ad un passo dal grande botto mediatico e commerciale) e “Bloody Lunatic Asylum” dei Theatres Des Vampires (sebbene Sonya Scarlet qui sia ancora nelle retrovie e la band mantenga una marcata impronta black). Trascorre un tempo relativamente breve – nel quale i gruppi su menzionati pubblicano altri album ancora più celebrati a livello di hype pure internazionale, ovvero rispettivamente “Comalies” e “Suicide Vampire” – e i Mandragora Scream approdano al secondo capitolo sempre per Nuclear Blast, si tratta di “A Whisper Of Dew”. La sala di registrazione di Lacroix e Horn si riempie di musicisti, stavolta a dar man forte ci sono Mat Stancioiu (Labyrinth, Vision Divine) alla batteria, Jack Lowell Halleyn alle tastiere, ancora Stefanini (chitarra e piano) come ospite ed il violinista Daniel De Torres. Therry Horn si assume la responsabilità di condividere anche il microfono con la Lacroix, fungendo da contraltare maschile ai suoi vocalizzi. Nonostante un artwork di copertina che, al di la delle differenze cromatiche (dal grigio al rosso cremisi), rimanda abbastanza a quello di “Fairy Tales” (sempre con la Lacroix in primo piano), ed il ricorso alla nota struttura del concept album, “A Whisper Of Dew” sposta il fuoco tematico del racconto, dirigendosi verso una storia vampirica tout court che la Lacroix ricava dall’omonimo romanzo dell’accademico andaluso Julio Angel Olivares Merino (pubblicato contestualmente all’uscita dell’album). Eterogenea dal contesto (ma non troppo) è la cover di “Close Every Door”, derivante dal musical Joseph And The Amazing Technicolor Dreamcoat di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice (ispirato al racconto biblico di Giuseppe e dei suoi fratelli dal Libro della Genesi).
A mio giudizio personale “A Whsiper Of Dew” inaugura la fase qualitativamente migliore della band che occuperà i primi anni 2000 assieme a “Madhouse”. Questo album in particolare è probabilmente la vetta della loro produzione discografica. Le melodie create dai Mandragora Scream hanno una capacità di coinvolgere l’ascoltatore in modo intenso e genuino; più in generale, il concept estetico e sonoro evidenzia una sua personale via di accesso al gothic metal, ancorata a stilemi che non si affannano a seguire più di tanto ciò che accade intorno alla band (con band come Evanescence, Lullacry, Flowing Tears, etc, che a livello internazionale vanno nella direzione di snellire e modernizzare il più possibile le atmosfere gothic, tanto in direzione rock alternative quanto chart-oriented). I Mandragora Scream non hanno alcuna intenzione di lasciare (per ora) il regno delle fate ed anzi, proseguono nel processo di accumulazione e stratificazione di ogni suggestione possibile in tal senso, tra velluto, un velo di elettronica, patine dolciastre ed erotizzanti. Il tono stregonesco della cantica di Morgan Lacroix si affida di tanto in tanto al sussurro voluttuoso e flautato, un richiamo morbido e sinuoso, che fa dell’erotismo una sua componente fondamentale, al pari della lussureggiante vegetazione (gli strumenti) che incornicia la fata vampira. Il mixing della voce è appaiato alla musica, non ha un ruolo preminente di leadership, si opta per una fusione armonica con il tutto, nell’ottica di dare linfa all’atmosfera fantastico-fiabesca. Nel libretto la Lacroix copre a stento le sue nudità, immersa dentro paesaggi sinistri e vagamente ossianici, mentre Horn e compagni sono ritratti come romantici cavalieri di una ipotetica edizione transilvana dei romanzi Harmony. Nel 2003 la band segue Mortiis nel Smell Of Rain Europe Tour.
Cosa accadrebbe se i Cradle Of Filth depurassero il proprio sound di ogni velenosità black metal lasciando unicamente la componente gothic a definirne e scolpirne i connotati? Forse avremmo un album abbastanza prossimo a “Madhouse”, che i Mandragora Scream pubblicano nel 2006. Attenzione, non sto dicendo che “Madhouse” sia banalmente una lavoro copia/incolla dei vampiretti inglesi, intendo semmai alludere ad una certa (interessante) consonanza di “etere” e suggestioni. I Mandragora Scream catturano quel tipo di visione e di contenuti (l’artwork di copertina è piuttosto indicativo in tal senso, per altro l’album si apre con una intro intitolata “Vlad”); il contesto slitta dal fiabesco-fantastico degli esordi all’horror. Il titolo ci dice che siamo tra le mura di un “manicomio” e, anche osservando preliminarmente la grafica del booklet accluso al Cd, la cornice pare quella di un’opera come il Fantasma dell’Opera o giù di lì. Musicalmente parlando “Madhouse” si segnala come l’album più heavy inciso fino a quel momento, si parte subito con una serie di pezzi a filotto dove la sezione ritmica percuote potente, le chitarre sono grasse e robuste, e Morgan Lacroix svaria dal suo tipico mormorio sospirato alla declamazione a pieni polmoni di ritornelli sempre ben misurati quanto a gusto e melodia. Se qualcuno aveva dubbi…. beh la voce c’è, eccome! La sua timbrica androgina (vagamente alla Asia Argento) crea un contrasto senz’altro particolare rispetto alla sensualità muliebre del sound dei Mandragora Scream (ma anche delle foto della Lacroix nelle quali la strega va tramutandosi sempre più in una femme fatale hollywoodiana). La produzione del disco è ottima, la migliore avuta sin qui, eppure Nuclear Blast ha scaricato la band che nel frattempo si è accasata con Lunatic Asylum Records (ovvero l’etichetta dei Mandragora Scream, sostanzialmente dedita quasi unicamente alla pubblicazione dei loro lavori dal 2006 ad oggi). Lacroix e Thorn hanno fatto intendere nelle interviste che la separazione è avvenuta in modo affatto amichevole e che la band si è sentita poco supportata dalla label tedesca. La formazione si apre alla bassista Lena Drake (Drake, Lacroix…. il panorama piratesco si arricchisce), alla batteria siede Brian Lacroix (fratello?), mentre alle tastiere si conferma Jack Lowell Halleyn. In qualità di special guest il lucchese Frank Andiver (Labyrinth, Shadows Of Steel) presiede alle percussioni. L’impianto atmosferico non difetta a “Madhouse” pur nella sua esplosione power, ora l’impressione è quella di assistere ad un magniloquente musical di stampo dark-gothic, nel quale pure Terry Horn infonde enfasi e sostanza con la sua accorata prestazione vocale (nonché strumentale). Peccato per uno certo squilibrio della track-list, che nella seconda parte perde qualcosa per strada.
III – Dai castelli alle fabbriche (e ritorno)
Anno cainita 2009, Lunatic Asylum Records licenzia il quarto album dei Mandragora Scream, “Volturna”, (distribuito all’estero da Massacre), ennesimo concept – chiaramente la formula preferita dalla band – ispirato da un sopralluogo ad una necropoli etrusca (a Sovana, nella zona di Volterra) chiamata “la porta per l’Oltretomba”. La Lacroix rivela che la visita viene fatta circa un anno dopo la morte del padre, al quale è dedicato l’album (la storia infatti ha inizio proprio con una vampira che perde il proprio mentore). La line-up cambia ancora attorno alle due colonne portanti (da sempre gli unici veri detentori del marchio), ora al basso c’è Max Rovers (Marco Raffaelli), mentre alla batteria siede Furyo (Biagioni). La presenza formale di un batterista è abbastanza stupefacente perché ascoltando il disco sinceramente si ha la netta sensazione che si tratti di drum programming, perlomeno per l’impiego basico ed elementare che se ne fa. Nelle interviste Morgan Lacroix parla di “Volturna” come del titolo che ha allargato il range di contatti della band, facendone generosamente circolare il nome ed aumentandone lo status. Anche in questo caso è curioso che accada proprio con un album come “Volturna” poiché, a mio gusto, si tratta di un mezzo passo falso da parte del gruppo, il primo. “Volturna” molla un po’ l’autoreferenzialità gothic metal che aveva permeato le produzioni dei lucchesi per aprirsi ad input decisamente più à la page.
Un po’ grossolanamente si potrebbe dire che l’interesse dei Mandragora Scream si sposta dai Cradle Of Filth ai Rammstein (e di sponda ai vari Rob Zombie e Marilyn Manson), considerando l’uso(abuso) di ritmiche e sonorità marziali, ai limiti della techno discotecara, con l’apporto minimo di un guitar working degno di tal nome. Le canzoni vanno per sottrazione, c’è sempre meno polpa nelle composizioni di Horn, a fronte di una crescente attenzione per pattern ritmici in 4/4, tronfi e squadrati; l’apporto dell’elettronica (ad uso “industriale”) aumenta sensibilmente ed anche la prova vocale dei due cantanti si adegua all’andazzo generale. Non che manchino anche passaggi più in linea con la discografia passata, ma complessivamente è evidente come i Mandragora Scream si stiano riposizionando in chiave più moderna e contemporanea, disponendo tuttavia di un lotto di composizioni non particolarmente performanti ed ispirate (a titolo di esempio, “A Chance For Him” è forse tra i loro pezzo più brutti). Qualche recensione di “Volturna” ha persino parlato di album della “maturazione” ma personalmente penso molto più banalmente che si tratti di un disco fuori fuoco, poco ispirato, un po’ maldestramente asservito ai trend coevi, in poche parole abbastanza deludente. Ora la drammaticità ed il glamour dei Mandragora Scream si sono trasformati in una eccessiva asciuttezza che suona kitsch. Due cover in scaletta, “Bang Bang” di Cher e “Fade To Gray” dei Visage, pessima la prima, apprezzabile la seconda. Comunque l’album, come detto, porta perlomeno visibilità alla band, che va in tour con 69 Eyes e Christian Death, e partecipa a manifestazioni come l’Heineken Jammin’ Festival ed il Fantasy Horror Award. Nel 2011 addirittura è finalmente la volta di un tour con Cradle Of Filth, ma anche di un brutto incidente automobilistico per Morgan Lacroix, che fortunatamente recupera pur avendo dovuto trascorrere un periodo di degenza all’ospedale.
I tempi cambiano ed anche la grande visibilità accumulata con “Volturna” non porta ad una vera e propria svolta mainstream, visto che il successivo “Luciferland” (2012) viene addirittura distribuito direttamente tramite il sito della band e dalla Gatti Promotion che rappresenta i Mandragora Scream. Ogni copia del Cd contiene una pergamena con l’autografo ed un bacio di Morgan Lacroix, pezzi unici approntati dalla strega vampira in persona. L’artwork (di stampo vagamente power metal) è decisamente preferibile a quello non esaltante di “Volturna”, la line-up rimane immutata e tuttavia a livello di sound si registra qualche cambiamento; la smania electro/industrial metal si smorza e i Mandragora Scream tornano a guardare con maggior empatia al gothic metal precedente a “Volturna”, pur non tralasciando l’elettronica (elemento da sempre presente nel loro concept). Senza ripetere pedissequamente quanto già fatto nei primi anni 2000, si riappropriano di un vestito a loro più consono, recuperando movenze intime ed eleganti che si erano perse col rutilante e chiassoso “Volturna”. “Luciferland” è un lavoro discreto, probabilmente non al livello della produzione 2001-2006 ma senz’altro una boccata d’ossigeno rispetto al capitolo “etrusco”. Sorprendente il videoclip di “Medusa”, la cui ambientazione americana tra saloon, cappelli da cowboy, slot machines e rombanti Corvette tradisce il desiderio di valicare il più possibile gli angusti confini patri per affrancarsi da etichette troppo limitanti.
I Mandragora Scream di “Luciferland” sono una band solida e oramai di rodata esperienza, anche se la sensazione è quella di aver oramai irrimediabilmente perso il treno. Tra gli anni della Nuclear Blast e quelli dell’hype per “Volturna”, la band sembrava sul punto di dover spiccare il grande salto ma questo balzo di fatto non si concretizza e Horn e la Lacroix si riperimetrano in un’ottica più concreta e minimalista, fatto di autodistribuzione e grande lavorio via internet. Ne è prova la scelta di iniziare a rilasciare nuovi singoli online anziché un nuovo album alla maniera tradizionale. Dopo una pausa delle attività abbastanza lunga, la band si riaffaccia al proprio pubblico nel 2018 allorquando inizia a pubblicare un singolo dopo l’altro, per un totale di sette tracce in un biennio (tre delle quali corredate di videoclip, “In The Dark”, “Devil’s Whisper”, “Lily Rose”). Questo stillicidio trova poi un punto di ricaduta nell’Ep “The Deathly Hallows” (dal nome dell’ultimo singolo uscito in ordine di tempo), reso disponibile nel 2020 esclusivamente in formato digitale ed indipendente, con oramai i soli Horn e Lacroix a tenere le redini della formazione (salvo l’apporto di musicisti terzi per le esibizioni dal vivo). Il manto dark gothic dei Mandragora Scream, aristocratico, arioso, damascato, è sempre più vellutato, rotondo e lineare, non troppo scomodo anche per chi non mastica abitualmente quei territori sonori. Music For The Masses licenzia nel 2021 “Nothing But The Best”, una raccolta di ben 73 minuti che perlustra l’intera carriera dei Mandragora Scream, comprendente tracce rimasterizzate ed alcuni inediti (“The Devils Owns My Heart”, “In The Dark” e “Baby Blue”) che dovrebbero far parte di un futuro nuovo album previsto per la fine di quest’anno (vedremo in che formato). La danza delle streghe non si è ancora fermata.
Discografia Relativa
- 2001 – Fairy Tales From Hell’s Cave
- 2003 – A Whisper Of Dew
- 2006 – Madhouse
- 2009 – Volturna
- 2012 – Luciferland
- 2020 – The Deathly Hallows (Ep)
- 2021 – Nothing But The Best (best of)