Adolescenza, affermazione e consacrazione della madrina del punk rock tedesco, the “godmother of punk”. Dalla Germania all’Inghilterra, dall’Europa agli Stati Uniti, dal femminismo all’animalismo, dall’Induismo all’esoterismo ufologico (con il Cristianesimo in traiettoria), un viaggio di formazione compiuto tra il 1978 ed il 1989 attraversando tutti i generi musicali concepibili. La creazione di un’icona politicamente scorretta, trasgressiva, ironica, enfatica, eccessiva in ogni cosa e tuttavia autentica come poche altre. Gli anni ’80 di Nina Hagen.
Contenuti:
1. Ad est del muro (1955 – 1976)
2. A Londra, un attimo prima che il punk esploda (1977 – 1978)
3. A disagio (1979 – 1982)
4. Glamour punk (1983 – 1985)
5. Larger than Hagen (1986 – 1989)
1 – Ad est del muro
Berlino est, classe 1955. Quanti musicisti conoscete che sono nati al di là del muro, quando ancora il muro era eretto e terrorizzava intere popolazioni? Forse basterebbe già questo a definire i confini della esuberante personalità artistica di Catharina Hagen. Il suo vissuto si è innegabilmente riversato nel suo profilo artistico, contribuendo a dar vita ad un’artista “totale”, categoria ben frequentata in terra germanica (Ute Lemper, Marlene Dietrich, Hilde Hildebrand, Claire Waldoff, etc.). Catharina, detta Nina, è a pieno titolo una “Gesamtkünstler” non solo perché la sua personalità è vulcanica, audace, iperbolica, sfrenata, pazzoide, disordinata, invasata, impossibile da incasellare, volgare e sofisticata al contempo, ma anche perché la sua ricerca espressiva, il suo talento, sono esondati in maniera “interdisciplinare” in molteplici ambiti artistici, scandagliando svariati generi musicali (pur mantenendo un’impronta sempre nettamente riconoscibile) ed allargandosi al cinema, alla televisione, all’editoria ed anche, cosa da non sottovalutare, diventando un landmark culturale, un punto di riferimento a livello sociale, politico e culturale, un’istanza di libertà, scardinamento delle regole, ribellione, capace di influenzare a vari livelli il sentire di molti giovani tedeschi ed europei degli anni ’70 e ’80 in particolar modo. L’unica altra donna contemporanea che idealmente mi viene in mente paragonabile a Nina Hagen per spessore e lascito artistico-intellettuale è Diamanda Galas, pur con tutti i distinguo del caso.
L’arte è di casa a Berlino quando Eva Maria Hagen, popolare cantante ed attrice della DDR, sposata con lo scrittore Hans Oliva, mette al mondo Catharina. Due anni e arriva il divorzio. Il nuovo compagno della madre, il cantante poeta ed attivista politico ebreo Wolf Biermann, diventa il suo patrigno sposando Eva Maria quando Nina ha 11 anni. Biermann è una figura cardine di cui tener conto per via delle sue posizioni avverse al Potere costituito (si scaglia contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia), tanto da subire pesanti censure ed addirittura la privazione della cittadinanza e l’espatrio coatto. I suoi testi poetici sono ancora oggi tra i più venduti e conosciuti della letteratura tedesca e hanno portato in dote diversi premi letterari. Quando nel ’76 Biermann viene cacciato dalla DDR, Nina lo segue (non senza essersi vista rifiutare una richiesta di ritorno in patria), dapprima ad Amburgo, nella Germania occidentale, poi a Londra, proprio mentre il fenomeno punk sta per deflagrare a piena potenza. Nina ha già pubblicato una canzone che ha incontrato un discreto successo in patria, “Du Hast Den Farbfilm Vergessen” (letteralmente “hai dimenticato di prendere il rullino a colori”), nel quale una ragazza rimprovera al fidanzato di aver scordato il rullino a colori senza il quale le foto delle vacanze non avranno lo smalto dovuto, ovvero, secondo alcuni, una satira fine ed dissimulata verso la cupa tetraggine della DDR.
II – A Londra, un attimo prima che il punk esploda
Dunque il destino di Nina sembra segnato, sarà una cantante (e molto altro, ma questo lei ancora non lo sa). A Londra arriva su invito di Juliana Grigorova che la inserisce nel cast del film The Go-Blue Girl (più tardi la Grigorova diviene la fotografa autrice delle copertine di “NunSexMonkRock”, “Fearless” e “Nina Hagen In Ekstasy”). Qui viene investita dal movimento punk, trovandolo perfettamente consonante al proprio spirito irrequieto e al proprio insopprimibile anelito di libertà. Entra in contatto con artisti come Six Pistols e Vivienne Westwood. La cosa buffa è che i punk londinesi all’epoca sono degli adolescenti, dai 14 anni in su, mentre Nina è una ventiduenne che viene rispettosamente appellata “madrina” se non addirittura “regina”. La cosa, naturalmente, le piace molto. Metabolizzato tutto il carico eversivo che il nascente movimento inglese è in grado di darle, la Hagen rientra nella RDT e fa comunella con i Lokomotive Kreuzberg (Manfred Praeker, Herwig Mitteregger, Bernhard Potschka), un ensemble di musicisti al quale si unisce poi anche Reinhold Heil, e di cui diviene la frontwoman. Spingendo al massimo possibile la carica trasgressiva, eccentrica, espressionista, sopra le righe (in poche parole, “punk”) della musica e del personaggio di Nina, i nostri pubblicano due album, “Nina Hagen Band” (’79) e “Unbehagen” (’79) che fecero lettarlmente faville, accumulando vendite incontenibili nel mercato nero dell’Est, istituendo di fatto i canoni fondativi del punk rock tedesco e della cosiddetta Neue Deutsche Welle (sorta di connubio tra il punk rock, appunto, e le sonorità new wave, rigorosamente in lingua tedesca).
E’ la CBS ad incaricarsi della pubblicazione di “Nina Hagen Band”, l’11 febbraio del 1978. Il songwriting vede coinvolta la Hagen in ogni traccia, oltre alla collaborazione con Ari Up (cantante dei The Slits) per “Pank”, e alla cover di “White Punks On Dope” dei The Tubes, ribattezzata “Tv-Glotzer” (uno dei due singoli estratti dal disco, assieme a “Auf’m Bahnoof Zoo”, il famoso zoo di Berlino di Christiane F.). Le copie ufficiali vendute nella Germania Ovest furono oltre 250.000 (come detto parecchie furono quelle, impossibili da calcolare, circolate ad est del muro). La band si avventura persino in un tour europeo e lo show del 9 dicembre del ’78 a Dortmund viene mandato in onda in tv nel programma Rockpalast dell’emittente Westdeutscher Rundfunk. “Nina Hagen Band” ha intenzione di provocare sin dall’artwork di copertina, che vede un primo piano di Nina, ritratta con dei colori falsati, un trucco accentuato sul viso (caratteristica che diventerà un po’ la sua maschera negli anni), una sigaretta (forse una canna) che le pende dalle labbra ed uno sguardo attaccabrighe. Pare una dichiarazione di guerra, ed in qualche modo lo sarà.
L’album si apre con la versione tedesca di “White Punks On Dope”, rock ‘n’ roll con inserti da tastiera “spaziale” ed una personalità immediatamente strabordante della combattiva ragazza che detiene il microfono. L’idioma tedesco imperversa lungo la scaletta, mettendo in evidenza il coraggioso guanto di sfida della band. Punk rock per destabilizzare, vitalità allo stato puro (con la componente rock assai accentuata). “Naturträne” è un pezzo che disorienta, capace di unire un cantato estremamente teatrale, ai limiti della lirica, in scia con le dive del kabarett tedesco; un’espressione di potenza e versatilità che la Hagen aveva già scritto all’età di 13 anni. “Heiß” mette in evidenza quelle influenze reggae che attraverseranno ripetutamente la discografia di Nina. La rumoristica futuribile ritorna nella stralunata “Auf’m Friedhof”, mentre “Pank” (proprio con la a) si incarica di chiudere l’album all’insegna del punk (con la u) più strafottente.
III – A disagio
Il rock ‘n’ roll c’entra molto con Nina Hagen visto anche che, come accade nella tipica tradizione rock, i rapporti all’interno della band vanno subito a meretricio. “Unbehagen” viene registrato in un modo abbastanza imbarazzante. Nina si rifiuta categoricamente di tornare in sala di incisione con i compagni, i quali, obbligati dal contratto con CBS, registrano tutta la sezione strumentale senza cantante. Successivamente la Hagen registra la sua voce in solitaria. Non a caso il disco si intitola “Unbehagen”, che oltre a giocare con il cognome di Nina, significa più prosaicamente “disagio”. Il reggae addirittura apre la scaletta con “African Reggae”, uno dei due singoli oltre a “Herrmann Hieß Er” (dedicata all’allora boyfriend, in odore di eroina, della Hagen). E’ presente nuovamente una cover, “Lucky Number” di Lene Lovich diventa “Wie Leben Immer… Noch” e suscita interesse nel mondo anglosassone. Come per “Nina Hagen Band”, pure “Unbehagen” evidenzia una certa propensione all’ironia ed al divertimento, soprattutto in alcuni passaggi del cantato. Non è mai stato ufficialmente chiarito quali siano state le ragioni che hanno portato il gruppo allo split, anche se la più ovvia pare essere stata la voglia di affermarsi come solista di Nina. Rimasti orfani, i suoi ex band-mates proseguono sotto il nome di Spliff (pubblicando quattro album tra l’80 e l’84 sempre orientati sull’elettronica, il reggae ed il punk rock).
Sull’onda dei buoni riscontri ottenuti dai primi due lavori e da “Wie Leben Immer… Noch” Nina vola negli States. Il successo però non è già tale da averla consacrata un personaggio di fama anche oltre Oceano. Qui deve quasi ripartire da zero, perlomeno a livello di grande pubblico. Si affida al management di Bennett Glotzer (già stipendiato da Frank Zappa), inizia dalle discoteche newyorkesi, nelle quali fa circolare un EP promozionale, una sorta di greatest hits personale, e fa coppia fissa con il chitarrista Ferdinand Karmelk, sodale del suo ex Hermann Brood. L’unione, anche biblica, dei due dà la vita a Cosma Shiva, la quale prende il cognome della madre (e la supera per bellezza sfolgorante). Un anno dopo è in copertina, sempre assieme alla madre, sul primo album solista di Nina Hagen, “NunSexMonkRock”, un debutto senza dubbio precoce nel mondo dello spettacolo (oggi è un’attrice e doppiatrice, ha dato la voce alla protagonista dell’edizione tedesca del cartone animato Disney Mulan e a quello di Vipera nei due Kung Fu Panda, oltre ad aver partecipato a diverse serie tv di produzione tedesca).
“NunSexMonkRock” esce sempre per CBS e dichiara l’interesse spiccato di Nina per il mondo orientale e per la filosofia induista. Tutti i pezzi sono in inglese per la prima volta, e di nuovo il singolo principale, “Smack Jack” (scritto da Karmelk, noto tossicodipendente, morirà di Aids nel’88), riguarda l’uso di droga. Ma pure la canzone “Dr. Art” è dedicata ad un altro ex boyfriend di Nina, il graffitaro Ivar “Dr. Rat” Vics, falcidiato, manco a dirlo, dall’eroina. A proposito di discoteche, Nina vi gira un video per “Smack Jack” nel quale interpreta quattro differenti personalità: Hitler, una pazza, una prostituta e la Madonna (tutto all’insegna della più estrema sobrietà….). “NunSexMonkRock” è un lavoro più vario e maturo dei precedenti (anche più spirituale e sperimentale), fisiologicamente incentrato sulla protagonista – oramai assoluta – dello studio di registrazione. Un album in cui l’effetto “band” forse si sente meno, ma che viene compensato dalle decine di sfaccettature del personaggio Nina Hagen.
iv – Glamour punk
Che “Fearless” sia un disco più ambizioso lo dimostrano vari fattori. La produzione è affidata a Giorgio Moroder, il quale lavora in team con Keith Forsey, suo batterista nonché pioniere nel campo della discomusic e dell’elettronica applicata ai dancefloor (a sua volta produttore di Billy Idol, coautore del main theme di Flashdance e delle soundtrack di Ghostbusters, Beverly Hills Cop, La Storia Infinita, The Breakfast Club). La disco è l’elemento che più influenza le sonorità di questa nuova release di Nina – la più accessibile sin qui – alla quale collaborano pure Kiedis e Flea dei R.H.C.P. (“What Is It” la scrivono loro). La opener “New York New York” è il primo singolo e riscuote un buon successo, seguito da “Zarah”, in realtà una cover di “Ich Weiss, Es Wird Einmal Ein Wunder Geschehen”, che Nina decide di intitolare alla sua perfomer originale, l’attrice e cantante svedese Zarah Leander, molto popolare in Germania negli anni del nazismo, col cui governo per altro collaborò (quanto convintamente è argomento di dibattito). Uno dei due chitarristi che suonano sull’album è Richie Zito, compositore e session man con un curriculum ingombrante che va dai White Lion ai Poison, da Art Garfunkel a Diana Ross, da Elton John a Cher, dai The Cult ai Bad English (e produttore di decine di altre band fra le quali Cheap Trick, Heart, Tyketto, Ratt, Joe Cocker). “Fearless” viene pubblicato contemporaneamente in versione inglese e tedesca (“Angstlos”), con tracklist differenti, raggiungendo il 151esimo posto nella Billboard 200. Ne scaturisce pure un tour che tocca sia gli Stati Uniti che l’Europa (ovviamente Germania inclusa). Dal vivo i cavalli di battaglia di Nina sono la religione, gli ufo (sul retro copertina dell’album un’astronave cattura Nina), la politica, le istanze sociali, i diritti animali e la vivisezione.
Pure “In Ekstase”/”In Ekstasy” (’85) viene pubblicato in doppia versione anglotedesca ed è secondo alcuni uno dei punti più alti della discografia della Hagen, quantomeno in termini di popolarità e curiosità verso l’artista. Di certo l’album attira molte attenzioni (non direttamente proporzionali al favore di tutti i critici però), merito anche delle due azzeccatissime cover, “Spirit In The Sky” (Norman Greenbaum) e “My Way” (Paul Anka, universalmente celebre per la versione di Frank Sinatra, ma storpiata dal punk già nel ’78 grazie a Sid Vicious). L’artwork è tra i più ammiccanti di tutta la carriera di Nina, anche se la sua versione della sexy vamp è pur sempre sui generis, all’insegna di un’estetica punk (qualcosa che piacerà molto qualche anno più in là ai The Cramps di “A Date With Elvis” o “Stay Sick!”).
Terzo platter solista e ultimo uscito per la Columbia, “In Ekstasy” viene inciso tra Ibiza e Parigi, e certamente risente del clima idilliaco e spensierato che alberga nelle due mete tra le più ambite per il turismo festaiolo e romantico. L’album mischia le tante influenze già bazzicate dalla Hagen sin qui, partendo naturalmente dal punk rock (in “Prima Nina In Ekstasy” si auto proclama “queen of punk rock” e “the mother of punk”) arriva il pop, una teatralità sempre ai limiti del kabarett (aggiornato agli anni ’80) ed una estrema propensione a far ballare la gente. Non manca il consueto appeal ironico e scanzonato, si veda ad esempio il forzatissimo accento russo di “Russian Reggae”. Il disco è molto vario, dinamico, un saliscendi continuo degno di un adrenalinico rollercoaster (“1985 Ekstasy Drive” è praticamente un pezzo hard rock). Tra i dischi più pirotecnici ed energetici di Nina. Il personaggio è in ascesa negli States, appare in copertina su Cosmopolitan, lancia una sua linea d’intimo a tema ufologico, fioccano le prime retrospettive sull’artista.
V – Larger than Hagen
Il disco che chiude gli anni ’80 per Nina Hagen è il suo quarto solista e marca una notevole differenza col suo pur validissimo predecessore. Esce per Mercury e porta il suo stesso nome, pratica che in genere segna uno spartiacque. “Nina Hagen” è uno dei pochi album la cui omonimia con l’artista ha un senso. Oltre ad essere, almeno per chi scrive, il miglior lavoro pubblicato in carriera, è anche un punto di maturazione marchiano rispetto alla precedente produzione. Senza perdere l’irriverenza e la trasgressione del punk, Nina offre alla propria audience il disco perfetto, una sublimazione adulta ma non seriosa, un salto di qualità ricercato a livello di sonorità ma non per questo astruso, anzi immediato e gradevole sin dal primo ascolto. L’artwork trasmette un messaggio chiaro, dagli eccessi cromatici di “In Ekstasy” ad un minimalismo sobrio ed elegante, quasi spersonalizzante. Anche la carica sensuale – da sempre innata nella Hagen– si fa qui più raffinata, suadente, culminando nel videoclip di “Hold Me”, che ancora oggi definirei uno dei più “eccitanti” della storia della videomusica (e tutto ciò senza cercare la vittoria facile con dettagli troppo espliciti).
Qui le cover mirano altissimo, se da un verso infatti abbiamo “Vegas” (Elvis), dall’altra viene scomadata addirittura l’Ave Maria di Schubert in una versione da brividi. “Only Seventeen” potrebbe tranquillamente appartenere alla scaletta di “Like A Virgin”, mentre “Life On Mars” (pezzo cantato in sanscrito, scusate se è poco) anticipa le atmosfere di “Vogue”. Scenari futuribili, lingue arcaiche, un titolo che chiama in causa David Bowie, poi però con “Dope Sucks” Nina va a scomodare le sonorità balzellanti, danzereccie ed estremamente più “easy” come fosse un ideale alter ego femminile di Kenny Loggins. “Love Heart Attack” pare l’ideale (ed impossibile) incontro tra Annie Lennox e la Ciccone. Con “Michail, Michail (Gorbachev Rap)”, prosegue l’indagine (un po’ paracula) del mondo russo da parte di Nina. Lemmy Kilmister figura come ospite vocale e basso distorto su “Where’s The Party” (figuriamoci se non ci aveva inzuppato il biscotto…), assieme a Lene Lovich. Esattamente come “In Ekstasy”, anche “Nina Hagen” è una produzione estremamente varia, ma stavolta ancora più complessa, per quanto omogenea ed equilibrata in ogni sua componente. L’art direction dell’album è affidata a Jean-Paul Gaultier.
Con “Nina Hagen” e gli anni ’80 si chiude una fase esistenziale di Nina. Sbocciata come fiore del punk, raggiunto il più alto livello espressivo e qualitativo come artista capace di fondere rock, pop, dance, reggae e quant’altro, la Hagen saluta gli anni ’90 già come un’icona di riferimento, e gioca la carta dell’hip hop e della dance per qualche album. Nomi come Wendy O. Williams, Cindy Lauper, Billy Idol, Madonna sono stati spesso accostati a lei, ma l’elenco potrebbe continuare con altri personaggi più o meno sospettabili (Sigue Sigue Sputnik, Lady Gaga, Grace Jones, etc.). Una figura innovativa, che ha letteralmente “rotto il terreno” per chi è arrivato dopo, sia da un punto di vista musicale che concettuale e culturale. Accanto alla sua musica, hanno fatto notizia i suoi infiniti azzardi, come illustrare in tv le diverse tecniche di masturbazione (stiamo parlando dell’Austria degli anni ’80), contestare il regime sovietico, coverizzare Rita Pavone (“Se Fossi Un Ragazzo” trasformata in “Wenn Ich Ein Junge Wär”, cambiando l’ultima strofa da “se fossi un ragazzo tutto sarebbe più facile” a “se fossi un ragazzo avrei più rapporti….sessuali“), sposare a 31 anni un ragazzino sedicenne (e celebrare il matrimonio autofinanziando l’EP “Punk Wedding”), professare pubblicamente di credere in civiltà aliene, di seguire l’esoterismo, le filosofie orientali e, in tempi recenti, riscoprire le proprie radici cristiane (tanto da pubblicare nel 2010 un album intitolato “Personal Jesus”), dimostrarsi aperta a qualsiasi tipo di contaminazione (compresi il blues e lo swing) e collaborazione (Apocalyptica, Oomph!, Dee Dee Ramone, Adamski). Last but not least, essere l’unico altro essere vivente sulla faccia della Terra in grado di competere con Gene Simmons per la braciola di manzo che si ritrova in bocca al posto della lingua.
Discografia Relativa
- 1978 – Nina Hagen Band
- 1979 – Unbehagen
- 1982 – NunSexMonkRock
- 1983 – Angstlos / Fearless
- 1985 – In Ekstase / In Ekstasy
- 1987 – Punk Wedding
- 1989 – Nina Hagen
2 Comments
Glezös
Bell’articolo. Sottovalutatissima dalle nostre parti, resta un caso unico. Tra le altre cose, la sua cover del brano di Rita Pavone si rifà in tutto e per tutto alla traduzione in tedesco registrata e pubblicata da Rita ai tempi.
P.S.: Sto cercando un editore interessato a pubblicare la traduzione italiana dell’ autobiografia di Nina (un libro clamoroso), pronta da tempo con la sua benedizione. Qualcuno mi aiuta?
Marco Tripodi
Ciao, grazie del commento. Mi dispiace, non saprei come aiutarti, ma sarò ben lieto di leggere l’autobiografia quando riuscirai a pubblicarla.