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I Venom Dopo I Venom

WOMEN, LEATHER AND HELL

Quando i Venom sono stati per davvero integralmente e totalmente i Venom? Nei primi quattro album, quindi dal 1980 al 1985, e in occasione di “Cast In Stone” nel 1997. Poi il trio si è scomposto e ricomposto in forme sempre diverse, e per un periodo i Venom sono stati quelli di Tony “Demolition Man” Dolan (ex Atomkraft), con il quale sono stati incisi tre album ed un Ep che Cronos e una parte dei fans con lui hanno disconosciuto, ma che in realtà non hanno affatto infangato il nome della band, anzi. Con il logo dei Venom sono usciti album peggiori di quelli. D’altra parte è anche vero che in quarant’anni di carriera e 15 dischi in studio il materiale indigeribile o mediocre della band è poco, pochissimo, a mio avviso. Ovvio che la qualità differisca da release a release, ma tutto sommato quel marchio ha deluso raramente. Forse è proprio in questi ultimi anni che ha smesso di essere interessante.

Contenuti:

1. Soldiers under command (of Satan) (1981 – 1985)
2. Senza Mantas (1986 – 1987)
3. Demolition Venom (1988 – 1992)
4. One Thousand Days in Venom (1995 – 2006)
5. Soddisfatti o rimborsati? (2008 – 2018)

1 – Soldiers Under Command (of Satan)

“Welcome To Hell”, “Black Metal” e “At War With Satan” hanno trasformato la band di Newscastle in un coacervo di divinità; molto più i primi due album per la verità, “At War With Satan” vive un po’ di rendita per quanto realizzato in precedenza e soprattutto frastorna i fans con la suite d’apertura – nonché title-track dell’album – di quasi 20 minuti di durata, un azzardo megalomane totalmente fuori dalle corde di una realtà come i Venom, ma che anche per questo coglie di sorpresa tutti. Del resto la sfrontatezza e l’alterigia sono sempre state una chiave di lettura della band (esattamente negli stessi anni, di qua dall’Atlantico i Manowar facevano la stessa cosa). Con il dovuto pragmatismo e con il senno di poi, la scommessa degli inglesi non è completamente vinta, non tutto gira a dovere in “At War With Satan”, un album che non difetta dell’impeto, della ferocia e dell’energia dei migliori Venom, ma al quale forse manca il resto, un songwriting altrettanto convincente di “Welcome To Hell” e “Black Metal”. “Possessed” segue “At War With Satan” di un anno esatto. Tutto è cambiato nella vita dei tre guerrieri luciferini, il passaggio dal proletariato musicale degli scantinati di Albione all’Olimpo degli Dei è stato tutto sommato repentino e violentissimo, esaltante e trionfale. Conrad Lant (in arte Cronos), Jeffrey Dunn (in arte Mantas), Tony Bray (in arte Abaddon) affogano nel delirio di onnipotenza, hanno oggettivamente aperto una strada, creato qualcosa che prima di loro non c’era, perlomeno non a quel livello di bestialità ed estremismo, tanto sonoro quanto concettuale; ed il bello è che hanno perfettamente chiaro di non essere esattamente dei musicisti superlativi, assomigliano piuttosto a dei performer, sanno tenere gli strumenti in mano quel tanto che basta per scatenare la festa, poi il resto lo fanno gli abiti di scena, la sguaiatezza, il volume, la macchina per il fumo, l’alcol e Satana. Una versione più cattiva e meno cesellata dei Kiss, con il Diavolo al posto del sesso (o forse sono la stessa cosa) ed un’arroganza che surclassa la perizia tecnica. Dove non arriva la brillantezza del songwriting arriva la guasconeria. Un circo che i Venom padroneggiano egregiamente e che indubbiamente esalta il pubblico.

Dei tre, Cronos sembra essere quello coi piedi più piantati per terra, ok il divertimento, le ragazze, le bevute e qualche soldo che inizia a girare ma le fondamenta devono essere solide, the show must go on oltre l’edonismo, e allora dopo l’ubriacatura dei primi tre album occorre plasmare un degno seguito. L’andazzo solitamente era che basso e chitarra buttavano giù le prime idee, poi si provava con la batteria. Quando però, dopo ben 46 date in giro per Europa e Stati Uniti, i Venom si ritrovano in studio, l’unico che ha fatto i compiti a casa è Cronos. Mantas in particolare non ha partorito granché. La cosa indispettisce Cronos che non la prende benissimo, si è perso del tempo prezioso. In fretta e furia viene assemblato del materiale ma manca la raffinazione del prodotto, mancano delle date live durante le quali provare le nuove canzoni, manca insomma la voglia di dare corpo e forma in modo professionale al disco. Eppure il tempo dell’asilo, della fortuna presa come viene, dell’improvvisazione dettata dall’inesperienza, è finito da un pezzo, ora bisogna fare le cose sul serio. Serietà e Venom tuttavia sono un ossimoro (approccio che Cronos ha sempre rimproverato ai compagni anche negli anni a venire). Mantas spesso diserta le prove, sarà assente persino al momento del missaggio, pare proprio ripercorrere le tappe di una delle sue band preferite, i Kiss, nei quali “chi era presente quando” è stato uno dei grandi leit-motiv della loro storia. Quello che secondo Cronos sarebbe dovuto essere poco più che un demotape propedeutico alla realizzazione del nuovo album diventa di fatto quel “Possessed” che finisce negli scaffali dei negozi di dischi di tutto il mondo nell’aprile del 1985. Per il singolo “Nightmare” viene prodotto il primo videoclip ufficiale targato Venom.

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II – Senza Mantas

Il feedback derivante da “Possessed” è duplice, da una parte lo zoccolo duro lo idolatra a prescindere, senza se e senza ma, dall’altra i fan più critici, già perplessi dopo “At War With Satan”, cominciano a fare i conti con un deciso calo qualitativo dei propri beniamini, anche se a livello di divertimento ed esagerazione i Venom tengono sempre botta, soprattutto dal vivo. L’8 ottobre i Venom suonano all’Hammersmith Odeon di Londra, il concerto viene ripreso e pubblicato come vinile e videocassetta (“Hell At Hammersmith – Alive In ’85”), diventando il concerto più famoso della band. Cronos è insoddisfatto della dedizione (non) mostrata da Abaddon verso il progetto che gli sta dando da mangiare, oltre a fama e notorietà, quindi contatta due chitarristi, il concittadino Jimmy Clare e l’americano Mike Hickey, prefigurando nuovi scenari. La produzione del quinto titolo dei Venom (che dovrebbe portare il nome di “Deadline”) incombe, il rischio è replicare la situazione improvvisata ed incresciosa di “Possessed”, tanto nella forma quanto nel contenuto, bisogna correre ai ripari. Per tutta risposta Mantas si considera già fuori dai Venom, intendendo concentrarsi sulla propria carriera solista. Diligentemente i due Venom rimasti registrano il nuovo materiale assieme a Clare e Hickey presso i New Marquee Studios di Londra, quel che ne esce fuori è “Calm Before The Storm”, primo album dei Venom a non essere licenziato dalla Neat Records, la leggendaria label della NWOBHM, se ne occupa infatti la canadese Filmtrax. Simbolicamente è la fine di un’era. Differentemente da “Possessed”, l’album è accolto male, vuoi perché i Venom non sono più quelli originali, vuoi perché il disco è diverso stilisticamente dai precedenti. Nella consapevolezza di avere le gambe fragili, la furbata con “Possessed” era stata quella di discostarsi il meno possibile dal trademark, puntando tutto sul fattore divertimento e caciara. Con “Calm Before The Storm” invece Cronos, sempre più leader unico, si sposta su sonorità più rotonde ma al contempo anche più tecniche strumentalmente parlando (sempre nei limiti di una band come i Venom), grazie soprattutto all’apporto dei due chitarristi, il che muta la fisionomia dei figliocci di Satana.

Di fatto questo non è già più un album dei Venom mark I, è qualcosa di assai più prossimo ai Cronos, la band che Lant porterà avanti a proprio nome pubblicando due lavori nella prima metà dei 90’s (“Dancing In The Fire” e “Rock ‘n’ Roll Disease”). Passata tanta acqua sotto i ponti, la mia opinione su “Calm Before The Storm” è che si tratti di un album gradevolissimo, al netto della sua rispondenza all’ortodossia Venom. Non snatura drammaticamente il trademark della band, eppure suona come dei Venom più punk e più rock, comunque mai così estemporanei come quelli degli esordi o del più raffazzonato “Possessed”. Ci sono buone canzoni, non è per niente peggiore del passato prossimo della band, tuttavia le critiche che piovono sulla band convincono il già pencolante Abaddon a non rinnovare la fiducia a Cronos; all’indomani della fuoriuscita di Mantas il batterista prosegue con i Venom quasi per inerzia, ma la “svolta” di Cronos non convince il pubblico e conseguentemente neppure Abaddon. Sono pure venute a mancare le intemerate infernali, la band sembra aver voluto cambiare (troppo) attitudine anche da quel punto di vista. Dopo quattro album di preghierine a Satana era pure l’ora… ma la fan-base non la pensa così. Il tour si muove tra U.S.A., Brasile e Giappone, ed al rientro a casa Tony Bray ufficializza la sua separazione dai Venom, non si sente parte di un gruppo bensì guarda alla band come ad un progetto solista di Lant, non a torto visto che l’altro compositore era Mantas e che i due nuovi guitar heroes rispondono contrattualmente a Lant. A posteriori Cronos confermerà questa impostazione, dolendosi per come sono andate le cose e mostrandosi perplesso sull’opportunità di pubblicare l’album a nome Venom anziché Cronos.

III – Demolition Venom

Via Mantas, via Abaddon, Cronos pare uno dei personaggi tratteggiati da Beckett in Aspettando Godot, sta su uno sgabello bofonchiando, circondato da due chitarristi assunti per fare fuoco e fiamme ed invece il gruppo è senza batterista, perso nell’est Europa a fare il tour manager degli Atomkraft. Pure Cronos molla la baracca e decide di andare negli Stati Uniti a far fortuna con i suoi due stipendiati. Ecco che allora, per magia, Abaddon rimette sotto il radar il monicker Venom, o meglio, quel che ne rimane, lui senza Cronos, con il quale evidentemente non aveva più alcuna voglia di lavorare. Ne ha invece assieme a Tony Dolan, che si porta dietro dagli Atomkraft; a loro si aggiungono Mantas (su precisa condizione chiesta proprio da Dolan) e Al Barnes (chitarrista nei Mantas, che nel frattempo avevano fatto uscire un album nell’88 per Neat Records, “Winds Of Change”). Dolan è un grande fan dei Venom, dei primi Venom, ed il suo attaccamento alla causa dovrebbe garantire un ritorno alle origini, care tanto a Abaddon che a Mantas, col valore aggiunto di non avere l’ego di Lant tra le scatole. Music For Nations è interessata a pubblicare nuovo materiale (lo farà con la sua sotto etichetta Under One Flag). Cronos, arrogante e borioso quanto si vuole, non ha nulla da eccepire che la band prosegua col nome Venom, come del resto lui stesso ha fatto in occasione di “Calm Before The Storm”. “Prime Evil” (1989) si rivela sorprendentemente un disco ottimo, una ulteriore variazione sul tema Venom ma assolutamente apprezzabile. A fuoco, teso, preciso, chirurgico, potentissimo, a tratti rock ‘n roll, a tratti thrash, ma decisamente poco fracassone e arruffato rispetto alle prime produzioni un tanto al chilo dei Venom. Un disco senza un solo filler in scaletta, chapeau.

La nuova line-up è ben rodata e batte il ferro caldo buttando fuori subito un Ep, “…Tear Your Soul Apart”, che tutto è fuorché una mascalzonata spillasoldi. Contiene due outtakes delle session di Prime Evil (“The Ark” e “Civilised”, che avrebbero tranquillamente meritato il loro posto in scaletta accanto alle altre tracce), delle versioni live e la cover di “Hellbent” dei Judas Priest; un vinile che ogni fan dei Venom può a ragion veduta annoverare nella propria collezione. 1989, 1990… 1991, ogni anno ha la sua release e così Dunn/Bray/Dolan/Barnes mettono sul mercato “Temples Of Ice”, molto coerente con il sound di “Prime Evil”, del quale è la logica prosecuzione, anche se adesso i Venom sono a tutti gli effetti una heavy metal band, senza più idee platoniche di black metal e/o sferragliamento thrash. In scaletta la cover dei Deep Purple “Speed King” mette i puntini sulle “i” sull’approccio più classico della band, pur senza lesinare in adrenalina e vigore. I Venom di “Temples Of Ice” sono una band di qualità, solida, più edulcorata nella cattiveria, nella malignità e nella durezza (anche per via di una Produzione non esattamente top), decisamente più quadrata e per certi versi “matura”, anche se il risultato non viene accolto in maniera entusiastica da tutto il pubblico. Il logo in disfacimento, che credo voglia simulare l’effetto ghiaccio, è una spia d’allarme. L’artwork dell’album è bruttino ed anonimo, non che “Prime Evil” ne avesse uno fenomenale ma tutto sommato era dignitoso. Dall’Ep in poi i Venom sembrano proprio impegnarsi scientificamente ad avere copertine racchie e soprattutto affatto rappresentative del loro nome, della loro storia e del loro sound attuale che avrebbe meritato certo più cura ed attenzione anche sotto quest’aspetto.

L’hype che circondava una band oltraggiosa come i Venom è andato progressivamente spegnendosi tra cambi di formazione, litigi e “snaturamenti”. Il fatto che all’altezza dei primi anni ’90 la band sia in realtà molto più assennata e compatta, evidentemente meno dilaniata da scontri interni (che erano al contempo la benzina e il più grosso ostacolo dei Venom), e che partorisca un ottimo metal soprattutto per merito di Dolan (songwriter devoto, determinato e generoso) ancorché diverso da quello degli esordi, non basta a tenere alte le quotazioni del Veleno di Newcastle, la casa discografica perde interesse in modo direttamente proporzionale al pubblico pagante, i Venom scontano una scarsa e deficitaria promozione live. Dolan si convince di essere il capro(ne) espiatorio della disfatta e dello scarso riscontro dal vivo, che porta la label ad indispettirsi ed al non voler più scommettere sui Venom on stage. Barnes se ne va nel 1991, sostituito da un altro Atomkraft, Steve White. Nel 1992 esce “The Waste Lands”, abbondantemente scritto da Dolan sia per quanto riguarda musica che i testi; l’album vede pure l’apporto di un tastierista/effettista celato sotto il misterioso nome di V.X.S. Si tratta di David Young, diventato poi Hannah Mai Young e coinvolta nella scena elettronica e trance degli anni successivi con il nome di Chi-A.D.

Questo album è la sponda stilisticamente più sperimentale e distante dall’idea archetipica del sound Venom; in genere automaticamente tale caratteristica si trasforma in un segno meno (se non in un rifiuto indignato da parte dei fans) e “The Waste Lands” non fa eccezione. Rispetto al canone stabilito, l’ordine si è sostituito al caos. Commercialmente l’album scivola via nell’anonimato, esattamente come il bruttissimo logo in copertina, normalizzato senza ragione. I Venom sono oramai del tutto residuali nel panorama metal e questa presa d’atto porta White e V.X.S. a dedicarsi ad altri progetti. Ultimo in lista ad alzare bandiera bianca è Dolan, coinvolto al mille per mille sin qui e rimasto a digiuno di un’adeguata gratificazione per quanto dato a questi Venom 2.0. Le scelte manageriali di Eric Cook e del suo fraterno amico Abaddon non lo convincono più e inizia seriamente a pensare di interrompere la sua militanza nei Venom. Ci pensa Music For Nations a concretizzare il proposito, dichiarandosi definitivamente indisponibile a pubblicare altri album (in perdita) dei Venom. E’ il 1992, gli eroi neri di “Welcome To Hell” e “Black Metal” sono finiti, le fila si rompono e la band va in ordine sparso. Tuttavia, se poi si ha voglia di riprendere in mano l’album ed ascoltarlo al netto di ogni considerazione “morale” o dogmatica, in modo diciamo più “laico”, credo si possa convenire sul fatto che “The Waste Lands” sia in realtà un più che onesto ed apprezzabile lavoro heavy metal, anche piuttosto curato e sfaccettato a livello di soluzioni di songwriting. Cionondimeno, nei secoli dei secoli, gli rimarrà cucita addosso la lettera scarlatta di essere stato l’iceberg del Titanic sul quale i Venom suonavano come orchestrina.

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IV – One Thousand Days In Venom

Stasi criogenica fino al 1995 quando Cronos, esaurita la sua avventura yankee da solista, si rifa vivo con i vecchi band-mates proponendo loro un concerto celebrativo al Waldrock Festival. La tappa olandese viene bissata l’anno dopo con il Dynamo Open Air, quindi in America al Milwaukee Metalfest e poi in Grecia al Metal Invader Festival. Dal palco allo studio di registrazione è un attimo, in quattro e quattr’otto viene cotto e cucinato “Venom ’96”, un Ep che ricicla per l’ennesima volta una manciata di tracce storiche (risuonate per l’occasione) e dà un’anteprima di “The Evil One”, inedito che farà parte della scaletta del nuovo full-lenght dei ritrovati Venom in formazione originale. Nel 1997 SPV/Steamhammer pubblica “Cast In Stone”, l’album viene fatto uscire in formato doppio assieme ad un secondo disco contenente ulteriori ri-registrazioni di dieci classici dei Venom. E’ evidente il tentativo di tenere assieme i primi Venom con questi, saltando a pie’ pari il periodo Dolan. Conseguentemente la band va in tour per quasi un anno. Una volta a bocce ferme, Abaddon si ricorda nuovamente quanto possa essere dura condividere lo stesso spazio con Cronos e, spalla a spalla col manager Cook, scrive a Lant di fatto estromettendolo dalla band. Cronos da parte sua coinvolge direttamente la label, mettendola al corrente dei complotti di Bray. La SPV si incazza e stoppa ogni velleità di proseguire senza Cronos. La situazione si rovescia di 180 gradi, è Abaddon ad essere fatto fuori, sostituito addirittura dal fratello di Lant, Antony. Questa formazione registra (in Germania) “Resurrection”, altro capitolo dei Venom diversi dai Venom originali, a tutt’oggi quello più intenso e violento di sempre nella discografia degli inglesi. Siamo lontani anni luce dal sound di “Temples Of Ice” e “The Waste Lands”, pare quasi di sentire i prodromi di quelli che saranno i Celtic Frost di “Monotheist”; la scintilla di questa sterzata è Cronos che già alla vigilia di “Cast In Stone” si proponeva di aggiungere groove e modernità alla naturale propensione malevola dei Venom. Anche a livello di qualità del songwriting si registra un netto miglioramento rispetto a “Cast In Stone”, un lavoro nel quale una certa ruggine si avvertiva palesemente nell’incedere dei tre litigiosi musicisti, pur rimanendo un lavoro apprezzabile. “Resurrection” però è proprio bello, c’è poco da fare.

Mentre il suo successore è già in fase di scrittura (col titolo provvisorio di “Maleficarym”), Cronos si fa male durante un’arrampicata. Il responso medico è pesante, uno stop di addirittura due anni per recuperare completamente. Il bassista si raccomanda a Mantas di proseguire individualmente durante questo lasso di tempo, in attesa di tornare assieme nel progetto Venom. Mantas esegue alla lettera, ma ci prende talmente gusto da non voler più tornare indietro e cedendo persino ogni diritto sul nome della band a Cronos (per poi pentirsene, ovviamente). Ora è tempo di rinverdire i suoi Mantas, per giunta insieme a Tony Dolan, sconfinando apertamente in sonorità groove/death metal. Al suo completo recupero Lant riprende in mano le redini dei Venom, ha con sé suo fratello ed un futuro tutto da scrivere nel XXI° secolo per una band che ha fatto la storia di quello precedente in ambito denim and leather. Richiama Mike Hickey (che si ribattezza Mykus) e il 27 marzo 2006 pubblica “Metal Black” con Sanctuary Records, il cui titolo ed artwork non lasciano margini di incertezza sulle intenzioni. Ancora (e sempre) si sfrutta la golden age della band, il 1981 e il 1982, quando Venom era sinonimo di onnipotenza. Al netto dell’opportunismo di una scelta così ammiccante e demagogica (ma se c’era qualcuno titolato a farlo era senz’altro un membro di quei Venom), va detto che l’album è buono, pecca di totale derivazione ma a suo modo assembla materiale valido e fresco, pur nel suo essere un “copycat” del passato.

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V – Soddisfatti o rimborsati?

Cronos non si ripeterà più ai livelli di “Metal Black” ed anzi tra i 4 lavori prodotti nella decade 2008 – 2018 c’è anche qualche bruttura, come ad esempio “Hell”, forse il peggior album di sempre uscito sotto il marchio Venom. Il giochino poteva andar bene una sola volta, per un album di recupero e di (ennesimo) ritorno alle origini, protrarre lo schema per così tanto tempo non ha fatto che fiaccare quel minimo di interessante che il (sesto) rientro in pista di Venom e compagni poteva significare. Cronos si è comunque detto irremovibilmente indisponibile a recuperare la formazione originale, dando di dilettanti velleitari a Mantas ed Abaddon. I due, per tutta risposta si sono creati i loro Venom, recuperando Dolan in line-up. Come Venom Inc. nel 2017 producono “Avé” nel 2017, poi Abaddon lascia pure lì e i Venom Inc. danno un seguito al debutto con “There’s Only Black” proprio in questo 2022. Ma ci sono stati anche altri Venom cosplayer, gli ‘Mpire Of Evil, autori di due full-lenght, un Ep ed un live tra il 2011 ed il 2014, formalmente ancora attivi e nei quali si sono avvicendati Dolan, Mantas e Antony Lant (Antton). A mio parere nessuna di queste versioni venomesque ha mai raggiunto la qualità degli originali e la cosa è curiosa visto che i tre Venom, pur entrando ed uscendo dalla band come da un albergo, hanno invece prodotto quasi sempre materiale meritevole, sebbene tra alti e bassi, in contesti storici differenti e tirando come un elastico, ora di qua ora di là, la fisionomia del proprio sound; segno evidentemente che una qualche alchimia magica quel monicker doveva portarla in dote “nonostante” i suoi artefici. Come detto, da “Hell” in poi Cronos non si rivelerà affatto capace di mantenere i Venom su livelli soddisfacenti, pur continuando a girare i palchi di mezzo mondo e sfornando album a nastro, promettendo ogni volta il disco “più Venom” e cattivo di sempre.

Dunque soddisfatti o rimborsati dell’esperienza Venom? Stiamo parlando di 40 anni e a me fa una certa impressione (in positivo) che la discografia dei Venom sia perlopiù buona e molto buona, soprattutto pensando a Lant, Dunn e Bray, tre scarsoni improvvisati con più voglia di far casino che di fare musica (per non parlare della stupidità dei testi). Questo erano all’inizio, poi evidentemente ci hanno preso gusto ma l’indole un po’ cialtrona non è mai andata via del tutto, basti guardare al valzer di accoppiamenti e scoppiamenti che ha scandito tutta la loro carriera. “Welcome To Hell” e “Black Metal” sono stati un’autentica epifania per il metal dell’epoca, il vaso di Pandora che ha scoperchiato talmente tanti pentoloni e partorito talmente tanti germi di futuri sottogeneri da far entrare di diritto quei due titoli nella Storia. “At War With Satan” sfrutta ancora l’onda lunga di quell’energia ma a ben vedere ha meno frecce al proprio arco. “Possessed” paradossalmente è stato troppo sminuito da alcuni e troppo protetto da altri, ha i suoi momenti ma fotografa un gruppo in disfacimento. “Calm Before The Storm” è il frutto di un’altra band, ridimensionata ma comunque solida e presente, e coraggiosa nel prendersi qualche rischio in più. Poi arriva l’era Dolan con tre album che scontentano praticamente tutti, perché senza Cronos è difficile credere che siano i Venom, con buona pace di Mantas e Abaddon. Sono tre dischi molto buoni, “Prime Evil” è il migliore del lotto ma per quanto mi riguarda ascolto sempre volentieri anche “Temples Of Ice” e” The Waste Lands”, sorprendendomi ogni volta di quanto i Venom sarebbero potuti andare lontano ed avrebbero potuto aggiungere dell’altro al proprio ricettario, se solo avessero potuto e voluto fino in fondo, con determinazione. Dopo l’esplorazione di territori post thrash, “Cast In Stone” è un rientro nei ranghi un po’ fatto a tavolino, l’album è dignitoso ma si sente che quella convivenza è genuina ed autentica come gli ultimi anni di matrimonio tra Totti e Ilary. “Resurrection” si libera di ogni ipocrisia e rilascia tutto il potenziale dei Venom rimasti in formazione, si assume il rischio di andarsi a mescolare col groove metal tanto in voga in quel periodo e vince la scommessa. Poi tutto crolla e nuovamente il solo Cronos si rimbocca le maniche per provare a tirar fuori del buono dal monicker Venom. Ci riesce egregiamente con “Metal Black”, un disco tanto furbo quanto gagliardo, divertente, ben fatto. Tuttavia Cronos non ha canzoni nel serbatoio per reggere oltre quell’album, ma ego e bollette da pagare chiamano a gran voce e allora ecco che a “Metal Black” segue “Hell”, e poi “Fallen Angels”, e poi “From The Very Depths” e “Storm The Gates”, in una sommatoria di dischi che non solo non aggiungono più nulla alla storia dei Venom ma ne mostrano la sopraggiunta fragilità e usura, al punto tale che forse sarebbe preferibile mettere la parola fine a tanta gloria. Ma se i Venom fossero stati così lucidi, consapevoli e lungimiranti molto probabilmente non avremmo nemmeno la metà di ciò che abbiamo ricevuto da loro, anzi credo non sarebbero mai neppure esistiti.

Discografia Relativa

  • 1987 – Calm Before The Storm
  • 1989 – Prime Evil
  • 1990 – …Tear Your Soul Apart (EP)
  • 1991 – Temples Of Ice
  • 1992 – The Waste Lands
  • 1997 – Cast In Stone
  • 2000 – Resurrection
  • 2006 – Metal Black

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