L’underground che non ce l’ha mai fatta per davvero ma non si è mai neanche arreso. Alla fine degli ’80 gli Evildead dell’irrequieto Juan Garcia erano qualcosa di più e di diverso, un oltranzismo sonoro in ambito thrash che giocava continuamente con i confini del genere lambendo territori più estremi, ma il Necronomicon si è messo loro di traverso sotto forma di problemi di formazione, di label, di mutamento degli orientamenti musicali e del contesto storico, di piani diabolici degli alieni in contatto con John Cyriis, varie ed eventuali. Garcia avrebbe potuto fare la fine di Jon Schaffer… ma per fortuna non lo abbiamo visto assaltare Capitol Hill; semmai, più modestamente, pubblicare un nuovo lavoro degli Evildead nel 2020, un po’ fuori tempo massimo ma in fondo, l’anarchia non ha età.
Contenuti:
1. Il tenente Garcia (1983 – 1988)
2. Spiagge putride (1989 – 1990)
3. Refuse/Resist…Revolt (1991 – 1998)
4. Una reunion non si nega a nessuno (1999 – 2020)
1 – il tenente garcia
Dal 1983 al 1985 Juan Garcia milita negli ottimi Abattoir, ovvero Mel Sanchez (basso), Mark Caro (chitarra), Ron Gonzales (batteria), Chris Maleki (voce) ai quali si è unito nel 1982. Siamo in California e tra quei nomi spira un’aria decisamente latina, lo stesso Garcia è di origini cubane. La chitarra ritmica di Juanito sventaglia fiera nei due demotape dell’83 (“Original Abattoir”, “Screams From The Grave”) e conseguentemente nell’esordio “Vicious Attack” (1985), ma già non farà più parte della line-up che inciderà il successivo “The Only Safe Place” (1986), sostituito da Danny Oliverio (se non sono oriundi ispanici sono italiani), visto che Garcia nel frattempo ha fatto i bagagli e si è trasferito negli Agent Steel. Qui sopraggiunge appena in tempo per lasciare la firma sul “Second Demo” della band (1984), per poi sedersi agilmente nella cabina di comando del razzo spaziale che porterà gli Agent Steel nella galassia, prima con “Skeptics Apocalypse” (1985) poi con “Unstoppable Force” (1987) – e con l’Ep “Mad Locust Rising” (1986) – sempre per Combat Records, come nel caso degli Abattoir. Forse Garcia lo ha capito, ma questa sua partecipazione già lo consegnerà alla storia del metal poiché (col senno di poi) i due album degli Agent Steel diventeranno dei pilastri inamovibili dello speed metal, nonché dell’heavy metal ottantiano tout court. Il 1986 si rivela un anno difficile per la band, Cyriis è un tipo piuttosto complicato da gestire, la Capitol si fa avanti per mettere sotto contratto gli Agent Steel ma ha inizio una serie di traversie legali e burocratiche che va per le lunghe; Capitol alla fine ritira l’offerta e la formazione si sfarina. E’ Combat a pubblicare “Unstoppable Force” ma 3/5 della band sono cambiati (alla chitarra adesso c’è James Murphy). Comunque non dura, lo scioglimento viene appuntato sul calendario all’altezza del 1988. Cyriis addossa tutta la colpa alla Combat, millantando misteriosi complotti ai danni degli Agent Steel (si… aveva già cominciato con le sue personali puntate di X-Files). Garcia è tra i separatisti ed ha nel frattempo fatto squadra nuovamente con Mel Sanchez, non gli dispiacerebbe suonare musica più pestona, iniettando lo speed degli Agent Steel con robuste dosi di thrash ed hardcore, non avendone finora avuto la possibilità né con gli Abattoir né con i Grigi di Cyriis. L’idea iniziale era quella di coltivare questo progetto come un divertimento parallelo agli Agent Steel ma, data la situazione, Garcia ha una nuova band alla quale dedicarsi al 100%.
Il primo battesimo live è al Fender’s Ballroom di Long Beach, assieme a Possessed, Dark Angel e Cryptic Slaughter. La nuova line up riunisce Sanchez e Garcia, poi Albert Gonzales (chitarra) e Rob Alaniz (batteria). In primis fu il demo “The Awakening” (1987) quindi il debutto su vinile per Steamhammer Records con l’Ep “Rise Above”, appena 10 minuti contenenti due tracce inedite (“Run Again” e “Sloe – Death”), la title-track cover dei Black Flag e “S.T. Riff”, che sta per “Suicidal Tendencies riff”, cioè quello di “Istitutionalized”, due riferimenti che tradiscono da subito le coordinate stilistiche di Garcia e compagni: hardcore e politica. Rimane curiosa la scelta del monicker Evildead, chiaramente debitore dell’omonimo film di Sam Raimi. Un’opzione che sarebbe stata coerente con una band tutta horror e schifezze gore alla Autopsy o Pungent Stench ma – al netto della passione per il cinema horror di Garcia, secondo il più classico stereotipo dell’appartenenza al metallo – gli Evildead si inseriscono nel filone del thrash di denuncia sociale alla Testament, Nuclear Assault, etc., particolarmente sensibili a tematiche come la corruzione politica, il mal governo, i disastri ambientali, le guerre, l’avidità delle mega corporation, il brain washing del clero religioso, la criminalità metropolitana, la minaccia nucleare. Quel monicker lascia pensare ad altre atmosfere, altri argomenti, che invece non troveranno granché cittadinanza nella rabbia sociale e nel senso di rivolta della band. L’artwork dell’Ep tuttavia ha una sua allure orrorifica con i teschietti che sgranocchiano le sanguinanti lettere iniziali della band e sul retro i credits enunciano le canzoni rigorosamente “(de)composed by Evildead“. “Rise Again” è un gran bel biglietto da visita, certo una scudisciata talmente fulminea che non consente di pronunciarsi in modo definitivo sul gruppo ma perlomeno fa venire l’acquolina in bocca. Lo stacco delle due tracce degli Evildead rispetto alle sonorità degli Agent Steel (ma anche degli Abattoir) è netto ed evidente, salta subito all’orecchio, qui c’è più acredine, più fiele, più veleno. Oltre alle band coverizzate, Vio-Lence, Ludichrist, D.R.I. sono riferimento abbastanza puntuali per capire in che direzione intendono muoversi Garcia e compagni d’ora in poi. Per fortuna c’è da aspettare pochissimo per ascoltare un full-lenght degli Evildead poiché nello stesso anno arriva anche quella bomba rispondente al nome di “Annihilation Of Civilization”.
II – spiagge putride
Un artwork letteralmente monumentale di Ed Repka anticipa di qualche istante la puntina sul disco. Per la verità saranno diversi i minuti che trascorrerete a studiarne i dettagli (come si faceva una volta con i vinili degli Iron Maiden e degli Helloween), scoprendo la visualizzazione grafica del concept Evildead. Repka si inventa quella che sarà la malevola (e simpatica) mascotte del gruppo, Evil Fred, l’attempato businessman americano, oramai in avanzato stato di decomposizione (fisica e morale) che su una “invidiabile” spiaggia incorniciata da centrali nucleari e strutture industriali fatiscenti sorseggia un cocktail, quasi invitandoci ad unirci al suo Club Dead. Non mancano barili di petrolio sversati sulla spiaggia, pantegane prossime alla mutazione genetica e putride ragazze in bikini. Un futuro radioso, quello che l’aristocrazia finanziaria sta apparecchiando per noi, l’annientamento della civiltà umana. Ecco, ora siete pronti, “risvegliati”, il massacro può iniziare proprio con “The Awakening”. A sorpresa il pezzo richiama in causa direttamente Raimi e la sua Casa posseduta, si parla del Libro dei Morti, il Necronomicon, sono loro i risvegliati, ma il continuo gioco di metafore tra il soprannaturale demoniaco ed l’apocalisse ecologica si intreccia che è un piacere (l’altro pezzo che devia momentaneamente dalla realtà, affidandosi ad un immaginario fanta-horror, è “Holy Trails”).
“Annihilation Of Civilization” è un lavoro violentissimo, “massiccio ed incazzato” (come direbbe qualcuno), che non concede sconti e che non sa proprio come fare a domare il proprio livore, il proprio risentimento, il senso di rivolta contro tutto e tutti, tant’è che Flores si mantiene a fatica dentro lo spazio concesso alla metrica. E’ un j’accuse schiantato ininterrottamente addosso per 39 minuti alla classe dirigente di questo pianeta, siamo al collasso, un attimo prima dell’autodistruzione, e i cantori dell’inabissamento sono gli Evildead, moderna orchestrina del Titanic che delizia le future vittime nell’imminenza dell’olocausto. Non c’è un singolo filler in scaletta ed il livello di attenzione richiesto all’ascoltatore è sempre altissimo poiché le trame sonore degli Evildead sono solo e soltanto in salita. Una frenesia sincopata equivalente a 10 termos di caffè deglutiti uno dopo l’altro (come Michael Weikath un po’ sprezzantemente ebbe a definire il primo album dei Gamma Ray del “fedifrago” Kai Hansen). Il groove fatto di metal, thrash ed hardcore è intricato e rivestito di filo spinato, le ritmiche sono sempre in equilibrio precario nonché sul punto di accelerare fino al parossismo; non esiste un traguardo da tagliare, il cavallo degli Evildead è in corsa perenne, galoppa e galoppa, può solo morire per sfiancamento. Garcia ed i suoi sodali sembrano dover sfogare in questi solchi tutte le insoddisfazioni, le vessazioni, le frustrazioni di una vita intera e con il giocattolo Evildead hanno trovato finalmente il mezzo per farlo. “Annihilation Of Civilization” riesce nell’impresa di spostare avanti di un ulteriore gradino il tasso di aggressione thrash metal, raggiungendo quantità di veemenza e turbinio abbastanza rare nel panorama coevo, nonostante il 1989 sia l’anno dei “Beneath The Remains”, “Leave Scars”, “Agent Orange”, “Extreme Aggression”, etc. Eppure, nonostante tanta furia, il sound è sempre perfettamente chiaro, cristallino ed intellegibile, faticoso certo, violentissimo indubbiamente, sanguinario anche, ma mai confuso o gratuito. C’è del metodo in tanta crudeltà, è la ragione dei giusti contro l’arroganza dei forti.
Io ne parlo come di un album imprescindibile, come in effetti per quanto mi riguarda è, ma “Annihilation Of Civilization” rimane confinato ad uno stadio più underground e gli Evildead alla seconda fila del thrash, surclassati da nomi assai più altisonanti ed attenzionati in quel periodo, nonostante il dignitoso airplay ricevuto dal videoclip di “Annihilation Of Civilization” su Headbangers Ball di MTV. Il tasso qualitativo dei pattern ritmici, l’aggravio e la scorticatura operata dalle chitarre e dalla protesta ostinata e caparbia di Flores al microfono, rendono quest’album sostanzialmente perfetto, perlomeno agli occhi (e agli orecchi) di un thrasher doc. I livelli sono parecchi e stratificati, ed il risultato finale è un assalto che non teme eguali, davvero un orgasmo di ultraviolenza che, sono certo, avrebbe entusiasmato persino un sommelier dell’angheria come Alex DeLarge. Per quanto pestano, gli Evildead sembrano sempre sul punto di deragliare, travolgendo ed abbattendo i confini del thrash metal, la loro proposta è talmente oltranzista da lasciar presupporre la tracimazione in qualche altro filone, ancora più estremo; di fatto però ciò che propongono gli Evildead è un efferato thrash metal (“thrash-core”, inteso alla maniera degli ’80s), anche se sempre al limite. Nel 1990, appena due anni dopo, la formazione è già stravolta, Phil Flores e Juan Garcia sono rimasti, i nuovi arrivi si chiamano Karlos Medina (al basso) e Dan Flores (alla chitarra), fratello di Phil. Nessun batterista affiliato, da cinque la squadra passa a quattro. Questa line-up scende nel sottosuolo e registra “The Underworld”, il successore dell’Annientamento. L’approccio agli strumenti rimane suppergiù lo stesso, anche se qualche variazione di spartito qua e là affiora, come le esalazioni gassose che dai tombini si liberano attraverso le fogne. Se ne accorge anche Evil Fred in copertina, stavolta ritratto nel suo habitat naturale, una Wall Street del marciume tutta declinata in un arancione defcon 2. Sigaro in bocca, completo gessato e sorriso sornione, legge il suo giornale, attorno a lui tanti altri ometti con la 24 ore pronti a comprare l’anima dell’umanità a colpi di dollari e stock option. I cartelli pubblicitari intimano (neanche tanto subliminalmente) ad obbedire; Carpenter nel 1988 gira Essi Vivono, praticamente il background di questo artwork.
III – refuse/resist…revolt
L’Underworld dipinto dagli Evildead è quello della manipolazione e del declino sociale, foraggiati in particolar modo dalle dipendenze (da droga, alcol, soldi, potere). Riscaldamento globale (“Global Warming”), l’inganno mediatico e tecnologico (“Branded”), la petrol-guerra in Kuwait (“Welcome To Kuwait”), l’avvento nucleare (“Process Elimination”), l’orizzonte degli Evildead non cambia anzi si incupisce, nichilista e rassegnato. La tensione va un attimo in stand-by solo con la sorprendente cover degli Scorpions “She’s A Woman/He’s A Man”, che per altro vede Mike Howe come ospite. La scaletta è ottima, anche se a mio modesto parere perde qualcosa nel finale con “Labyrinth Of The Mind” e “Reap What You Saw”, due passaggi meno incisivi degli altri. Complessivamente l’album è sempre assai violento ma meno convulso e più “ragionato”, tra i solchi circola minimamente dell’ossigeno che di tanto in tanto consente di respirare. La formula rimane granitica, il tupa-tupa sconquassa spesso e volentieri la struttura dei brani, anche se è possibile saggiare una mescola – al solito – composita e stratificata, penso a certi accenni ritmici ai limiti del funky in “The ‘Hood”, ad esempio (siamo pur sempre nel 1991), per non parlare appunto della scelta della cover. Molti preferiscono “Annihilation” e probabilmente in termini assoluti è un album effettivamente superiore a questo, tuttavia dopo aver macinato così tanti ascolti anche di “The Underworld” ho sostanzialmente ridotto il gap tra i due, equiparandoli (perlomeno per gratificazione personale). Un uno-due con i fiocchi per i pugili californiani, quasi si trattasse del primo e secondo tempo di un unico grandioso film. Un esito affatto scontato considerando anche il profondo rinnovamento della line-up (alla quale vanno annoverate anche le ospitate del suddetto Howe, di un Gene Hoglan scopertosi chitarrista nelle armonizzazioni finali di “Welcome To Kuwait” e soprattutto di Doug Clawson, il session drummer dell’album). Con “Critic/Cynic” gli Evildead si tolgono qualche sassolino dalla scarpa, stigmatizzando la categoria degli scribacchini come il sottoscritto, degli “impiegati” la cui esistenza è giustificata esclusivamente dall’esistenza degli artisti. “Process Elimination” arriva direttamente dal demo del 1987 “The Awakening”, apparentemente una traccia minore, più in sordina, che invece cresce ascolto dopo ascolto. Potenti, precisi e cattivi, gli Evildead non smettono di graffiare anche se il calderone del metal, thrash compreso, sta bollendo sul fuoco di una nuova decade appena iniziata e che ha tutta l’intenzione di stemperare i toni, assumere sguardi più languidi e nostalgici, rimirarsi l’ombelico e struggersi di malinconia.
La successiva uscita discografica della band è il “Live… From The Depths Of The Underworld” (1992), mezzora abbondante di musica on stage, qualcosa a metà strada tra un Ep ed un album vero e proprio, nonostante le otto tracce in scaletta più intro. Registrata in Europa (in Germania per la precisione) ma con alcune parentesi anche americane, la release è all’insegna dell’attitudine DIY; lo precisano i ragazzi nelle liner notes interne dove spiegano ai fans che la mancanza di una evocativa copertina di Repka (“sorry Ed“) e di un mixing “ripulito” sta proprio a significare la voglia di dare alla propria audience un prodotto autentico e genuino, qualcosa realizzato dal punto di vista stesso dei fans, musica metal verace e nient’altro. Non so perché gli Evildead fossero convinti il pubblico non apprezzasse un prodotto ben confezionato e accattivante anche esteticamente, ma evidentemente ha prevalso l’approccio “nudo e crudo”. Gli Evildead menzionano anche la battaglia (quasi persa in partenza) contro il music business e la tenacia che li spinge a continuare (oltre ovviamente al supporto della fan-base, che incitano come i calciatori fanno sotto la curva). Come segno di perseveranza la band aggiunge in scaletta la bonus track “Darkness” un inedito che andrà a far parte del loro terzo album e che il pubblico europeo ha avuto il privilegio di ascoltare in anteprima. “Darkness” è bruttina e quel discorso sul polipesco e meschino music business doveva suonare come un campanello d’allarme.
Non ci sarà nessun terzo album degli Evildead (perlomeno negli anni ’90) e se anche fosse arrivato nei negozi il livello del songwriting – se tarato su “Darkness” – sarebbe stato insoddisfacente. La band tuttavia nel ’93 è immersa nella scrittura del disco, vengono messi a verbale pezzi come “Humano”, “Immortal” “Dia de los Muertos” (che costituiscono la scaletta del demo “Terror” del 1994). La spinta propulsiva degli Evildead tuttavia si arena e il colpo di grazia dello zeitgeist, incarnato in etichette discografiche ed in un pubblico oramai quasi del tutto disinteressati al metal ed al thrashcore degli Evildead, mette la pietra tombale sul progetto. Dopo lo split, Karlos Medina e Juan Garcia ricostituiscono gli Agent Steel anche se la line-up di “The Underworld” (meno Phil Flores) si ritrova per il curioso progetto Terror (il nome non è casuale), ovvero un album intitolato “Hijos De Los Cometas” (1997) contenente canzoni in lingua spagnola (cantate da Medina), pubblicato da BMG in territorio messicano (retaggio di molti in formazione), con la partecipazione amichevole di Jon Dette alla batteria e la copertina affidata di nuovo a Repka. L’artwork spaziale pare rimandare agli Agent Steel mentre il logo è sfacciatamente simile a quello degli Evildead. Quasi un disco sotto copertura, come a dire “non ci avete voluto? Beh, siamo usciti dalla porta ma torniamo dalla finestra“. Segue un Ep nel 1998 che alterna idioma spagnolo ed inglese, ed include il remake di “Jump In The Fire” dei Metallica.
IV – una reunion non si nega a nessuno
Si spengono i riflettori sul XX secolo e con esso sugli Evildead (ed i Terror). Garcia e Medina (ma anche il batterista Rigo Amezcua che proviene dall’esperienza Terror) sono di nuovo “agenti d’acciaio” e “Omega Conspiracy” (1999), “Order Of The Illuminati” (2003) e “Alienigma” (2007) si dimostrano tre solidissime prove della band (per fortuna senza Cyriis). Non solo, Garcia è focomelico, lavora, partecipa e collabora a mille progetti; è nella super band Killing Machine per l’album “Metalmorphosis” (2008) assieme a James Rivera, David Ellefson e Jimmy DeGrasso, si esibisce live con i Détente e trova il tempo anche per un side project degli Agent Steel a nome Masters Of Metal (dal chorus di “Agents Of Steel” in “Skeptics Apocalypse”), producendo un singolo, un Ep ed un full-lenght tra il 2011 ed il 2015. Materiale speed/thrash/power metal che viene piuttosto apprezzato (in un momento storico nel quale il ritorno ad una certa ortodossia borchiata paga discretamente) pur senza essere nulla di particolarmente trascendentale. Manierismo metal poggiato sul robusto mestiere di musicisti navigati e rodati (Hendrix avrebbe detto “experienced”). Nel 2008 c’è un primo annuncio di reunion per gli Evildead. Effettivamente la band sale su qualche palco per scrostarsi di dosso la ruggine, la formazione a questa altezza comprende Rob Alaniz, Albert Gonzalez, Mel Sanchez, ovviamente Garcia e il cantante Steve Nelson (Winterthrall, Noctuary). Nel 2011 un nuovo album è in fase di scrittura e viene diffusa gratuitamente la traccia inedita “Blasphemy Divine”. Nel 2012 però la band si scoglie. Secondo tentativo, in occasione del cinquantesimo compleanno di Alaniz gli Evildead suonano dal vivo a Los Angeles nel 2016 e… indovinate? Viene promesso per l’ennesima volta un terzo album (addirittura prodotto dal decano della Metal Blade Bill Metoyer). Effettivamente nel settembre 2017 il nuovo pezzo “Word of God” viene trasmesso alla radio e successivamente la band riprende ad esibirsi live.
Il pluri annunciato “United $tate$ Of Anarchy” arriva finalmente nei negozi ad Halloween 2020, addirittura con il recupero di Phil Flores alle vocals ed il ritorno/subentro di Medina al basso al posto di Sanchez. Concretamente è il primo vero nuovo lavoro degli Evildead da “The Underworld”, suonato per 4/5 dalla band di “Annihilation Of Civilization”, 5/6 se consideriamo anche il buon Repka (e pure la label rimane la Steamhammer). “U.$.O.A.” comprende le varie “Blasphemy Divine” e “Word of God” fatte circolare anni addietro e consta di 9 tracce (10 nella versione LP e digitale) per un totale di circa 34 minuti. L’eccitazione è al massimo, non solo per i 30 anni di attesa ma perché se c’era una band che in molti (me compreso) sognavano di poter riassaporare erano proprio gli Evildead. Ma l’esperienza insegna che quando si desidera tanto e per troppo tempo qualcosa, la delusione è dietro l’angolo. Sarebbe facile incolpare l’eccesso di aspettativa, la verità è che “United $tate$ Of Anarchy” non è un grande album. Apparentemente tutto sembrava al proprio posto, logo, artwork, Evil Fred, la line-up, il titolo, Trump alla Casabianca, quale miglior cornice per permettere agli Evildead di deflagrare a pieno potenziale? Risposta: il songwriting, maldestramente lontano da quello a cavallo tra anni ’80 e ’90. La carta d’identità ingiallisce per tutti e Garcia va quasi per i 60, c’è chi è convinto che il proprio beniamino possa continuare in eterno a sfornare capolavori epocali senza mai perdere neppure un briciolo di creatività (citofonare fan-base degli Iron Maiden), ma nel 99% dei casi questo non accade nel mondo reale. Ora, il giusto compromesso sarebbe non aspettarsi niente di più e niente di meno di ciò che una band al rientro sulle scene 30 anni dopo possa avere da offrire; il problema è il lato affettivo, il desiderio comprensibile ma irrazionale di riavere indietro le stesse sensazioni ed emozioni provate così tanto tempo addietro.
Fatto sta che, cercando di inquadrare la faccenda nel modo più freddo e pragmatico possibile, “United $tate$ Of Anarchy” lascia tiepidini. Anche se di facciata ogni tessera del mosaico pare al suo posto, mancano molti dei trademark degli Evildead. La quasi totalità delle canzoni poggia su mid-tempos (e già questo stona), thrash ed hardcore (o la fusione dei due, se preferite) sono talmente edulcorati da rendere il disco un capitolo esclusivamente heavy metal, muscoloso e lussureggiante ma heavy. Manca il nervosismo, la stizza, il malanimo il risentimento che covava sotto la cenere dei dischi storici, non c’è groviglio, non c’è sofferenza, non c’è sangue. Non mi piace particolarmente la produzione e gli assoli di chitarra mi sembrano alquanto mediocri (comunque gli Evildead non hanno mai brillato per solismo chitarristico). D’accordo, nei testi la band inveisce sempre a pieni polmoni ma l’impressione generale che lascia “U.$.O.A.” è quella del pesto alla genovese senz’aglio, della birra analcolica, c’è una parvenza formale ma manca la sostanza. Cosa accade in questi casi? Che chi non conosce la band o all’epoca era ancora troppo giovane (o magari neppure nato) non avverte la distanza tra questi e quelli, e in modo sincero e naturale apprezza (o non apprezza) la musica degli Evildead 2020 per quella che è. Chi mette in fila il terzo album dopo un primo ed un secondo non può evitare il ping pong emotivo neanche volendo e – verosimilmente – sente il calo di pressione. Conseguentemente il vecchio (ed affezionato) fan della prima ora si chiederà se era proprio necessaria una reunion, visto l’esito; a voler vedere il bicchiere mezzo pieno si può almeno sperare che questo sia stato un primo passo interlocutorio, in attesa di ritrovare un migliore e più convincente stato di forma. Gli Evildead non sembrano avere il fiato del 1989 e nemmeno l’ispirazione, ma magari il prossimo Presidente degli Stati Uniti potrebbe nuovamente essere Trump e chissà, il disgusto tornerebbe ad essere tale da risvegliare la fatina del bel songwriting nelle dita di Garcia e compagni (anche se, detto tra di noi, preferirei avere gli Evildead a riposo, a badare i nipotini, ed un Presidente americano almeno accettabile).
4 Comments
Antonello
Ciao Marco, il buon Juan intanto sbarca il lunario suonando nei Body Count , ha inciso anche degli album se non sbaglio …
Marco Tripodi
Verissimo, dal 2013 come “Juan of the dead”. Grazie della precisazione.
Antonello
Ottimo articolo, come sempre, Marco. All’epoca gli Evil Dead non mi colpirono più di tanto, ricordo il video su MTV, devo approfondire … Comunque noi metallari di quella generazione, abbiamo tutti la nostra thrash metal band “minore” preferita o di culto, per me erano i Mortal Sin, australiani (ma posso citare anche Whiplash e Forbidden).
Marco Tripodi
Di thrash metal band “minori” potrei riempire il blog, Hellbastard, Dethrone, Acid Reign, Hexenhaus, Anacrusis, Zoetrope, Holy Moses, Defiance, Cyclone Temple…