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Heart: batte forte sempre

HOME IS WHERE THE HEART IS

Bellezza, talento, magnetismo, carisma, ispirazione, solidità, tenacia. Così tante caratteristiche riunite nello stesso sangue, quello di due sorelle favolose, non poteva che essere un segno del destino, l’espressione della benevolenza delle Muse, un progetto divino, un disegno che aveva il preciso scopo di rivoluzionare la musica, abbattendo generi e stereotipi, travolgendo identità e steccati. 15 album pubblicati in quasi 50 anni di carriera per oltre 35 milioni di copie vendute, la certezza di una formula unica, suffragata da riconoscimenti planetari; la voce femminile del rock più iconica di sempre, quella di Ann Wilson, accarezzata dalla chitarra di sua sorella Nancy. Un Cuore pulsante che ha attraversato l’America ed il Canada da Seattle a Vancouver, dalla California alla Florida, celebrando il rock ed il suo genio muliebre. Una retrospettiva (un po’) monstre per una band (sicuramente) monstre.

Contenuti:

1. Affari di cuore (1967- 1974)
2. Funghi velenosi (1975 – 1977)
3. Dagli Heart alle Heart (1978 – 1982)
4. Anni ’80 pt. 1 (1983 – 1986) 
5. Anni ’80 pt. 2 (1987 – 1991)
6. Battiti al minimo (1992 – 2003)
7. Stairway To Heaven (2004 – 2015)
8. Cuori nella tormenta (2016 – 2023)
9. Regine di cuori

1 – affari di cuore

Innanzitutto, gli Heart o le Heart? Vediamo un po’… il primo nucleo della band risale al 1967 quando Steve Fossen (basso) fa squadra con la chitarra di Roger Fisher, la batteria di Ray Schaefer e l’ugola di Don Wilhelm, impegnato anche con chitarra e keyboards. Si chiamano The Army, un monicker decisamente agli antipodi di Heart, cosa c’è di meno sentimentale e “accorato” di un esercito? La band si esibisce nella zona settentrionale di Seattle. Questa line-up dura poco, neanche il tempo di un assalto con la baionetta che accanto a Fossen e Fisher cambiano i partner, subentrano Gary Ziegelman al microfono, James Cirrello alla chitarra e Ron Rudge alla batteria, inoltre si aggiunge il percussionista Ken Hansen. La magia prende adesso il nome di Hocus Pocus, già più vicino agli incantesimi del cuore (l’equivalente del nostro abracadabra). Rimuginando con suo fratello Mike, Roger Fisher opta insieme alla band per il nome White Heart, mutuato dal racconto di Arthur C. Clarke Tales From The White Hart del 1957 (da noi edito da Urania e poi Mondadori come All’Insegna Del Cervo Bianco). Nel 1971 la squadra consiste in Steve Fossen, Roger Fisher, David Belzer alle keyboards e Jeff Johnson alla batteria, fino a che nel 1973 decade pure il bianco ed il cuore rimane nudo (Heart). Nel frattempo il buon Mike, oltre a fornire spunti su come chiamare una band, era fuggito in Canada, renitente alla leva per non essere paracadutato nei cieli del Vietnam. Si narra che in uno dei suoi rientri alla chetichella negli Stati Uniti per far visita alla famiglia abbia conosciuto la figlia di un maggiore dei Marines, una certa Ann Wilson, ad un concerto del fratello Roger, e che i due si siano pazzamente innamorati. Ann decide di seguirlo in Canada e così fanno sia Roger che Steve Fossen (non prima di finire gli studi universitari). Nel 1974 oltre ai suddetti fanno parte degli Heart anche Brian Johnstone (batteria), John Hannah (tastiere) e Nancy, la sorella di Ann, che per non esser da meno instaura a sua volta una liaison sentimentale con Roger Fisher.

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II – funghi velenosi

Rimarrà solo Nancy, perché gli altri due nuovi compari spariranno con la stessa velocità con cui si erano affacciati oltre confine. La band prende casa a Vancouver dove si esibisce e registra il primo demotape canadese. Howard Leese, che si occupa della produzione del tape assieme a Mike Flicker (il futuro produttore dei primi 5 album della band), diventa il nuovo chitarrista e tastierista della line-up. Intanto nel 1975 scocca finalmente l’ora del debutto discografico, “Dreamboat Annie”. Alla batteria siedono vari turnisti, “White Lightning & Wine” e “Sing Child” le registra Mike Derosier, che alla fine si prende lo sgabello tutto per sé. In pochi mesi il disco d’esordio vende 30.000 copie in patria, senza internet, senza i social e con tutta la neve del Canada ad intasare le vie di comunicazione e distribuzione. Certamente aiuta l’apertura del concerto di Rod Stewart al Forum di Montreal, una proposta arrivata appena 24 ore prima per improvvisa indisponibilità dell’opening act previsto… quando si dice essere al posto giusto nel momento giusto (anche se in realtà si tratta della costa opposta del paese). Contribuisce anche il buon successo radiofonico del singolo “Magic Man”, elemento decisivo per la scelta degli Heart come spalla a Rod Stewart, anche perché il primo, “How Deep It Goes”, non era andato altrettanto bene. L’album viene pubblicato anche negli Stati Uniti ed al buon successo di “Magic Man” si aggiunge pure quello di “Crazy On You”, un pezzo fiammeggiante. Col senno di poi saranno 9 i milioni di copie vendute di “Dreamboat Annie”.

In copertina abbiamo le sorelle Wilson ed un cuore grosso e rosso che ospita il titolo dell’album. Le ragazze sono in perfetta antitesi, bionda e mora, entrambe bellissime, con un’aria svagata, sognante, maledettamente seventies. Dato il più che discreto riscontro commerciale gli Heart cercano di rinegoziare il proprio contratto ma la Mushroom (che fondamentalmente era lo studio di registrazione dove avevano prodotto l’album) non ci sente ed anzi organizza un dispetto – più o meno consapevole – alla band. In una loro intervista su Rolling Stone fa pubblicare una foto delle Wilson simile a quella della copertina del disco (quindi con le ragazze nude fino alle spalle) con la didascalia: “Era solo la nostra prima volta!“. Il doppio senso ammiccante irrita profondamente gli Heart, inconsapevoli di questa becera trovata di marketing, e il legame con Mushroom viene definitivamente reciso. Flicker segue la band e tutti si accasano presso Portrait Records (divisione della CBS). Mushroom non la prende bene ed accampa diritti sul contratto (che in effetti era per due album). Per ripicca nel 1977 pubblica “Magazine”, un vinile contenente outtakes in studio, brani live e varie frattaglie assemblate senza l’imprimatur della band, tant’è che appone un adesivo disclaimer in copertina (“finalmente i tanto attesi nastri di Magazine“), come si trattasse di una preziosa operazione di recupero di materiale raro. La diatriba tra Heart e Mushroom si trasferisce in tribunale e l’esito finale vede gli Heart costretti a sdebitarsi con la label mediante un ulteriore disco. Entrano quindi in studio e sostanzialmente ri-registrano con tutti i crismi il materiale di “Magazine” (che vende un milione di copie in meno di un mese). Le streghe Wilson si consoleranno di lì a breve con il fallimento della Mushroom nel 1980 e con la dipartita della vicepresidente Shelley Siegel, la quale aveva orchestrato la sguaiata pubblicità sul Rolling Stone, venuta a mancare proprio pochi mesi dopo la pubblicazione del “Magazine” seconda versione.

III – dagli heart alle heart

Mentre la Mushroom organizzava la bagarre con il secondo album degli Heart, la band in realtà stava già lavorando ad un successore del debutto, ovvero “Little Queen”, pubblicato da Portrait nel 1977. Il singolo “Barracuda” ha un successo enorme e trascina con sé tanto l’album dal quale è estratto quanto “Dreamboat Annie” e “Magazine”, tutti piuttosto ravvicinati temporalmente. “Barracuda” ha una genesi precisa e fa riferimento ancora a quella brutta pagina sul Rolling Stone. In una intervista radiofonica ad Ann viene fatto intendere che la sua amante sia la sorella (una pierinesca lettura della foto delle due sorelle con la famosa didascalia ideate alla Mushroom, la quale molto probabilmente andava esattamente in cerca di quel tipo di effetto); le Wilson vanno su tutte le furie e si sfogano catarticamente scrivendo “Barracuda” nella camera d’albergo di Detroit subito dopo l’intervista. La canzone diventa il simbolo con il quale per oltre 40 anni la band è stata identificata; non che ci sia da ringraziare radio ed etichette per la miopia e la misoginia dimostrate, ma certo le Wilson si sono prese la loro rivincita con tanto di interessi. Singolo a parte, l’album è un capolavoro e rimane a tutt’oggi uno dei momenti salienti della discografia degli Heart, con quel suo sapore folk rock e grazie all’impressionante prova esecutiva da parte dei musicisti coinvolti, a cominciare ovviamente da Ann Wilson, dotata di una voce unica nel panorama rock, letteralmente unica. Ann fa squadra a sé, potrebbe reggere il peso di un intero disco solo sulle sue corde vocali, diventa persino banale costruirle uno scenario intorno sapendo di poter contare su di una personalità vocale così consistente, magnetica e totalizzante. Si dice che nel 1987 Maradona vinse praticamente da solo lo scudetto a Napoli, forse è un’esagerazione ma c’è del vero e, con i dovuti paragoni, Ann Wilson ha quel profilo lì, una fuoriclasse assoluta, dotata di un dono assegnatole dalle più alte sfere celesti tramite il quale può raggiungere qualunque risultato. Sebbene differenti timbricamente, per intensità, carisma e potenza vocale l’unico termine di paragone che mi viene realisticamente in mente è Cher, prestata come Ann a più ambiti operativi, dal rock al pop, passando per il folk, fino a lambire l’hard e, nel caso degli Heart, financo il metal. Nel 1987 esce “Dog And Butterfly” con il curioso stratagemma di suddividere il disco in due parti, quella più rockarolla (il dog side) e quella più delicata (il butterfly side), fatta prevalentemente di ballad acustiche fuorché “Mistral Wind” che chiude la scaletta. “Cook With Fire” è invece il brano incaricato di aprirla e pare in tutto e per tutto un pezzo catturato dal vivo… pur non essendolo in realtà, poiché viene registrato ai Sea-West Studios di Hollywood esattamente come il resto del disco.

Sin qui ogni album della band è già stato certificato platino, se non addirittura doppio e triplo platino (come “Little Queen” ma anche “Dog And Butterfly”). Il successo degli Heart è incontestabile e soprattutto sempre crescente… logica premessa all’esatto contrario. Il legame artistico e sentimentale tra le sorelle Wilson ed i fratelli Fisher si rompe e le redini rimangono appannaggio delle prime, Roger e Mike non fanno più parte dell’entourage della band. Il quinto album, “Bébé Le Strange”, battezza il decennio degli ’80 con un contratto con Epic. In qualche maniera è un nuovo inizio, nuova label, nuova decade, primo disco senza uno dei membri fondatori, e allora forse anche per quello le sorelle Wilson recuperano una formula che aveva portato fortuna sul debut “Dreamboat Annie”, in copertina ci sono ancora i loro faccioni in primo piano (sebbene stavolta lo scatto fotografico sia fatto in modo che nessuno possa equivocare alcunché). Più di ogni altro lavoro targato Heart, questo paga il suo debito con il rock blues, al punto tale che la title-track evoca prepotentemente “Kashmir” dei Led Zeppelin (anche troppo), sicuramente tra le maggiori influenze degli Heart. In ogni caso, pur raggiungendo “solo” il disco d’oro, “Bébé Le Strange” ottiene un più che soddisfacente riscontro commerciale che rassicura la band nonostante i piccoli cambiamenti dentro e attorno alla line-up.

A coronamento di questo invidiabile stato di forma viene pubblicato il primo greatest hits (doppio vinile) parzialmente live (sei tracce), con tre inediti e tre cover (“Unchained Melody”, celebre pezzo standard usato anche nel film carcerario Senza Catene del 1955, “Rock And Roll” dei Led Zeppelin e “I’m Down” dei Beatles), che si piazza in dodicesima posizione nelle charts americane e si prende il doppio platino. Il trionfante greatest hits arriva come cesura formale a sancire il periodo di più grande successo commerciale della band. Quando nel 1982 gli Heart si riaffacciano nel mercato discografico con “Private Audition” le statistiche di vendita e la curva di interesse verso di loro prendono una piega meno entusiasmante. Mike Flicker non è più il produttore della band, il suo ruolo sarebbe dovuto essere ricoperto da un nome molto in voga del periodo, Jimmy Iovine, il quale tuttavia non reputa l’album un grande album. Per tutta risposta le sorelle Wilson si producono da sole. La fine delle registrazioni vede un’altra destabilizzante novità, l’estinzione del sodalizio anche con Derosier e Fossen. Di fatto è qui che gli Heart diventano le Heart. “Private Audition” non raggiunge né lo status di gold né quello di platino, a lungo rimane un album introvabile della band in quanto fuori catalogo e non ristampato, e non sono pochi i suoi detrattori che lo relegano a peggior release di sempre del catalogo delle Wilson. È un po’ vero, col nome Heart è uscito di meglio e siamo d’accordo, tuttavia qualche pezzo in scaletta farebbe ugualmente molto gola a una band esordiente, a cominciare dalla fiammeggiante opener “City’s Burning”, e poi la prova di Ann rimane da brividi e nobilita anche ciò che di suo fatica a brillare.

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IV – anni ’80 pt. 1

Denny Carmassi alla batteria e Mark Andes al basso subentrano a dar manforte per le registrazioni di “Passionworks” (1983), ancora su Epic, che stavolta impone un produttore, Keith Olsen (Fleetwood Mac, Grateful Dead, Eddie Money, Emerson Lake & Palmer, REO Speedwagon, Pat Benatar, tra gli altri) ed apprezza assai il contributo di qualche songwriter esterno (input che caratterizzerà il corso delle Heart lungo tutti gli ’80). Con questo settimo lavoro si avverte l’inizio di un progressivo percorso di avvicinamento della band a sonorità più coeve, spostandosi su tonalità rock dal taglio maggiormente mainstream e meno contaminate dal folk e dal blues “vecchia maniera”. Il più che discreto singolo “How Can I Refuse?” ottiene un discreto feedback ma non basta a far esplodere l’album nelle chart, rimanendo impantanato alla 39° posizione, pur trattandosi di un lavoro complessivamente assai superiore a “Private Audition”. Nuovamente il traguardo del milione di copie viene mancato, l’album non riceve l’attestazione “gold”. Rolling Stone lo definisce una sorta di colonna sonora di un mal riuscito musical off Broadway che ha chiuso dopo appena due notti di programmazione. Più in generale l’album paga l’irrilevanza (vera o presunta) di melodie e ritornelli, e per qualcuno il protagonismo vocale di Ann Wilson anziché elevare l’album finisce con l’appesantirlo. Epic non sta a guardare alla finestra e, consapevole che la gallina non fa più uova d’oro, scarica la band, che trasloca alla Capitol.

E’ tempo di un nuovo inizio, l’ottavo studio album si chiama “Heart”, praticamente è un reset e l’artwork di copertina lo annuncia forte e chiaro. La band si mostra al completo, barocca e coloratissima, sembra la copertina di un disco degli House Of Lords di Gregg Giuffria e infatti anche a le sonorità slittamento vistosamente verso l’hair/glam metal decisamente in auge a metà degli anni ’80. Trucco e parrucco sono a livelli agonistici, Ann e Nancy potrebbero persino strappare un contratto ad una qualsiasi agenzia di modeling su piazza. In consolle di produzione siede Ron Nevison (The Who, Bad Company, Thin Lizzy, Ufo, Jefferson Starship, Survivor, etc), il quale fa un ottimo lavoro nel dare la giusta patina all’operazione glamour delle Heart, con keyboards e chitarra elettrica in grande spolvero. In America l’album diventa 5 volte platino, 6 in Canada (dove però il numero di copie necessarie per riceverlo sono minori, in proporzione naturalmente) e oro nel Regno Unito. “Heart” è una bomba, non si tratta solo di accorta strategia commerciale, la scaletta mette in fila brani importanti e la band, pur avendo perso del tutto la propria componente più intimista e ricercata, evidenzia una capacità seduttiva nei confronti dell’ascoltatore ed una grinta contagiose. Il sound si è irrobustito, si è adeguato allo zeitgeist, punta sull’impatto ma mantiene garbo ed eleganza, trademark che accompagnano da sempre la produzione Heart.

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V – anni ’80 pt. 2

Il successivo “Bad Animals” (1987) rimane sui binari inaugurati da “Heart”, la seconda metà degli ’80 per la band sarà all’insegna di questo arena rock potente e anthemico che tuttavia non abbandona mai completamente il pop né quella certa vena più intellettuale e damascata che sfugge agli altri competitor su piazza. I tre singoli dell’album sono uno migliore dell’altro, una sequenza di colpi da far invidia a Marvin Hagler e Sugar Ray Leonard, che si sfideranno nell’aprile di quell’anno per il titolo mondiale dei pesi medi WBC (vinse con vittoria non unanime ai punti Leonard). “Who Will You Run To”, “Alone” (che è una cover degli i-Ten del 1983), “There’s The Girl” sono composizioni eccellenti, l’ultima delle tre con la caratteristica di essere cantata da Nancy anziché da Ann, la quale si presta generosamente ai cori e ad abbellire di cesello alcuni passaggi della melodia vocale. Il quarto singolo estratto, “I Want You So Bad”, va un po’ peggio, attestandosi al 49° posto delle chart americane. In ogni caso, l’album riceve una nomination al Grammy (categoria “miglior performance rock di un duo o un gruppo”). Altra cover presente sul disco è l’ottima “Wait For An Answer” della Dalbello (1984). Una pioggia di platino cade sulle Heart, dagli Stati Uniti al Canada, fino al solito Regno Unito.

Dopo aver seminato ben 5 titoli lungo gli ’80, “Brigade” si incarica di aprire i ’90. Si tratta di un lavoro ancora generosamente radicato nella decade appena salutata, ne è anzi la sublimazione, la summa, il meglio delle Heart degli anni ’80 concentrato in circa 53 minuti. E’ anche il decimo album del gruppo, in qualche modo un traguardo di longevità e costanza che incornicia ed esalta il percorso artistico iniziato tre lustri addietro. A livello di numeri si rivela un vero carro armato, terzo sia nella US Billboard 200 che nella UK Albums Chart, secondo miglior album in Canada, Finlandia e Svezia (nella quale nel frattempo erano esplosi i Roxette, vagamente assimilabili alle Heart, anche se declinati in chiave squisitamente pop). Il primo singolo “All I Wanna Do Is Make Love To You” si guadagna il secondo posto nella classifica americana dei migliori (100) singoli; alla fine saranno ben 6 i brani entrati tra i primi 25 in classifica in America. Alla scrittura dei pezzi contribuiscono hit-maker del calibro di Robert John “Mutt” Lange, Sammy Hagar, Mark Spiro, John Wetton, Franne Golde (The Pussycat Dolls), Bruce Roberts (The Pointer Sisters, Donna Summer, Barbra Streisand, Whitney Houston), Albert Hammond (Celine Dion, Aretha Franklin, Diana Ross, Tina Turner, Chicago). “Brigade” è un successo clamoroso, rimbalzando da dischi d’oro a dischi di platino da Occidente a Oriente, e dando luogo ad un tour faraonico che viene giustamente fotografato dal live “Rock The House” nel 1991, contenente 14 tracce, anche se il criterio di assemblaggio della scaletta è quello di privilegiare canzoni “minori” o comunque meno note degli ultimi quattro album, anziché buttarsi a capofitto sui singoli pluripremiati e sui vecchi classici del passato (eccezion fatta per “Love Alive” e “Barracuda”, estratti da “Little Queen”). Idealmente parlando, l’operazione che compiono le Heart con album come l’omonimo del 1985 e “Brigade” non è poi troppo lontana da quella di Alice Cooper di “Trash” (’89) e “Hey Stoopid” (’91) anche se, a mio parere, le Heart ne escono molto meglio, con album magari ruffiani ma non così paraculi e superficiali come quelli di Alice.

VI – battiti al minimo

L’esibizione del 28 novembre 1990 a Worcester nel Massachusetts è l’apice del secondo grande periodo di successo delle Heart, dopo la parentesi di relativo declino ad inizio anni ’80. Prima del ritorno in studio le infaticabili sorelle Wilson si dedicano ad un divertissement acustico chiamato Lovemongers, ma poi arriva il 1993 e con esso l’undicesimo titolo di casa Heart, “Desire Walks On”, che vede un completo ricambio della sezione ritmica con Denny Fongheiser al posto di Carmassi e Fernando Saunders per Andes. “Desire Walks On” è effettivamente il primo vero lavoro che abbraccia compiutamente gli anni ’90, il poderoso e vagamente ruffiano rock di “Heart” e “Brigade” indossa abiti di classe e torna a guardare con rinnovato interesse al pop più sofisticato, anche se sempre energico ed adrenalinico. “Black On Black II” che apre l’album è un pezzo terremotante, nel quale la performance vocale si Ann è in grande evidenza, ancora insuperabile e affatto usurata dal tempo; la leonessa ruggisce a pieni polmoni e rivendica il proprio primato davanti ad un microfono. Non c’è nemmeno l’ombra in giro di qualcuno in grado di poterle tenere testa. Considerando che la band ha quasi 20 anni di attività sulle spalle ed un nutrita discografia di color oro e platino appesa alle pareti, stupisce non poco il grado di freschezza e lucidità di un album come “Desire Walks On”, una livrea di suggestioni adesso convintamente al passo con i tempi ma che tuttavia non si accoda, anzi detta la linea e risulta ingombrante per personalità. Un lavoro davvero sopraffino che ribadisce – ce ne fosse stato bisogno – quale sia il posto che spetta alle Heart, il gradino più alto del podio. L’album si attesta a livello di vendite gold, dunque registra una flessione rispetto ai dischi immediatamente precedenti, una curva fisiologica considerando le vette sulle quali si erano arrampicate le Heart e considerando anche il deciso cambio di scenario del rock anni ’90. Paradossalmente “Desire Walks On” va persino un po’ meglio fuori dagli States.

Nel 1995 Nancy chiama il time-out, desidera avere più tempo per la sua famiglia assieme a Cameron Crowe, regista che all’epoca aveva diretto Singles – L’Amore E’ Un Gioco, film molto caro al popolo grunge (e negli anni dopo firmerà Jerry Maguire e Vanilla Sky con Tom Cruise, ed altri due film che affondano le proprie radici nel mondo della musica, ossia Quasi Famosi e Pearl Jam Twenty, documentario sui primi vent’anni dell’omonima band di Seattle). Nancy intende sottoporsi a dei trattamenti per l’infertilità – in America viene sempre dichiarato tutto pubblicamente – e la routine disco/tour/disco/tour mal si concilia con il suo desiderio di maternità. A proposito del suo legame con Crowe, impossibile non citare al volo il fatto che la Wilson abbia suonato “Beautiful Girl In Car”, facente parte della colonna sonora di Fast Times At Ridgemont High del 1982 (da noi Fuori di Testa), cultissimo adolescenzial-ormonale con Phoebe Cates e Sean Penn, la cui sceneggiatura porta propria la firma del marito. Tra il ’97 ed il ’98 comunque Nancy rimane attiva in ambito Lovemongers con la pubblicazione di due album, uno dei quali come strenna natalizia. Dopo 10 anni dall’ultimo tour, nel 2002 le Heart ripartono per otto settimane, una carovana che comprende quattro bambini e le rispettive tate, oltre a tutti i musicisti (una nuova line-up che coinvolge pure il bassista degli Alice In Chains, Mike Inez), lo staff tecnico, i roadies e familiari aggiunti. Il tutto verrà poi immortalato nel dvd/bluray “Alive In Seattle”

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VII – stairway to heaven

Undici anni separano il precedente “Desire Walks On” da “Jupiters Darling”, nel quale si registra un ritorno alle origini del sound Heart. Passata la sbornia rutilante degli ’80 e rimaste in carreggiata nei non facili ’90, le Heart del nuovo millennio non hanno più nulla da dimostrare, hanno definitivamente raggiunto lo status di cult band, sono uno dei grandi nomi del rock americano e nelle loro fila hanno militato una pletora di musicisti impressionante (tra gli ultimi pure Gilby Clarke dei Guns N’ Roses, che le ha supportate nel recente tour americano, anche se per l’album viene sostituito da Craig Bartok). Adesso è come se tirassero un po’ il fato e si fermassero a gettare uno sguardo a quanto di mirabolante costruito nei loro 30 anni di carriera. Più o meno consapevolmente “Jupiters Darling” si dimostra una celebrazione delle Heart e del loro amore per la musica. Ma soprattutto si dimostra un validissimo lavoro, il numero tredici, e le “ragazze” non deludono nemmeno questa volta. Si potrebbe parlare di album della maturità ma risulterebbe un avverbio improprio perché una delle caratteristiche delle Heart è stato proprio l’immediato approccio all’insegna della maturità sin dai primissimi passi; tuttavia, assumendo la band come metro di misura di se stessa (di fatto solo le Heart possono essere paragonabili alle Heart), “Jupiters Darling” è la canonizzazione del loro standard, la forma compiuta del sound Heart, spogliato da caratterizzazioni temporali e cronologiche, una formula immanente, eterna, omnicomprensiva e… splendida. Un album nel quale la band esprime tutta la propria sapienza e profondità, un punto di riferimento per qualunque artista intenda collocare la propria musica all’interno del campo del rock (ma siamo andati ben oltre quel confine), un faro che illumina il cammino. Non a caso nei 2000 le Heart cominciano (finalmente) ad essere formalmente celebrate dai Media americani e dagli addetti ai lavori nell’ambito di varie manifestazioni, premiazioni e cornici anche televisive.

Le Wilson non corrono più a rotta di collo dal palco agli studi di registrazione e viceversa (anche perché nel frattempo succedono un bel po’ di drammi, ma lo vedremo a breve), e bisogna attendere il 2010 per avere un nuovo disco. Si tratta di “Red Velvet Car”, che sostanzialmente riprende il discorso interrotto su “Jupiters Darling”, la band è al suo meglio per classe, esperienza e maturità, e può distillare l’oro in gocce nelle sue composizioni, regalando sempre e solo il meglio al proprio pubblico. L’inesauribile vena delle Heart non finisce di sorprendere, ma allo stesso tempo è esattamente quello il livello di qualità che ci si aspetta da Ann e Nancy Wilson. A conti fatti, il rock di “Red Velvet Car” si rivela persino leggermente più robusto e tonante di “Jupiters Darling”. Nel 2011 le Heart vanno in tour da co-headliner con i Def Leppard e l’anno dopo le Wilson pubblicano la loro autobiografia, Kicking And Dreaming: A Story Of Heart, Soul, And Rock And Roll. Nel settembre del 2012 Ann e Nancy ricevono la loro personale stella nella Hollywood Walk of Fame per il contributo dato alla musica. La band festeggia un mese dopo con la pubblicazione di “Fanatic”, un album registrato avventurosamente nelle camere d’albergo nelle trasferte lungo la West Coast americana. Immagino di non risultare granché originale per chi legge, o magari affatto distaccato e obbiettivo, ma cosa posso dire…? “Fanatic” è eccellente e assieme agli altri due album pubblicati nei 2000 fotografa la band in stato di grazia, una silhouette invidiabile, per niente fiaccata dagli anni, anzi invecchiata a puntino come i migliori brand di scotch.

Il giorno dopo Natale del 2012 le sorelle si esibiscono con un’orchestra e Jason Bonham in un tributo ai Led Zeppelin che la CBS trasmette in tv, la loro versione di “Stairway To Heaven” si guadagna un’ovazione a scena aperta del pubblico ed il pianto di sir Robert Plant in persona, entrando di diritto nella leggenda. Il video su Youtube diventa virale con oltre 4 milioni di views in appena 5 giorni, idem la canzone digitalizzata sotto forma di singolo. La versione di “Stairway To Heaven” delle Heart si trasforma nella loro canzone più rappresentativa dopo “Barracuda”. Credo che quel giorno la storia abbia decretato che se si dovesse trovare una band in grado di raccogliere l’eredità dei Led Zeppelin, beh quella band avrebbe un cuore gigantesco. Il 2013 è l’anno della Rock and Roll Hall of Fame (dove la band viene introdotta nella sua formazione originale, Wilson, Leese, Derosier, Fossen e Fisher). In quella occasione Chris Cornell dei Soundgarden paga loro un accorato tributo emotivo riconoscendo alle Wilson un posto nella storia del rock americano e mondiale, come fonte di ispirazione per molti. Cinque anni dopo Ann restituirà il favore al povero Cornell, quando con Jerry Cantrell suonerà “Black Hole Sun” alla cerimonia della Rock and Roll Hall of Fame del 2018.

VIII – cuori nella tormenta

Ad oggi, l’ultimo album in studio delle Heart risulta “Beautiful Broken”, pubblicato nel 2016, la cui scaletta offre in realtà appena due inediti (“Two” e “I Jump”), a fronte di otto reinterpretazioni di brani già comparsi altrove. Le canzoni più interessanti del lotto sono le due a più alto tasso di orchestrazione, ovvero “I Jump” e “Beautiful Broken” con James Hetfield nei passi di ospite (anche se si stratta di una bonus track estratta di “Fanatic”). Durante il tour del disco il marito di Ann, Dean Wetter, viene arrestato per aver aggredito i gemelli sedicenni di Nancy in quello che sembra uno stupido screzio (la porta del suo camper lasciata aperta, una sera nella quale la band si esibisce ad Auburn, nello Stato di Washington). La sorelle terminano le date dal vivo schedulate per il 2016 ma da quel momento Ann e Nancy interrompono i rapporti e si parlano solo tramite terze persone, lo stretto necessario. Sembra dover succedere il peggio e la baruffa dura circa un anno e mezzo. Terminata ogni incombenza discografia le Heart si fermano del tutto. Lo scioglimento della band è nell’aria, come una profezia inevitabile, anche se nessuno lo dichiara apertamente. Nel frattempo nel 2017 Nancy lavora al debutto dei Roadcase Royale, gruppo nel quale è coinvolta assieme a Liv Warfield e Ryan Waters dell’entourage di Prince, Chris Joyner (già tastierista per le Heart), il bassista Dan Rothchild ed il batterista Ben Smith. Le sorelle Wilson in quanto Heart escono dalla tomba nel febbraio 2019 dichiarando ufficialmente di essersi prese “solo” una pausa. Un mese dopo tornano assieme su di un palco per la prima volta dopo il fattaccio di Auburn, in occasione di un concerto di beneficienza. I musicisti chiamati ad accompagnare le Wilson sono il frutto di un’epurazione, Ann allontana tutti coloro i quali hanno lavorato al disco dei Roadcase Royale e imbarca unicamente suoi protetti e fidati, onere che evidentemente Nancy accetta (a posteriori definirà un “incubo” quanto accaduto).

Lo scontro “sorellicida” va inquadrato in una visione più ampia, senza dimenticare il lungo travaglio che accompagna Ann Wilson sin dagli anni ’70. Pur essendo dotata di una voce meravigliosa, di un carisma innato e pur essendo una delle donne più belle ed affascinanti del mondo, Ann viene bullizzata sin da ragazzina per la sua facilità a prendere peso. Il continuo ed inevitabile paragone con la sorella, decisamente più snella e vicina allo stereotipo “Barbie”, la costringe a diete snervanti e all’assunzione di farmaci dimagranti di cui ben presto finisce con l’abusare. Quando la band torna in auge negli ’80 – la decade più feroce di sempre quanto a culto della forma fisica – Ann adotta ogni sistema per perdere peso e nei videoclip ricorre ad abiti ed angoli di ripresa che ne minimizzino il più possibile la taglia. Lo stress al riguardo diventa patologico e subentrano gli attacchi di panico. Nel 2002 si sottopone ad un intervento chirurgico di bendaggio gastrico per perdere peso. Nel 2009, a seguito di un collasso, le viene diagnosticata una malattia del fegato dovuta all’eccesso di alcol. Tolte le droghe (cocaina) ed i farmaci, l’alcol era rimasto ed anzi aveva sostituito tutto il resto. Di comune accordo con la band e la sorella, Ann accetta di andare in terapia e disintossicarsi. Come Ann stessa ha poi raccontato nell’autobiografia, è proprio dal 2009 che può dirsi finalmente libera da ogni dipendenza.

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XIX – regine di cuori

Individualmente Ann e Nancy hanno pure pubblicato dei dischi. Al netto di singoli più o meno estemporanei, tributi e collaborazioni varie, Ann ha inciso tre cover album tra il 2007 ed il 2022, Nancy l’album solista “You And Me” nel 2021, preceduto dalla partecipazione alla colonna sonora di “Elizabethtown” (film diretto dal marito) e da trascurabili lavori guitar-oriented come una collection di ninne nanne per bambini (“Baby Guitars”) o un’altra di melodie acustiche irlandesi assieme a Julie Bergman, “Undercover Guitar”. In carriera le Heart hanno venduto complessivamente oltre 35 milioni di album in giro per il pianeta e forse anche su Marte, hanno avuto 20 singoli top-forty e sette top-ten album, hanno ricevuto quattro nomination al Grammy (senza mai vincerlo… come i Queen, gli Who o i Beach Boys, per dire), hanno piazzato canzoni ed interi album nelle Billboard charts di quattro decadi tra gli anni ’70 e i 2010, cifre e statistiche da record. C’è chi, come Jake Brown nel suo libro Heart: In The Studio, le ha definite l’inizio di una rivoluzione per le donne nella musica, avendo dato la spinta propulsiva alla frantumazione di generi e barriere, ed avendo guadagnato il consenso della critica nel farlo. Per quanto mi riguarda, la creatura delle sorelle Wilson è davvero qualcosa di speciale, una band che sta per toccare il mezzo secolo di attività, che ha prodotto 15 album senza mai sporcare questa produzione con lavori scadenti o di poco conto, anche laddove l’ispirazione era visibilmente in calo, grazie ad una qualità strumentale, vocale e melodica di assoluta rarità nel panorama musicale degli ultimi 50 anni. Le Heart hanno attraversato epoche storiche e musicali, e ne sono sempre uscite da leader mai da gregarie. Oggi Ann ha 72 anni, Nancy ne ha 68 ed il loro lascito al mondo del rock rimane stupefacente, magnifico, impareggiabile. Se è vero che “la casa è dove si trova il cuore”, beh il mio è incorniciato su di una mensola sopra il camino di casa Wilson, lungo il fiume Saint Johns in Florida, dove oggi vive Ann.

Discografia Relativa

  • 1975 – Dreamboat Annie
  • 1977 – Little Queen
  • 1978 – Magazine
  • 1978 – Dog & Butterfly
  • 1980 – Bébé Le Strange
  • 1980 – Greatest Hits Live
  • 1982 – Private Audition
  • 1983 – Passionworks
  • 1985 – Heart
  • 1987 – Bad Animals
  • 1990 – Brigade
  • 1991 – Rock The House! Live
  • 1993 – Desire Walks On
  • 2003 – Alive In Seattle
  • 2004 – Jupiters Darling
  • 2010 – Red Velvet Car
  • 2012 – Fanatic
  • 2016 – Beautiful Broken

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