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Genitorturers: la band che quasi distrusse i Morbid Angel

LIVING HARDCORE RADIKULT!

Quando un circo di freak erotomani riuscì quasi a sconfiggere la più potente legione di demoni dell’inferno addestrati da sua Maestà Cthulhu in persona, anzi in polpo. Correva l’anno 2011 ma il carrozzone di Gen la furia, la erinni, la iena, solcava le lande della Florida già dal lontano 1986, mietendo vittime a colpi di frusta, punteruoli incandescenti e macchine di tortura. Nell’arco di un paio di decadi il loro Rocky Horror Picture Show si è progressivamente trasformato in uno spettacolo desadiano per borghesi glamour e depravati. L’America ha potuto finalmente guardarsi allo specchio. 

Contenuti:

1. Destructos vs. Morbid Angel (2011)
2. Il Fantasma di Sodoma (1986 – 1998)
3. Sangue nero (2002 – 2009)

1 – Destructos vs. Morbid Angel

Quando il 6 giugno 2011 i Morbid Angel pubblicarono “Illud Divinum Insanus”, l’ottavo studio album della loro storia, tutte le colpe ricaddero su David Vincent, reo di aver portato i Genitorturers dentro i Morbid Angel, di aver snaturato la band di Trey Azagthoth, di aver mortificato una delle colonne portanti del death metal (perché tali da sempre sono stati considerati i Morbid Angel, grazie ad album come “Altars Of Madness” e “Blessed Are The Sick”). Poco importava se Azagthoth era sufficientemente spostato di suo e la strada l’aveva già smarrita anche senza Vincent; il punto è che puoi anche fare dischi brutti o di riciclo ma non puoi insozzare la violenza con la malizia. E se la colpa era di Vincent, chi lo aveva traviato era stata sua moglie Gen, al secolo Jennifer Zimmerman, leader dei Genitorturers, autori di un alternative-groove-industrial metal che assomigliava sin troppo a quello che Vincent aveva cercato di fare con i Morbid Angel del 2011, una metamorfosi, una trasfigurazione, una vergogna che non poteva essere tollerata, tantomeno perdonata. Vincent era visto totalmente in balia delle ovaie della perfidissima Gen, donne forte, dominatrice, a letto e fuori, di cui evidentemente il super maschio Vincent era succube. I rapporti sadomaso e la sudditanza psicologica erano affari loro purché non uscissero dal talamo nunziale e arrivassero a compromettere la purezza e l’onore del vecchio Angelo caduto dal Paradiso. Il tenore di alcune critiche a “Illud” fu proprio questo, bacchettone e moralista, neppure Famiglia Cristiana ai tempi delle commedie sexy con Banfi e Vitali.

Da subito l’attacco di “Too Extreme!” con quell’ossessionante pattern ritmico tutto uguale, quella batteria sintetica, più simile al trapano di un cantiere edile che a delle pelli di un drumkit “analogico”, si erano rivelati decisamente troppo estremi, mai titolo fu più adeguato e sincero. Si d’accordo, altre tracce lungo la scaletta riportavano i Morbid Angel sulla retta via (“Existo Vulgoré”, “Blades For Baal”, “Nevermore”), ma come riuscire a far finta di nulla con vere e proprie provocazioni come “Destructos vs. The Earth-Attack”, “Mea Culpa” o la parossistica “Radikult”? I padri del death si erano mondanizzati, erano diventati glamour, forse si stavano addirittura divertendo con delle canzoni così grottesche ed eccentriche… come osavano? Sarebbe stato come se improvvisamente Lenny Kravitz, la quintessenza del maschio alfa, si fosse presentato sul palco in négligé rosa, ciabattine puffose e cavigliera borchiata, ed avesse iniziato a suonare un set di cover di Kate Perry e Cristina D’Avena

La rivolta del nerboruto, corrucciato e machissimo mondo metal fu abbastanza esilarante e scomposta. In alcun modo poteva essere messa in conto dell’ironia, una qualche forma di alleggerimento o di bizzarra estremizzazione, si trattava di lesa maestà, né più né meno. Il death metal come uno Stato etico, una teocrazia. Detto tra di noi, a me “Illud” piaciucchia abbastanza, non è certo il miglior album dei Morbid Angel ma lo preferisco sena dubbio alla stasi paludata in cui si era andata ad infilare la band nel decennio precedente. Personalmente poi ho il limite che a quel monicker senza Vincent manca qualcosa, non sono i Morbid Angel fino in fondo, un po’ come i Forbidden senza Russ Anderson o i Great White senza Jack Russell. Vincent se ne va all’indomani di “Domination”, nel 1995, proprio per far coppia con la delicatissima Jennifer. Discograficamente i coniugi collaborano giusto un lustro, il tempo di dare alle stampe il full-lenght “Sin City” e l’Ep “Flesh Is The Law”. Il ritorno nei Morbid Angel durerà all’incirca una decade ma produrrà di fatto un solo album, il vituperato “Illud Divinum Insanus”, che quasi distrugge la carriera dei floridiani e che molti vorrebbero non avesse mai visto la luce, non dico come “Load” e “St. Anger” ma quasi.

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II – Il fantasma di Sodoma

Che virus erano questi Genitorturers capaci di avvelenare una delle band più amate e rispettate della storia (del metal) e portarla ad un passo dall’estinzione? Che ferocia dovevano avere per combattere ad armi pari con i Morbid Angel e rischiare financo di abbatterli? Nel 2004 il magazine per adulti Hustler gli appiccica addosso l’etichetta di “band più sexy del mondo”, carica onorifica che piace molto ai Genitorturers, i quali se ne appropriano e corrono a farlo scrivere a lettere cubitali sul proprio biglietto da visita. Ma i Genitorturers esistono dal 1986, anche se il primo lavoro discografico arriva parecchi anni dopo, nel 1993. All’inizio la Zimmerman è solo una bassista e al microfono c’è una certa Marisa, molto poco “extreme” e parecchio parrucchiera di Portico di Romagna. Punk e hardcore sono l’alfa e l’omega del gruppo mentre calcano i palchi della Florida mietendo vittime sotto il segno della ribellione, dell’anarchia e della distruzione. 

Immediatamente i Genitorturers si caratterizzano per una notevole sguaiatezza, per una carica elettrostatica massiccia e per l’attenzione ad un alto tasso di spettacolarità; il loro è uno show sonoro ma anche visivo, di quelli che rimangono impressi alla prima volta. Tanta gavetta porta l’interesse di un emissario della IRS Records (di proprietà del batterista dei The Lords Of The New Church, Nick Turner), label di Gary Numan, Nuclear Assault, Mekong Delta, The Damned, Dead Kennedys, The Cramps. E con la IRS Records arriva il contratto che licenzia il debutto discografico, “120 Days Of Genitorture”, chiaro omaggio al romanzo incompiuto quasi omonimo del marchese De Sade, eccetto che per Sodoma sostituita con il nome della band. Il riscontro è ottimo, musicalmente la proposta è furiosa e destabilizzante al punto giusto; metal, groove, elettronica, industrial e hardcore mescolati in un concentrato dinamitardo che lascia il segno. Gen ha un vocione ingrossato, cattivo e minaccioso, e più che sedurti con le tette che sfoggia in copertina sembra volerti prendere a calci nel sedere. Con puntualità scientifica Vincent lascia i Morbid Angel e si unisce ai Genitorturers, i quali vanno in tour tra Stati Uniti, Europa e Giappone, un circo che mette assieme musica, violenza, sesso e BDSM. Quando i Genitorturers sono in città nessuno vuole perdersi il loro spettacolo. L’artwork di “120 Days Of Genitorture” non lascia adito a dubbi, Gen è vestita (e tatuata) come una mistress, quel frustino farà male e le sue curve burrose avranno facile gioco a lenire il dolore. Cosa potrà mai contenere un album del genere? Non cover di Kate Perry e Cristina D’Avena. Del resto titoli come “Velvet Dreams”, “Pleasure In Restraint”, “Strip The Flesh” o “Force Fed” lo lasciano intuire. Il monicker scelto dalla band non è esattamente all’insegna della poesia provenzale e dell’eleganza garbata. Il codice di comportamento comprende cazzotti in faccia, volgarità gratuite e parecchia adrenalina.

Se è vero che il BDSM, l’insistenza sul sesso e sulla provocazione, scandalizzano e relegano da subito la band nel novero dei fenomeni da baraccone piuttosto che in quello dei bravi musicisti, d’altra parte si rivelano anche un trampolino di lancio verso hype e glamour, tant’è che la tv gira subito il collo verso i Genitorturers. VH1, Fox News, Hard Copy, HBO, Playboy TV, ospitano la combriccola di Gen ben volentieri, sperando proprio che mettano in atto tutti i trucchi del mestiere e che tengano fede a quanto si racconta accada nei loro live show. Non c’è da pregarli troppo, if you want blood…you’ve got it. Tempo di consolidare il proprio status di minaccia al perbenismo dei costumi e del pentagramma, che i Genitorturers danno alle stampe un nuovo lavoro, si tratta di “Sin City”, anno 1998. Il titolo ci rassicura subito sullo stato di forma (morale) dei nostri, tuttavia le sonorità dell’album, sebbene coerenti con quelle degli esordi, si sono leggermente assestate, c’è meno furia belluina, meno aggressività, semmai si rende la miscela ancora più acida e slabbrata, ma nel complesso i 42 minuti di “Sin City” si fanno più ricevibili e intellegibili anche da parte di chi non è abituatissimo al genere. Vincent al basso si qualifica come Evil D, un nome d’arte molto Misfits. In scaletta anche una cover degli AC/DC era Bon Scott (“Squealer”). Tra White Zombie, Marilyn Manson, Ministry e Garbage, i Genitorturers catturano lo zeitgeist e cercano di stare all’avanguardia di un certo rock capace di fondere fabbrica e degenerata provincia americana.

III – Sangue nero

Altri quattro anni ed esce l’EP “Flesh Is The Law”, che mescola alcuni inediti con delle tracce live. Il sound è sempre più asfittico e sintetico ma sta traghettando i Genitorturers verso una sorta di pop rock perverso, alternativo ed edulcorato, o perlomeno sdoganato nel mainstream anche dal successo di nomi altisonanti come quello innanzitutto di Marilyn Manson, andato ben oltre il suo recinto di partenza e divenuto quasi un fenomeno culturale. Il processo di canonizzazione era iniziato a partire da “Sin City” e si compie definitivamente con “Blackheart Revolution” nel 2009. Più che di un album dei Genitorturers si dovrebbe parlare di un lavoro solista di Gen, poiché scrive tutta la musica ed i testi pur avvalendosi di alcune collaborazioni, tra le quali quella con il marito. “Blackheart Revolution” è un disco per la classifica, per le masse, per le radio e le tv, è un album di rock duro ma dal cuore oscuro, che tuttavia può piacere anche a chi non vive stabilmente sul lato buio della Luna. Jennifer è una femme fatale, una dark lady oramai più sexy che pericolosa e alcune tracce sono dei veri e propri anthem a cui di alternativo rimane ben poco (penso in particolare a “Kabangin’ All Night”, nemmeno troppo distante da “Beautiful People” del reverendo Manson, o “Cum Junkie”, che scalderebbe parecchi dancefloor). Sotto questo aspetto i Genitorturers hanno cambiato pelle, un album come “120 Days Of Genitorture” non faceva leva su delle hit ma piuttosto stabiliva un ambiente complessivo, un clima, una cornice omogenea e costante, all’interno della quale veniva calato l’ascoltatore, come un acquario popolato di pesci esotici che osservati nel loro insieme trasmettevano la congerie di suggestioni, colori e sensazioni immaginata da Gen e dai suoi soldati del sesso degenere. 

“Blackheart Revolution” sceglie la via più facile, è piacevole, divertente, ruffiano, opportunista, gode forse della miglior produzione sin qui dei Genitorturers e non ha sostanziali critiche in pancia se non quella di aver consapevolmente gettato un ponte verso il mainstream. Se prima Gen poteva essere assegnata alla schiera delle ragazzacce cattive, riottose e fuori dagli schemi come Tairrie B e Wendy O. Williams, ora è più vicina a delle sensuali sirene arrabbiate per contratto come Courtney Love e Maria Brink. “Blackheart Revolution” comunque è un bel disco che compie la definitiva istituzionalizzazione dei Genitorturers. In copertina Gen sembra dirci: “ho sacrificato il mio cuore per il successo, rendetemene merito“. In tanti hanno provato a vendere l’anima al diavolo in cambio di fama e gloria, ma anche saper scrivere un bel disco acchiapperello per il pubblico è un talento che bisogna possedere, non si fa con la bacchetta magica. Di solito si fa semmai grazie a songwriter e produttori scafati ma in questo caso molto del merito va all’autarchica Gen. Negli anni sono quasi una ventina i musicisti che si sono alternati all’interno della discografia della band, segno evidente che la Zimmerman è stata il centro di gravità permanente del progetto, al punto tale che le prime tre lettere del monicker lo hanno sempre chiaramente fatto intendere.

Tra il 1997 ed il 2004 la musica dei Genitorturers è comparsa in colonne sonore e videogiochi, né si possono dimenticare i dvd della band (oggetto oramai desueto), che completavano visivamente il sound di un ensemble che anche da un punto di vista estetico e formale aveva bisogno di spendere le proprie cartucce, di essere attenzionato, per non sprecare parte del proprio potenziale. I loro rituali, le loro messe fetish, i loro capricci in latex e acciaio sono puntualmente riportati in quei fotogrammi autocelebrativi, un po’ vanagloriosi e molto americani, capaci di mettere assieme un palo da strip bar di quart’ordine, tanta chincaglieria goth, elementi steampunk, esoterici, post apocalittici, pornografia, sguaiatezza, piercing e blasfemia; ma, alla fine della fiera, come nei tunnel dell’orrore dei luna park, quando il giro è finito la cartapesta si vede ad occhio nudo ed è ora di tornare a casa, ché domattina c’è la sveglia, ci si alza presto per andare a lavorare. L’avventura dei Genitorturers in studio di registrazione è in stand-by da circa tre lustri, tuttavia la band esiste, continua ad esibirsi dal vivo e forse non ha neppure un gran bisogno di pubblicare ulteriore materiale inedito, sopravvivendo grazie ai propri spettacoli e al chiacchiericcio maldicente che ancora continua a generare.

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Discografia Relativa

  • 1993 – 120 Days Of Genitorture
  • 1998 – Sin City
  • 2002 – Flesh Is The Law (EP)
  • 2009 – Blackheart Revolution

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