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Disharmonic Orchestra – Il dogma dell’imprevedibilità

IN BILICO SU UN'ASSE POGGIATA SU UNA PALLA A RIDOSSO DI UN PRECIPIZIO

Ogni anno a Capodanno nella sala dorata del Musikverein di Vienna si tiene il tradizionale concerto della Filarmonica cittadina, uno degli avvenimenti musicali più seguiti al mondo, trasmesso dai canali televisivi di 90 paesi e con un pubblico stimato in almeno un miliardo di spettatori. Il programma si basa prevalentemente sulle musiche della famiglia Strauss (Johann padre, Johann, Josef e Eduard figli), la conclusione è affidata a tre brani “fuori programma”, due dei quali fissi: il primo è una polka veloce, il secondo è “Sul Bel Danubio Blu”, il terzo è la “Marcia di Radetzky”. Ecco, provate a immaginare se per una volta l’Orchestra Filarmonica di Vienna venisse sostituita dall’Orchestra Disharmonica di Klagenfurt….

Contenuti:

1. L’Orchestrina di paese (1987 – 1989)
2. Misure di profilassi (1990 – 1992)
3. La seduzione della mente (1993 – 1999)
4. Avanti tutta (2000 – 2016) 
5. Innamorati

1 – l’orchestrina di paese

Ad oggi, quante band austriache vi vengono in mente che hanno lasciato un segno indelebile nel firmamento borchiato? Oggettivamente i nomi non sono molti. Qualcuno magari azzarderà i Vision Of Atlantis, gli Harakiri For The Sky, gli Abigor, i Summoning, i più arditi si spingeranno fino ai Russkaja (che a dispetto del nome sono viennesi), tutte realtà che hanno un proprio seguito ed anche una piccola/grande rilevanza, ma nessuna di queste ha tracciato un solco nella storia del metal piantandoci la bandiera a strisce biancorosse. Per lungo tempo, soprattutto negli anni ’80, l’Austria era una provincia sperduta e desolata dell’impero con la acca e la emme separate da una saetta nel mezzo; oscurata dalla Germania e persino dalla Svizzera, capace di sfornare realtà enormi come i Celtic Frost o i Coroner. Sostanzialmente si può cominciare a parlare di Austria (in termini di feedback e visibilità oltre confine) con i Pungent Stench (Vienna), prima che arrivassero follie sonore e concettuali come Angizia (Vienna) e Belphegor (Salisburgo), poche band ma in grado di pettinare parecchie altre nazioni quanto a intensità ed estremismo. Ora spostiamoci a Klagenfurt, anno 1987, il chitarrista Patrick Klopf ed il batterista Martin Messner (due fans della NWOBHM conosciutisi su di un pullman, entrambi diretti ad un concerto degli Iron Maiden) fondano un’orchestrina, a loro si unisce un altro chitarrista, Harald Bezdek; nasce l’Orchestra Disarmonica. Il primo demotape (“The Unequalled Visual Response Mechanism”) è del febbraio dell’anno dopo, quattro tracce (delle quali una è strumentale) più intro in cui Klopf e Bezdek si spartiscono chitarra, basso e microfono. Nome della band e titolo del demo (“l’impareggiabile meccanismo di risposta visiva”) tradiscono immediatamente un approccio al metal alquanto peculiare, originale e diverso, più “intellettuale”, derivante anche dalla preferenza accordata dai nostri alle suggestioni voivodiane (alle quali si aggiungevano pure ripetuti ascolti di Celtic Frost, NoMeansNo, Possessed, Master, Death, Slaughter, D.R.I.). Atteggiamento speculativo e filosofico che non deve essere scambiato per contegno compassato, poiché spesso una sensibilità ed una intelligenza più spiccate celano un altrettanto pronunciato senso dell’umorismo, ed a scorrere i titoli di questo come del successivo demotape “Requiem For The Forest” (sempre dell’88) risulta evidente come i Disharmonic Orchestra al momento opportuno sapessero non prendersi granché sul serio (“Onset of Serious Problem”, “Fucking Chicken Town”, “Chilli Fart”).

Al netto di queste prime prove su nastro, è un concerto di spalla agli eroi nazionali Pungent Stench (in Germania) a mettere sotto attenzione l’Orchestra da parte della Nuclear Blast, un marchio che diventerà presto il simbolo del successo, di chi ce l’ha fatta (perlomeno ad avere una carriera nel metal in Europa). La prima release ufficiale sotto quelle insegne destinate all’alloro cromato è proprio uno split con gli Stench nel giugno dell’89, 7 tracce dei Disharmonic Orchestra e 5 di Schirenc, Wank e Perkowski, per un totale rispettivamente di 16 minuti contro 15 circa. Si narra che che le canzoni dei Disharmonic Orchestra non sarebbero state stampate su vinile con un adeguato processo di missaggio, ma tant’è… il nome circola e lo split serve a gridare “Austria über alles!” al resto del continente. La copertina versante “disarmonico” è molto insolita, evidenzia un gusto che la stacca di netto rispetto al panorama della musica estrema del periodo. Surrealismo ed astrattismo sono i leit-motiv del concept grafico, diversamente dai cadaveri, gli sbudellamenti e le varie macellazioni dei compagni d’arme del filone death/grind nel quale i Disharmonic Orchestra vengono collocati. Tempo 3 mesi ed arriva un Ep 7” tutto loro, “Successive Substitution”, 3 pezzi che anticipano quello che sarà il primo full-length ufficiale (figurando tutti e tre nella sua tracklist). Si tratta appena di 10 minuti ma, come si dice, l’acquolina sale in bocca. E finalmente eccolo… all’inaugurazione del nuovo decennio, quello che porta dritto verso il nuovo millennio, i Disharmonic Orchestra si presentano forbici in mano, pronti a tagliare il variopinto nastro di “Expositionsprophylaxe”, aprile 1990. Per dirla alla maniera dei Monty Python: e ora qualcosa di completamente diverso!

L’artwork fa immediatamente capire che il viaggio sarà sorprendente e tutto da decriptare. C’è tensione, minaccia, calma apparente in quell’immagine, che al contempo trasmette anche un senso di quiete e serenità (solitamente quella dopo la tempesta quando tutto di acquieta); una capannone industriale abbandonato e fatiscente, rischiarato dalla luce solare che entra dalle finestre e con un inspiegabile ombrello aperto al proprio interno, il dettaglio di una presenza umana che un tempo lo ha popolato. “Misura di profilassi (prevenzione) attuata dopo un’esposizione a un agente patogeno al fine di prevenire l’insorgenza di una possibile infezione dovuta ad esso“, così recita la definizione esatta di “profilassi post-esposizione” – nota anche con l’acronimo “PEP” – il titolo scelto dal trio per il proprio biglietto di presentazione. Ci stanno proteggendo dal malevolo agente patogeno o essi stessi sono l’agente patogeno che intende aggredirci? Di certo quell’ambiente industriale va ripulito con olio di gomito e grandi macchinari, quale miglior colonna sonora per la bonifica se non i Disharmonic Orchestra?

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II – Misure di profilassi

Death metal e grindcore sono la base di partenza, gli ingredienti preponderanti del piatto, ma gli chef di Klagenfurt vanno a pescare ulteriori spezie anche altrove. Gli acquirenti deathster del disco si ritrovano comunque abbastanza agilmente in “Expositionsprophylaxe”, sebbene il vero segno distintivo della band appaia essere da subito una totale, feroce imprevedibilità. Il vestito sonoro calato sulle canzoni suona indubbiamente familiare, metallo estremo ed aggressivo, ma è impossibile ad un primo ascoltato indovinare dove il songwriting andrà a parare. Una sensazione di aleatoria precarietà, come stare in equilibrio su di un’asse poggiata su una palla, il tutto a ridosso di un precipizio. La forza dei Disharmonic Orchestra è esattamente quella, un orizzonte di possibilità di 360 gradi scaraventato in faccia all’ascoltatore con la virulenza del death-grind (e molto altro). C’è della lucida follia nell’operato della band, la sfrontatezza ed il coraggio di chi è consapevole che una proposta così ostica e bizzarra può suscitare più fastidio che interesse. Tutto sommato però la scommessa è vinta dato che, pur rimanendo un nome fondamentalmente underground, i Disharmonic Orchestra si conquistano una palma di riconoscibilità in mezzo a tanti.

L’amalgama strumentale ha una sua divina perfezione, un congegno ad orologeria caotico ed anarchico ad una lettura superficiale ma in realtà rodato fino al millesimo di secondo atomico. Ascoltare i Disharmonic Orchestra è come assistere a delle anguille in sala prove. I drum patterns di Messner risultano fondamentali nel plasmare il carattere della band, ne costituiscono l’anima, l’intelaiatura, lo scheletro; un altro batterista avrebbe reso l’Orchestra qualcosa di totalmente differente (e probabilmente più ordinario). Messner suona a modo suo, quasi incurante dei compagni d’arme, costretti ad inseguirlo; sudano le proverbiali sette camicie per stare al passo, tentano di spalmare riff e accordi sopra le percussioni del cappellaio matto. E’ questa urgenza di sbilenca compresenza a generare lo stravagante ed eccentrico teatro dell’assurdo e del grottesco che è il tipico stile dei Disharmonic Orchestra. C’è la violenza belluina (ci sono esplosioni di blast beats), eppure non di rado è possibile cogliere un marcato sense of humor, l’ironia di fondo di un project che prende assai sul serio ciò che fa ma non pensa di star salvando il mondo con i suoi plettri, le sue bacchette ed i suoi amplificatori. Come spesso accade ai terzetti, in tre i Disharmonic Orchestra abbattono palazzi come una palla demolitrice, sono in grado di sferragliare più di gruppi con formazioni a 4 e a 5 elementi. La produzione esalta la distinguibilità dei singoli strumenti e trova il suo centro di gravità permanente nelle batteria di Messner, allo stesso tempo sembra mancare un po’ di quella spinta che molti album death metal coevi sono stati in grado invece di avere; ma non è affatto una resa dei suoni immonda, a suo modo crea “atmosfera” e fa il gioco della band.

Passano due anni e Klagenfurt rincara la dose, “Not To Be Undimensional Conscious” è un passo avanti e spedito nel delirio, nell’anomalia, nell’alienazione, per certi versi un enorme passo avanti per i Disharmonic Orchestra che mollano gli ormeggi di stretta pertinenza death metal e veleggiano spavaldi in mare aperto (incuranti degli accidenti che il conservatorismo borchiato gli indirizzerà d’ora in poi in misura esponenziale). L’artwork di copertina è quanto di più antitetico si possa immaginare legato all’heavy metal, infilato negli scaffali del pop o della new wave di un negozio di dischi si mimetizzerebbe perfettamente (per non parlare del retro copertina, con la band sommersa di peluches)… come non adorarlo? La band registra l’album a Stoccolma, 35 minuti di sperimentazione illuminata da dare in pasto alla propria audience (e si spera anche un gradino oltre la propria audience). Siamo già tracimati nell’avantgarde metal. Oltreoceano gli Atheist con un anno di anticipo avevano pubblicato “Unquestionable Presence”, in qualche misura “Not To Be…” può essere letto come una sorta di cassa di risonanza europea non necessariamente di quelle specifiche sonorità quanto di quel medesimo atteggiamento, di quella predisposizione, di quella prospettiva ad ampio raggio. Il groove di “Not To Be…” è clamoroso, lo era già nel precedente album, ma qui si eleva a potenza. Naturalmente il groove semanticamente inteso alla maniera della vecchia Europa – ovvero il groviglio, la stratificazione di suoni, livelli e strumenti tutti tesi come una corda di violino sempre sul punto di spezzarsi – non la “volgarizzazione” texana dei Pantera e più in generale del -core americano, che negli anni ’90 ci bombarderà senza la minima clemenza.

III – la seduzione della mente

In mezzo agli spigoli delle loro geometrie impossibili i Disharmonic Orchestra gettano improvvisi ponti melodici, per permetterci di scavallare abissi di logica e sovvertimenti spiroidali dello spaziotempo. L’armamentario tecnico-esecutivo dispiegato da Messner tiene fede al suo cognome, è come scalare il Nanga Parabat. La cosa meravigliosa della band è che quando cambia spartito non si limita a cambiare tempo, cambia proprio scena, ambientazione, panorama. Un gargantuesco circo bizzarro, e tanto più l’ascoltatore rimane stordito e stupefatto tanto più gli austriaci si appuntano medaglie al petto. Quello dei Disharmonic Orchestra è metallo che osa e spariglia senza rete di protezione, un flusso di coscienza di viti e bulloni scagliati da un macchinario sovraccarico ed impazzito. Si ha l’impressione di essere come Charlie Chaplin in Tempi Moderni ma tutto sommato la sensazione finale non è di straniamento bensì di appagamento. “Not To Be Undimensional Conscious” è innovazione pura, messa in atto con un gusto ed un’eleganza sovraumani. Death metal, grind, thrash, hardcore, avant-garde e ora anche progressive. “Perishing Passion” (tra le gemme dell’intera carriera della band) viene introdotta dal lavorio di pulegge e meccanismi, dopodiché è futurismo conclamato. Un guitar working vorticoso, un drumming letteralmente impenetrabile, la percussività del basso e delle linee vocali incredibilmente acide (ma sempre perfettamente intellegibili) sono i punti di forza di una falange armata che strangola l’ascoltatore e gli frantuma le giunture una per una. Nonostante l’approccio (minimamente) più ragionato e razionale della furia berserk di “Expositionsprophylaxe”, e nonostante l’effetto sorpresa si sia fisiologicamente attenuato, non si può certo dire che “Not To Be” sia meno intenso, è semplicemente più fuoco del suo predecessore. Livree funky e jazz imbrattano senza timore il metal dei Disharmonic Orchestra, soprattutto da un punto di vista ritmico. La bellezza “poetica” di un pezzo come “Groove” ad esempio, tanto potente quanto malinconico a tratti, ti si stampa in testa per non abbandonarti mai più dopo un solo ascolto.

Il decennio va avanti e nell’universo metal piovono sconquassi e terremoti, la vecchia guardia viene fiaccata e annichilita, le nuove leve guardano a Seattle e alle catene di montaggio, l’edonismo lascia il campo ad una dolorosa introspezione, al minimalismo intimista, e anche in ambito estremo tante realtà ripensano e riassemblano le proprie fisionomie. C’è chi resiste tetragono (e viene tacciato di dinosaurismo), chi vive o sopravvive e chi prova a cambiar pelle con alterne fortune. Sin dagli esordi i Disharmonic Orchestra non hanno mai rispettato un canone netto e prestabilito, dunque proseguono sulla propria strada, pur risentendo del contesto circostante come qualsiasi altro abitante del pianeta. Il contratto con Nuclear Blast si è chiuso e il nuovo album esce per Steamhammer (label della quale la band avrà poi di che lamentarsi, ritenendosi sfruttata e mal distribuita). “Pleasuredome” arriva nel 1994, segnando un’altra tacca sulla barra della progressione che i Disharmonic Orchestra tengono affissa in salotto. L’appartenenza al death-grind è oramai una nota biografica, il sound sembra tagliar via le sue ali più estreme, l’album si muove su territori progressivi e avantgarde; anche il cantato di Klopf, per quanto rude e scartavetrato, non è minimamente imparentato con il growl (ma in senso assoluto non lo era di fatto mai stato). L’album è perlopiù male accolto e ricevuto, gli integralisti del metal lo rifiutano, le “menti aperte” degli anni ’90 non sanno che farsene, “Pleasuredome” non ha nulla a che fare con le invenzioni dei Cynic, dei Death, dei Pestilence, non è né carne né pesce, è in tutto e per tutto Disharmonic Orchestra, troppo o troppo poco. Il coraggio non manca agli austriaci che immagino fossero ben consapevoli di reazioni di questo tipo, “Pleasuredome” è uno di quegli album che lì per lì non ha nessuna speranza di essere afferrato, ci vorrà la sedimentazione di anni, la contestualizzazione del periodo, la visione col senno di poi per comprendere che anche quella tessera si inseriva perfettamente nell’ordito di insieme, caratterizzando a suo modo gli anni ’90, risultando coerente con il percorso dei Disharmonic Orchestra e rivelandosi – per l’ennesima volta – un lavoro solido e convincente sebbene – per l’ennesima volta – diverso dai precedenti. Sicuramente il più difficile da digerire, sotto molti punti di vista.

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IV – avanti tutta

Per tutto il resto degli anni’90 non sentirete più parlare dei Disharmonic Orchestra, formalmente il combo cessa di esistere. Bisogna aspettare 8 anni, ovvero il 2002, ed un nuovo management per salutare un quarto capitolo discografico, “Ahead” (… avanti, sempre e comunque avanti), sorprendentemente di nuovo su Nuclear Blast. I contatti con la label tedesca riprendono a seguito della ristampa di “Expositionsprophylaxe”, da quella alla proposta di occuparsi di nuovo materiale il passo è (fortunatamente) breve. A livello di artwork stavolta l’Orchestra punta maggiormente sull’ironia, differentemente da “Plasuredome”, che era più in linea con le copertine di “Expositionsprophylaxe” e “Not To Be…”. Del resto il titolo, oltre al suo significato letterale, gioca anche con le teste dei musicisti ben visibili in copertina (a-head). Se prima la durata media della tracklist si assestava sui 36 minuti, ora si rasenta quasi sempre la cinquantina; i Disharmonic Orchestra sono diventati più logorroici? Un po’ si, è vero, viene forse a mancare il dono della sintesi. “Ahead” a suo modo prosegue dove “Pleasuredome” si era interrotto ma è infinitamente più scorbutico e allucinato. La prima metà di scaletta può forse trarre in inganno, a parte due introduzioni strumentali (per un totale di circa 4 minuti) e “Grit Your Teeth” e “Keep Falling Down” che hanno addirittura un ritornello (non è un unicum, era già accaduto, ad esempio con “Where Can I Park My Horse”, ma certo è merce rara con i Disharmonic Orchestra), il minutaggio pare scorrere relativamente tranquillo. Il secondo tempo dell’album fa esplodere una vena di sconclusionatezza pazzoide e provocatoria che ribalta in toto le previsioni. La strumentale “Dual Peepholes” si intinge di elettronica (elemento che in questo album i Disharmonic Orchestra sfruttano di più), “If This Is It, It Isn’t It, Is It?” (con il titolo più lungo del pezzo, appena 45 secondi) pare uscita dalle session infoiate di Napalm Death o Nuclear Assault, “Idiosyncrated” gioca con continui blackout nei quali i Disharmonic Orchestra si divertono a mascherarsi da languido gruppo indie rock, ma soprattutto anche i più attenti avranno faticato non poco a riconoscervi i tratti di “Idiosyncrasy” (originariamente contenuta in “Not To Be”), di cui è una sorta di rilettura/sconquasso. “Pain of Existence” è una scudisciata violenta che ricorda gli esordi e “Mindshaver”, oltre ad essere un pezzo dal tiro pazzesco, a metà si inventa l’impossibile, perfettamente in linea con lo spirito goliardico e “situazionista” della band. “Pleasuredome” e “Ahead” sono due lavori che il pubblico non gradisce e non accetta, sono il canto del predicatore nel deserto che si è spinto talmente in là da non trovare più nessuno alle proprie spalle quando si volta indietro. Non che i Disharmonic Orchestra avessero mai avuto folle oceaniche ad acclamarli, ma certo ora diventa tutto più difficile.

E infatti dopo il 2002 Nuclear Blast aveva un’opzione per un altro album con la band ma non se ne avvale. Come mi è capitato di leggere, con un album come “Ahead” (e prima ancora con un album come “Pleasuredome”) i Disharmonic Orchestra avevano solo da perdere, niente da guadagnare. Non meriterebbero solo per questo? L’intera loro carriera è stata una sfida, un campo minato, una specie di scommessa persa in partenza, se lo avessero fatto per gli altri avrebbero fallito, l’unica spiegazione è che innanzitutto i Disharmonic Orchestra abbiano fatto musica per i Disharmonic Orchestra. Ogni release va inquadrata dunque come una conquista, una vittoria. Sebbene trascorra un tempo inenarrabile da “Ahead”, il 2016 saluta il compiersi di un nuovo miracolo, ancora un album con quel marchio stampato sopra. Qualcuno si è commosso in quei giorni, io ad esempio. Inizialmente solo per l’avverarsi dell’evento in sé, poi anche per ciò che le casse dello stereo mi hanno regalato, “Fear Of Angst” (letteralmente “la paura della paura”) è un lavoro magnifico, insperato, fermamente “disarmonico”. Grazie al crowdfunding il trio si autoproduce l’album (in appena 500 copie fisiche e qualche vinile colorato). Per la prima volta c’è un cambiamento in formazione, Herwig Zamernik ha lasciato, ora il basso è di pertinenza di Hoimar Wotawa; non è una variazione da sottovalutare, vuoi perché non era mai accaduto in 30 anni di esistenza, vuoi perché in un trio l’avvicendamento anche di un solo membro ha un peso ancora più marcato, infine vuoi perché la sezione ritmica in una band come i Disharmonic Orchestra è dirimente. Poteva mettersi male ma, detto nel massimo rispetto di Zamernik, tutto è bene quel che finisce bene, l’Orchestra non perde mordente, potenza, fascino.

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V – innamorati

Dopo decadi di onorato servizio e milioni di band nate nel frattempo, non può non stupire quanto i Disharmonic Orchestra anche vecchiarelli (con figli e famiglie a carico, e con dei “veri” lavori a sottrarre tempo alla musica) si trovino ancora al fronte, in posizione di avanguardia, ingegnosi, creativi, visionari, davanti a parecchi. Dentro “Fear Of Angst” c’è tutta la loro essenza, aggiornata all’oggi, strappata dal futuro e consegnataci nel presente, perché ne possiamo godere e rallegrarci dello stato dell’arte di un ensemble veramente irriducibile. “Innamorato” (citazione ovviamente de Il Barbiere Di Siviglia), “Proton Radius”, “The Venus Between Us”, “Rascal In Me” sono autentiche gemme che evidenziano una forma smagliante; label intelligenti e lungimiranti dovrebbero sgomitare per mettere sotto contratto una band così viva ed attuale ma, come potete immaginare da soli, dal 2016 Klagenfurt è tornata sotto silenzio. In verità nel 2017 la band pubblica un Ep live (e nel 2021 partecipa ad uno split con una versione dal vivo di “The Love I Hate”) ma nessun nuovo album di inediti (sin qui). Non mi sorprenderei più di tanto se nomi come Primus, Tool o Meshuggah dicessero di aver fatto tesoro della musica dei Disharmonic Orchestra per cementare una propria personalità e spingersi sempre oltre. Sarà sempre troppo poco il tributo e l’omaggio pagato a questo trio di scapestrati creatori di tessuto sonoro unico ed inconfondibile anche a distanza di decenni. Tra Nuclear Blast e Metal Mind Productions il grosso del catalogo dei Disharmonic Orchestra è stato per fortuna ristampato, “Fear Of Angst” è tutt’ora reperibile direttamente presso la band; rimane “Pleasuredome”, il calimero giallo della loro produzione, ristampato nel 2017 da Dmusick unicamente su vinile (giallo opaco) in tiratura limitata. Perlomeno intanto pagategli qualche euro se non lo avevate già fatto prima.

Discografia Relativa

  • 1989 – Pungent Stench / Disharmonic Orchestra (split)
  • 1990 – Expositionsprophylaxe
  • 1992 – Not to Be Undimensional Conscious
  • 1994 – Pleasuredome
  • 2002 – Ahead
  • 2016 – Fear Of Angst

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