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DANGEROUS TOYS: UN CIRCO IRREQUIETO

QUANDO IL GIOCO SI FA DURO I CLOWN COMINCIANO A PICCHIARE

I Dangerous Toys non ce l’hanno fatta, dapprima sul finire degli anni ’80 sembravano pronti ad esplodere, le rampe di lancio erano incandescenti ma poi tutto si è sgonfiato. Colpa della band, colpa del momento storico, colpa del pubblico che non ha saputo collocarli, com’è… come non è… dal secondo album in poi (il pur pregevole “Hellacious Acres”) tutto è andato a rotoli e ad ogni nuova pubblicazione la situazione peggiorava. I clown non hanno mai accettato di morire per davvero e di fatto ancora oggi esistono e si esibiscono in qualche periferico palco dell’America di provincia uscita fuori da un film di Russ Meyer. Il mondo è in perenne attesa (?) di un quinto album pluriannunciato che non arriva mai, e intanto il circo replica sera dopo sera.

Contenuti:

1. Il circo è arrivato in città (1987 – 1989)
2. La band giusta al momento sbagliato (‘1990 – 1994)
3. Confusi, infelici e incazzati (1995 – 2019)

1 – Il Circo è arrivato in città

Immerso tra le ceneri dei Watchtower dopo il pur brillantissimo esordio del 1985 “Energetic Disassembly” su Zombo Records, infinitesimale label americana che in tutta la sua esistenza ha pubblicato solo quell’album e “Violent Termination” dei Devastation sempre nello stesso anno, Jason McMaster riceve una chiamata dal concittadino di Austin (Texas) Tim Trembley, attivo negli Onyxx; con lui ci sono Scott Dalhover alla chitarra, Mark Geary alla batteria, Mike Watson al basso e, fino a quel momento, una cantante donna. Serve un cambio alla voce e per qualche motivo a Trembley quello di McMaster sembra il profilo giusto, anche se musicalmente il suo progetto hard rock è parecchio distante dalle intricate geometrie dei Watchtower. Il sodalizio si compie e l’ufficialità arriva con il cambio di monicker che si diventa Dangerous Toys. Gli ex Onyxx non avevano un profilo tale da garantirsi un’adeguata hype, l’arrivo di McMaster alza le quotazioni della band che infatti, perlomeno inizialmente, viene praticamente considerata uno spin-off dei Watchtower. Non lo è per niente ma indubbiamente la nomea aiuta e ad appena un anno dal battesimo arriva un contratto. Si fa avanti la Columbia Records, figlioccia della Sony, decisamente un bel colpo come incipit di carriera. Intanto i Giocattoli dal vivo propongono cover dei Sex Pistols (“Pretty Vacant”) e Alice Cooper (“Cold Ethyl”), indossando magliette dei Misfits, degli Slayer e dei Venom

Procede tutto bene e a gonfie vele dunque? Macché, Tim Trembley che aveva dato il là al tutto se ne va, lasciando i compagni senza seconda chitarra, la macchina però è avviata, il motore ruggisce e il momento di andare in studio di registrazione arriva. E’ Scott Dalhover a farsi carico di incidere tutte le parti di chitarra sull’album d’esordio, la cui produzione viene affidata al britannico Max Norman che vantava nel curriculum tutta la discografia solista di Ozzy Osbourne pubblicata sin lì, “Black Tiger” degli Y&T, “Power Of The Night” dei Savatage, “Rock You To Hell” dei Grim Reaper, “Delirious Nomad” degli Armored Saint, “Licence To Kill” dei Malice, “Visual Lies” di Lizzy Borden, “Thunder In The East” e “Lightning Strikes” dei Loudness. Nel maggio del 1989 il debutto omonimo arriva nei negozi di dischi, nella foto della line-up fa capolino Danny Aaron, la nuova seconda chitarra che in realtà fa appena in tempo a metterci la faccia ma non il plettro poiché, come detto, si è già occupato di tutto Dalhover (anche se nei credits, alla maniera dei Kiss, si professa il contrario… vabbè).

“Dangerous Toys” riceve un’ottima accoglienza, raggiunge il 65° posto nella Billboard 200 e otterrà la certificazione gold (ovvero 500.000 copie vendute) qualche anno dopo, nel 1994. I due singoli scelti per pubblicizzare l’album, “Teas’n Pleas’n” e “Scared”, vanno in heavy rotation su Headbangers Ball. Ce ne sarà anche un terzo “Sport’n A Woody” che tuttavia riceverà meno lustrini. Il 1989 ed il 1990 sono occupati girando il mondo in tour di supporto ai The Cult, L.A. Guns, Stryper, Faster Pussycat, The Almighty, Bonham e Junkyard, tanto nei club minuscoli quanto nelle grandi arene del rock. I testi dell’album, frequentemente ironici, sono quasi esclusivamente appannaggio di McMaster, eccezion fatta per “Teas’n, Pleas’n” che vede il contributo dell’ex Trembley, come anche “Outlaw”, e “Ten Boots (Stompin’)” scritta dal bassista Mike Watson. “Scared” è un vero e proprio omaggio ad Alice Cooper, idolo di McMaster, il pezzo racconta della magnifica ed impagabile sensazione di essere “spaventati” da un performer d’eccezione come lo zio Alice; si tratta probabilmente del momento più alto dell’album, il cui chorus è semplicemente irresistibile, così come tutta la costruzione del pezzo che porta ad esso. Appena un gradino sotto a mio parere si colloca “Queen Of The Nile”, il cui sculettante guitar working ti tira dentro un chiassoso e vivace strip bar. Più in generale lo spirito che aleggia sull’album ha il giusto connubio di cazzeggio e professionalità, i Dangerous Toys sembrano non prendersi mai veramente sul serio eppure allo stesso tempo l’album lo è dannatamente, inteso come prodotto commerciale. Pecca forse di eccessiva linearità ed immediatezza disadorna, soprattutto pensando alla provenienza di McMaster, ma non avrebbe avuto granché senso per il cantante texano replicare quanto già in essere con la sua band precedente, più che evidente che i Dangerous Toys siano per lui un diversivo, una catarsi all’insegna del divertimento e della spensieratezza. Appena 39 minuti nei quali tutto si compie. In molti ne hanno sottolineato la (presunta) contiguità con i Guns ‘N Roses ma in tutta onestà il paragone tra le due band mi è sempre sembrato abbastanza forzato.

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II – La band giusta nel momento sbagliato

I Giocattoli elaborano anche una propria mascotte, un clown assassino dinoccolato ed inquietante, dall’aria psicotica e decisamente poco rassicurante (non credo sia un caso che il celebre “It” di Stephen King fosse approdato nelle librerie americane proprio una manciata di anni prima, nel 1986). William, questo il suo nome, compare anche sulla copertina del secondo album, “Hellacious Acres”, pubblicato nel giugno del 1991. Prima però i Dangerous Toys partecipano alla colonna sonora di Shocker di Wes Craven con il brano “Demon Bell (The Ballad of Horace Pinker)”. Stavolta la produzione è affidata a Roy Thomas Baker, professionista di grandissima esperienza (nel suo studio tra gli altri sono passati i Free, i Nazareth, i Queen, gli Hawkwind, i Journey, Alice Cooper, i Cheap Trick, i Motley Crue); in teoria un salto di qualità, eppure il suono di “Hellacious Acres” non è di grande spessore, i Dangerous Toys perdono qualcosa in profondità e questo a mio parere ha sempre un po’ penalizzato l’album. “Sticks And Stones” e “Line ‘Em Up”, i due nuovi singoli, approdano come di consueto su Headbangers Ball. Il battage pubblicitario stavolta non riceve lo stesso feedback, sia i singoli che l’album sono meno apprezzati del predecessore e l’accoglienza di “Hellacious Acres” si rivela assai più tiepida, ridimensionando da subito in modo anche un po’ imprevisto i Dangerous Toys. E’ pur sempre il 1991 e il filone hard rock è già in guerra conclamata con il nascente movimento rock alternativo e intimista (in altre parole: grunge). Il miglior piazzamento nella Billboard è un onorevole 67° posto, apparentemente non una debacle rispetto al più fortunato “Dangerous Toys”, che tuttavia era rimasto 36 settimane in classifica conto le 9 di “Hellacious Acres”. 

La band riesce ad andare in tour con Judas Priest, Alice Cooper, Motörhead e Metal Church, anche se non riesce ad evitare di essere scaricata dalla Columbia. Nel tempo il disco si è fatto la nomea di un mezzo passo falso da parte del gruppo, sebbene in tutta onestà io non riesca a sposare del tutto questo convincimento. A mio parere “Hellacious Acres” è un degno e coerente successore del debutto, forse meno fresco e sorprendente ma non così inferiore qualitativamente sia a livello di songwriting che di prestazione dei musicisti, pur con qualche concessione di troppo agli AC/DC (piuttosto evidenti ad esempio in “Sugar, Leather & The Nail”, “Sticks & Stones” e “Angel N U”). I Toys si aprono ad una maggior collaborazione nel concepimento delle canzoni, con l’apporto di songwriters acclamati come Jack Ponti e Vic Pepe (in “Gypsy”) e con la rendering del classico dei Bad Company, “Feel Like Makin’ Love”, che McMaster e compagni onorano a dovere, aumentandone il tono muscolare. A mio gusto segnalo la opener “Gunfighter”, “Best Of Friends”, “Line ‘Em Up” e “Bad Guy” come le tracce migliori in scaletta.

Danny Aaron, accorso a suo tempo a sostituire il dimissionario Trembley, lascia a sua volta all’indomani di “Hellacious Acres”. Viene temporaneamente sostituito da Kevin Fowler (futura stellina del country rock), il quale non fa in tempo a suonare su nessun album in studio ma supporta la band per circa 200 date live fino al 1993. Nel 1994 Paul Lidel dei Dirty Looks approda alla corte dei Giocattoli, è l’anno del terzo capitolo discografico il cui titolo è già un manifesto di intenti: “Pissed”. I Dangerous Toys sono incazzati neri, le cose non sono andate come previsto, la Columbia li ha scaricati e anche il pubblico è decisamente scemato. Ora è la DOS Records ad occuparsi della stampa dell’album, il producer è Billy Sherwood, talentuoso multistrumentista (che a partire dal 1997 inciderà anche con gli Yes e varie altre realtà prog). La produzione non è un aspetto secondario di questo disco perché si pone come estremamente ruvida e cattiva, rispecchiando il tono generale del songwriting, anche i testi sono meno scanzonati di prima. 

“Pissed” sembra più un rimprovero da parte dei Dangerous Toys che un invito al divertimento sbarazzino e disinvolto. Le rotondità vagamente hair/glam metal dei precedenti lavori vengono accantonate in favore di un approccio più pesante e diretto, non esattamente un dito medio rivolto alla propria audiuence ma qualcosa di alquanto prossimo a quell’immagine. William è sempre in copertina, pure lui decisamente arrabbiato, il disco si apre con la title-track, un ottimo brano, probabilmente il migliore del lotto, per poi proseguire su livelli gradevoli anche se non epocali. Per qualcuno è addirittura il miglior album dei Dangerous Toys, quello della “maturità”, ammesso e non concesso che la maturità sia smettere di fare i cazzoni (ma per le band cotonate è sempre stato così, basti pensare ai Poison di “Native Tongue” o ai Motley Crue del disco omonimo con John Corabi). C’è più attitudine che profondità nei solchi di “Pissed”, tuttavia l’album non inverte la rotta, mantenendo la curva commerciale e popolare dei Dangerous Toys in forte calo, percepiti come un’espressione del vecchio mondo, l’ultimo scampolo di quell’hard rock scanzonato ed effimero che oramai è marchiato come “vecchio” e fuori tempo massimo, sebbene in realtà la postura stradaiola della band non avesse mai concesso troppo alla galassia dei truccatissimi protagonisti dei boulevard californiani.

III – Confusi, infelici e incazzati

Ai Toys capita di nuovo che in concomitanza con la registrazione di un album perdano un pezzo, stavolta è il turno di Mike Watson, rimpiazzato al basso dopo le registrazioni da Michael Hannon dei Salty Dog. Hannon ripercorre le gesta di Fowler, suona centinaia di shows ma non mette piede in studio di registrazione. Il quartetto decide di rimanere tale (McMaster si fa carico delle linee di basso) e prende in considerazione anche l’evenienza di cambiare nome ma, per quanto i Dangerous Toys non siano sulla cresta dell’onda all’altezza del 1994, quel poco che un monicker con tre album all’attivo può garantire va salvaguardato, e allora si inventano uno strano accrocchio. Il quarto album, che esce per DMZ Records, avrà come titolo “The R*tist 4*merly Known As Dangerous Toys”, con l’evidente intento di scimmiottare Prince. Una scelta forse non brillantissima a livello di marketing poiché quel titolo è lungo, ostico ed astruso, è riconoscibile praticamente solo per il mercato americano o comunque strettamente anglosassone, e genera qualche confusione su dove stiano andando a parare i Dangerous Toys, tanto più che siamo nel 1995 e il mondo del rock è letteralmente collassato. 

Dangerous Toys n. 4 si rivela l’album che vende meno nella decade scarsa di vita della band, i fan o anche solo i curiosi non apprezzano granché l’umorismo nichilista e livoroso dei loro beniamini. La copertina – biglietto da visita di un disco – è orrenda e va nella stessa direzione del titolo, William il clown è irriconoscibile (o anche fin troppo riconoscibile, date un’occhiata a “Lovesexy” di Prince del 1988) e l’atmosfera di fondo è assai lontana dagli altri artwork dei giocattolai. Non va meglio ascoltando le 13 tracce in scaletta. Parentesi di rock metal modernista come “Share The Kill”, “Take Me Swiftly”, “Words On The Wall”, (con tanto di voce effettata di McMaster), foriere di tutte quelle novità che stanno arrivando col coltello in bocca a contaminare il genere, si alternano a passaggi all’insegna di eco ed influenze di stampo grunge/alternative, tra Nirvana, Soundgarden, Alice In Chains, Jane’s Addiction e Smashing Pumpkins. “Transmission” è un tributo neanche troppo velato al David Bowie di “Space Oddity” e si congeda con un forte retrogusto beatlesiano. Figurarsi gli ascoltatori ai quali erano piaciuti i Dangerous Toys per via delle movenze sleaze di “Queen Of The Nile” o dell’ode ad Alice Cooper di “Scared”. La band è oramai transitata dall’hard rock all’alternative “guastato” da improvvise accelerazioni acide e grooveggianti, con tutti gli scatoloni da trasloco ancora in mezzo ai piedi. Come detto, l’album vende poco ed indispone il pubblico, di fatto mettendo in soffitta i Dangerous Toys. Se volete un mio parere, non si tratta di un lavoro pessimo e fallimentare, ha i suoi momenti ma va ascoltato al netto del monicker e della storia della band, come fosse un episodio a se stante che alterna alti e bassi. Indubbiamente è l’espressione di una band confusa e stizzita, sull’orlo di una crisi di nervi.

Trascorre un lustro prima prima di rivederli all’opera con un live/greatest hits, il “Vitamins And Crash Helmets Tour-Live Greatest Hits”, che esce nel 1999 per l’ennesima etichetta diversa, la Deadline/Cleopatra. E’ un fuoco di paglia, più che altro un disco di testimonianza perché successivamente al live la band rallenta nuovamente fino quasi a fermarsi del tutto. I vari membri si comportano come palline da flipper, facendo questo e quello, provando di qua e di là, tra ensemble e progetti che spuntano come funghi. McMaster e Lidel si alleano nei Broken Teeth (per un totale di 4 platter tra il 1999 e il 2008) mentre Mark Geary fa nuovamente comunella con Mike Watson in un gruppo chiamato Proof Of Life. Watson ha voglia di tornare ed infatti partecipa con la band a concerti sporadici nei primi 2000. Nel 2006 sono gli Shadows Fall a restituire un po’ di notorietà ai Dangerous Toys coverizzando “Teas’n, Pleas’n” per la compilation “Fallout From The War” col featuring di Jason McMaster. Mentre un anno dopo sono i Dangerous Toys ad occuparsi di una cover, quella dei Lynyrd Skynyrd “Simple Man” per un All Star Tribute ai southern rocker della Florida. 

Nel 2008 nella città natale di Austin celebrano il concerto del ventennale in formazione originale. Dal 2017, a seguito della firma del contratto con la EMP Label Group di Dave Ellefson per la ristampa di “Pissed” e “The R*tist 4*merly Known As Dangerous Toys” parte inevitabilmente il tam tam per un possibile quinto album di inediti. Di fatto ad oggi una qualche intelaiatura della band sopravvive ed esiste, non c’è nessun nuovo album alle porte ma un solo nuovo pezzo firmato dalla coppia McMaster/Dalhover, suonato il 30 marzo 2019 ad Atltanta con il titolo di “Hold Your Horses”. Lidel ha successivamente dichiarato che c’è del songwriting in ebollizione nel pentolone della band e che i relativi riferimenti a Van Halen, Aerosmith e ZZ Top lo galvanizzano alla grande. La dislocazione logistica molto disparata dei vari membri della band e poi la pandemia covid hanno evidentemente complicato e ritardato il processo di rifinitura dell’album tuttora fuori orizzonte. Non rimane che attendere…. non senza un filo di preoccupazione, viste le ultime due release ufficiali in studio e la spolverata un po’ strabica di band citate da Lidel. Quel che è certo è che intanto nel 2016 i Watchtower sono tornati per davvero col bellissimo “Concepts Of Math: Book One”, ma con Alan Tecchio al microfono, lo stesso di “Control And Resistance” (1989).

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Discografia Relativa

  • 1989 – Dangerous Toys
  • 1991 – Hellacious Acres
  • 1994 – Pissed
  • 1995 – The R*tist 4*merly Known As Dangerous Toys
  • 1995 – Vitamins And Crash Helmets Tour (greatest hits/live)

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