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Electric Funeral: La Fine Dei Black Sabbath

GOD IS DEAD

In queste poche ore trascorse dalla fine del Back To The Beginning, il concerto d’addio dei Black Sabbath a Birmingham, la loro città natale, ho già letto online una quantità di frasi in libertà, giudizi ingenerosi, cattiverie e stupidaggini da far accapponare la pelle, da far pentire di appartenere alla stessa genia di (presunti) “fan” dei Sabbath e della musica heavy metal in generale, da far scattare un riflesso condizionato incoercibile di scrivere qualcosa di opposto e contrario, o che semplicemente renda giustizia a quattro persone che hanno fatto la cosa più naturale del mondo, data la loro indole, la loro professione e la loro storia, salire su quel palco e accomiatarsi dal proprio pubblico.

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Niente e nessuno è stato risparmiato dal biasimo indiscriminato, e davvero viene da chiedersi il perché di tanto veleno, a cosa sia dovuta una così coriacea legione di odiatori e insultatori. Sul banco dell’accusa i costi esosi dei biglietti, Sharon Osbourne (da oltre 40 anni colpevole di qualsiasi cosa), il precario stato di salute di Ozzy (malato di Parkinson), l’età avanzata dei Sabbath, la scelta della band che si sono avvicendate sul palco, gli orari delle band che si sono avvicendate sul palco, la resa di alcune delle band che si sono avvicendate sul palco, il senso intrinseco di una manifestazione del genere da molti ritenuta superflua e fine a se stessa, capace a quanto pare persino di inficiare la reputazione di una band universalmente consegnata agli archivi della storia come i Black Sabbath. Sin da quando il Back To The Beginning è stato annunciato è partita l’artiglieria degli odiatori e dei criticatori di professione, quasi un fatto personale, quel concerto non s’aveva da fare, avrebbe macchiato il santino di Tony Iommi che ognuno si era fatto a casa sua. Risultato? Il sold out al Villa Park di Birmingham si è registrato in appena sedici minuti dalla messa in vendita dei biglietti. Circa 40 mila persone si sono spartite posti in piedi che partivano da 262,50 sterline e posti a sedere che arrivavano fino a 662,50, oltre ai pacchetti VIP (che tutti stigmatizzano ma evidentemente qualcuno compra) al costo persino di 3000 sterline. Prezzi indubbiamente enormi, anche tenendo conto della portata di quello che si configurava come un vero e proprio festival con decine e decine di artisti e 9 ore di musica in una cornice oggettivamente maestosa. Quindi quante Ferrari, quante ville con Jacuzzi e rubinetti d’oro si saranno comprati i Black Sabbath con l’introito? Nessuna, come dichiarato sul sito dell’evento tutti i profitti sono stati destinati ad organizzazioni benefiche (Cure Parkinson’s, Birmingham Children’s Hospital, Acorn Children’s Hospice). Parliamo di 140,9 milioni di sterline, pari a 162,5 milioni di euro. I Sabbath ci hanno rimesso economicamente? Certo che no. I Sabbath le ville con piscine e maniglie Swaroski le possiedono già? Certo che si, ma in che modo questo ci riguarda o ha qualche rilevanza rispetto alla musica suonata sul palco e al significato ultimo dell’evento che si è compiuto al Villa Park?

Sharon Osbourne si occupa del management di Ozzy dal 1979 e naturalmente ha continuato a farlo anche in questa occasione, per quanto il gran carrozzone avesse un direttore artistico di nome Tom Morello, evidentemente venduto al Sistema anche lui, come del resto la sua band, i Rage Against The Machine, da sempre asservita ai Poteri forti. La storia delle persone si svuota di qualunque significato davanti alla furia belluina di vite profondamente infelici, scontente e disperate, il cui unico scopo diventa trascorrere ogni giorno della propria vita ad incolpare terzi della propria condizione, scagliare pietre, additare colpevoli, collaborazionisti, e distruggere, distruggere, distruggere. Impensabile che Ozzy a 77 anni non si avvalesse della persona a lui più vicina e più cara, consapevole da sempre di ogni sua esigenza. Sharon è stata odiata dal primo giorno, a torto o a ragione non mi interessa granché, è la moglie di Ozzy, e la persona da lui designata a seguire i suoi interessi, anche economici, e nuovamente si pone la domanda: in che modo questo ci riguarda o ha qualche rilevanza rispetto alla musica suonata sul palco e al significato ultimo dell’evento che si è compiuto al Villa Park?

Ho letto intemerate risentite perché i Sabbath non avrebbero recitato fino in fondo (alla tomba presumo) la parte che i “fan” gli avevano assegnato, non avrebbero cioè rispettato i personaggi delle rockstar infernali, ribelli e anticonformiste, evocatrici del Maligno 24h, in un tripudio di croci, nubi solforose e fuochi fatui, col ghigno perennemente dipinto sul volto per scandalizzare il gregge dei soggiogati dalle oligarchie. Una proiezione tutta politica (di nuovo, cosa ha a che fare con la musica?) che cristallizza i Sabbath al 1970, alla prima traccia del primo album; quelli sarebbero dovuti rimanere per far contenti i nostalgici del maledettismo un tanto al chilo. Invece questi vecchietti con le cicce cadenti in bella vista, le rughe, i capelli tinti e l’artrite galoppante hanno avuto l’ardire e la pretesa di farsi vedere in pubblico come persone, senza corna, senza code, esseri umani anziani anziché eroi malvagi col mantello nero come la notte della Valpurga. A 55 anni di distanza da “Black Sabbath”, Iommi, Butler, Ward e Osbourne avrebbero dovuto celebrare il loro stesso funerale e lo hanno celebrato, ma non come certi “fan” avrebbero voluto. Vedere Ozzy bloccato su di un trono nero perché impossibilitato a camminare e reggersi sulle proprie gambe (dal Parkinson e da operazioni sciagurate alla schiena che lo hanno quasi ucciso, non dalle droghe, dall’alcol o dalle teste dei pipistrelli mozzate a morsi… pure questo mi è toccato leggere) ha demitizzato il mito, ha reso il diavolo un povero diavolo, ha impoverito l’effetto scenico che qualcuno si aspettava. Dei plurisettantenni avrebbero dovuto esibirsi gratuitamente su di un palco gargantuesco, possibilmente bestemmiando ed inveendo, commettendo blasfemie a secchiate, sabotando dall’interno il Sistema (qualsiasi cosa esso sia). In nome di chi e di che cosa? Per far felice un drappello di mentecatti bastian contrari, venuti al mondo unicamente per affermare la propria personalità attraverso la contestazione, la negazione e la pratica incessante di rituali onanistici celebrativi del “come siamo fighi noi che siamo contro tutto”, anche contro il buon senso, la logica e la realtà?

Bisogna intendersi sulla prospettiva con la quale guardare a ciò che è accaduto. Il Back To The Beginning non è stato un regalo dei Black Sabbath ai propri fan, ma un regalo dei fan ai Black Sabbath, è così che i quattro cavalieri nero lo hanno inteso. Al netto del facile qualunquismo sul costo dei biglietti, la band non ne ha guadagnato, non era obbligatorio spendere soldi, si poteva seguire lo streaming da casa per pochi spiccioli oppure non spendere nemmeno quelli e fare come il sottoscritto, rivedere tutto il giorno dopo su Youtube a titolo completamente gratuito. A 77 anni (76 Geezer Butler), i Sabbath avevano bisogno di quel bagno di folla, di quell’ultimo riconoscimento al proprio talento e alla propria fatica che li ha tenuti occupati per mezzo secolo di vita, una dedizione assoluta, encomiabile, preziosa, della quale tutti noi abbiamo beneficiato. Nessuna delle band sopra a quel palco sarebbe mai esistita senza i Sabbath. In un raro momento di lucidità lo ha detto Hetfield e sono certo che abbia ben interpretato il pensiero di tutti. Da lì si comincia, back to the beginning appunto, laddove “beginning” equivale a Black Sabbath, l’alfa della musica heavy e oscura. 

Quella del 5 luglio 2025 è stata una gigantesca festa, un omaggio, un tributo, un atto dovuto, la fine di un’era e la chiusura del cerchio. Le band presenti, il loro minutaggio, la posizione in scaletta, la scelta dei brani, tutto è opinabile, a cominciare per quanto mi riguarda dalla sciagurata presenza e dall’ancora più sciagurata esibizione dei Guns ‘n’ Roses. Non so immaginare nulla di più lontano dai Black Sabbath dei Guns, figuriamoci un imbolsito Axl Rose che in versione Mickey Mouse ha cantato (o preteso di cantare) pietre miliari della discografia sabbathiana come “It’s Alright”, “Never Say Die”, “Junior’s Eyes” e “Sabbath Bloody Sabbath”, roba da far accapponare la pelle. Non so dire se la loro presenza fosse dovuta ad una sincera stima da parte di Iommi e compagni, da una scelta di marketing di Sharon o da chissà da quale altra motivazione, fatto sta che si sono rivelati parecchie tacche al di sotto della soglia di tollerabilità (come era ampiamente prevedibile). Ma anche considerando questo, ovvero credo il punto più basso della giornata (ed ognuno avrà il suo sassolino nella scarpa da togliersi), nulla avrebbe potuto inficiare il senso di gratitudine, di affetto, di sincera riconoscenza che ogni artista che si è esibito al Villa Park nutriva per i cosiddetti padri dell’heavy metal. Strano non ci fossero gli Iron Maiden vero? Già, strano. AC/DC, Def Leppard, Billy Idol, Elton John, Cyndi Lauper, Marilyn Manson, Dolly Parton, Jack Black, Jonathan Davis e Fred Durst hanno inviato video tributi non avendo potuto partecipare di persona, i Judas Priest, gli Scorpions, Alex Lifeson e Geddy Lee dei Rush non hanno potuto partecipare all’ultimo, erano impegnati in altro, ma con ragioni formali e rese pubbliche. Nessuna notizia degli Iron Maiden, almeno che io sappia; così come anche Matt Cameron, Ben Shepherd e Kim Thayil dei Soundgarden, pur essendo stati invitati non hanno partecipato e non hanno specificato alcuna ragione per la loro assenza. Non che fosse obbligatorio, per carità, semmai rispondere ad un invito o declinarlo rientra nella mera cortesia. Nessuno sul palco ha percepito alcun compenso se non il mero rimborso per le spese di trasferta (anche se Sharon Osbourne ha dichiarato di aver allontanato una band che voleva essere pagata), tuttavia è lecito pensare che i partecipanti abbiano perlomeno pensato ad un ritorno in termini mediatici, sarà stata una avveduta mossa di marketing, un’ottima pubblicità per le varie band coinvolte? Ovviamente si, per quanto credo che gente come i Metallica, gli Slayer o i Gojira, chiamati addirittura ad aprire le Olimpiadi, non ne avessero tutta questa necessità; in ogni caso tutti amavano i Black Sabbath, si percepiva, era palpabile, contagioso.

Poi sono arrivate le ultime due esibizioni in scaletta, lo show di Ozzy solista e quello dei Sabbath. Non era affatto scontato che Iommi concedesse a Ozzy l’onore delle armi, che gli consentisse di cantare le proprie canzoni, quelle scaturite dalla cacciata dai Sabbath nel 1978 con tanto di musi lunghi. Cinque pezzi con il figliol prodigo Zakk Wylde sempre al suo fianco, tutti estratti dal primo album “Blizzard Of Ozz” (“I Don’t Know”, “Mr. Crowley”, “Suicide Solution”, “Crazy Train”), tranne “Mama, I’m Coming Home”. A quel punto è venuto giù il Villa Park. Un intero stadio in lacrime, come se di colpo avesse realizzato che Ozzy si stava accomiatando dal proprio pubblico, dal mondo, dalla vita su questa Terra. Raramente una canzone è diventata una liturgia collettiva così commovente, coinvolgente e profonda, in grado di significare molto di più dei suoi 4 minuti di durata. Anche Ozzy aveva gli occhi lucidi. Riuscire a non emozionarsi, a non provare tenerezza ed empatia per lui in quel momento, nostro padre, nostro nonno, nostro amico, uno dei nostri affetti più cari, era difficile e credo abbia più a che fare con la psicoanalisi che con la musica. Mentre Ozzy cantava aveva accanto un tavolino con dell’acqua, uno spray per la bocca e chissà quale altro bene di primo soccorso, ciò nonostante e per quanto fosse inchiodato a quella poltrona, avesse i capelli posticci e si agitasse nel suo consueto modo legnoso e sconclusionato, la sua voce era potente e cristallina, anche se rotta dalla commozione, un leone in gabbia. Ozzy cantava ancora “come se stesse cercando di comunicare con un’altra dimensione“, una citazione del mio amico di facebook Paolo Spagnuolo che faccio mia perché è la cosa più fedele che abbia mai letto sul principe onorario delle tenebre. Ozzy era visibilmente emozionato, ha detto che ora potrà morire felice perché ha realizzato il suo desiderio, è tornato sul palco, per il suo pubblico, con la sua band, suonando le sue canzoni, “the thrill of it all” (cit.). Aveva bisogno di questo e questo è il regalo che ha ricevuto. Ci ha pensato la gente e ci hanno pensato anche i Black Sabbath, i quali dopo il suo show personale lo hanno raggiunto sul palco per eseguire “War Pigs”, “N.I.B.”, “Iron Man” e “Paranoid”. Poco – quello che consentiva l’età – ma buono, anzi direi ottimo, eccellente, superlativo. 

Al termine di “Paranoid” la band si è dileguata dietro il palco mentre Ozzy rimaneva sulla sua poltrona nera, stordito e abbandonato a se stesso. Erano scappati via, come a sottolineare ancora una volta la distanza con il capriccioso Madman? Macché, Geezer Butler era corso a prendere una torta che poi ha portato ad Ozzy e che qualcuno ha anche fotografato postandola sui social. Back To The Beginning è stato quasi più una celebrazione di Ozzy che dei Black Sabbath, e anche questo è stato un immenso segno di umanità e generosità da parte di Iommi in primis, di Ward e di Butler. 162,5 milioni di euro devoluti in beneficienza, l’atto malvagio più colmo d’amore che una band “satanica” abbia mai fatto in tutta la storia dell’umanità. Questi sono stati i Black Sabbath. Dopo averci dato la musica e l’heavy metal, hanno inondato di soldi ospedali e centri di ricerca, mentre quattro mentecatti in giro per il globo abbaiavano da dietro ad uno schermo perché i loro beniamini da taschino, i loro feticci impagliati e inchiodati all’epoca di “Children Of The Grave”, non avevano optato per una morte giovane e maledetta, anziché esibirsi dal vivo un’ultima volta come degli imbarazzanti vecchietti dalla lacrima facile. Il 6 luglio internet è stato pieno di una sola parola: “grazie”. Grazie Ozzy, grazie Black Sabbath.

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